Venti anni fa moriva Pietro Nenni.

30 agosto 2004

Di Valdo Spini da L'Unità di domenica 2 gennaio 2000.

Venti anni fa moriva Pietro Nenni di Valdo Spini

Venti anni fa’ moriva Pietro Nenni, il leader storico del socialismo italiano, emerso nella sconfitta subita dal fascismo, e affermatosi come tale dalla liberazione almeno fino al 1969, quando perse il controllo di fatto del partito. Del PSI, peraltro, assunse la presidenza del Comitato Centrale fino alla morte. Pietro Nenni è stato l’uomo delle grandi unità, il patto di unità d’azione, il Fronte Popolare e delle grandi rotture: l’autonomia socialista, il primo centro-sinistra, la prima modernizzazione dell’Italia negli anni sessanta. Una biografia politica lunga, complessa e per molti versi avvincente.

Una biografia politica cominciata nel 1914, da giovane repubblicano rivoluzionario con la settimana rossa di Ancona, continuata con l’adesione al Partito Socialista Italiano, all’indomani dell’assalto subito dall’Avanti! a Milano nel 1921, e terminata con gli incarichi di vice presidente del consiglio prima e di ministro degli esteri poi nel corso dei governi di centro-sinistra degli anni sessanta.

Non solo un grande leader socialista, ma anche un grande leader della sinistra. 11 comizio di Nenni era uno degli avvenimenti popolari più sentiti, in cui le masse potevano identificare i loro sentimenti. Ha scritto recentemente Mauro Ferri, che, giovane segretario della Federazione del PSI di Arezzo, avendo organizzato un comizio di Nenni nel dicembre 1947, andò ad invitare la locale federazione del PCI: Questa ringraziò, ma declinò l’invito perché impegnata nelle stesse ore nel proprio congresso. In compenso, dissero i compagni del PCI, perché Nenni non viene al nostro congresso prima del suo comizio? Nenni accettò l’invito, andò al congresso del PCI di Arezzo, pronunziò il suo saluto e poi si alzò per andare via . Avvenne allora che il congresso si svuotò e di fatto si interruppe, perché tutti andarono dietro a Nenni a sentire il suo comizio. Così era la sinistra di allora.

Nenni non era solo un grande oratore, era anche forse il più brillante giornalista politico dei suoi tempi. Egli si identificava con l’Avanti! e aveva ben compreso l’importanza dei mass media del tempo, di cui era strumento principe il giornale.

Ma non è questa la sede per ripercorrere tutte le tappe di una vita così lunga e avventurosa, dalla prigione subita insieme a Mussolini, allora socialista rivoluzionario, allo scambio di ruoli tra Nenni confinato a Ponza che vede, col cannocchiale, arrivare il neoconfinato Mussolini, il 28 luglio 1943, alla morte della figlia Vittoria nel campo di concentramento nazista.

Scrivere oggi sulltUnità di Nenni, significa ancor oggi fare politica, prendere una posizione politica. Sì, perché la rottura tra socialisti e comunisti susseguitasi alle denunce di Kruscev dei crimini staliniani, e all’invasione dell’Ungheria da parte dei carri armati sovietici nel novembre del 1956, fu dura e lacerante, specie nelle regioni dove la sinistra governava, cioè Emilia-Romagna, Toscana e Umbria, e in cui l’elettorato socialista ebbe successivamente a subire le maggiori perdite negli anni del centro-sinistra.

A tanti anni di distanza si deve dire con molta chiarezza che il Nenni del testo “Le prospettive del socialismo dopo la destalinizzazione”, quando si rifiuta di addebitare agli errori di un uomo, per quanto potente ,come Stalin, le degenerazioni del sistema sovietico, che condanna l’intervento dei carri armati in Ungheria, che avvia un cammino di riconciliazione con l’Internazionale Socialista, ( il PSI era stato espulso per il suo frontismo nel periodo stalinista), che dopo i fatti di Genova e la caduta del governo Tambroni, concorre a creare una governabilità democratica e aprire un cammino di riforme del nostro paese, quel Nenni, sia pure in ritardo, aveva ragione. Diciamo in ritardo,


perché analoga analisi Nenni non aveva saputo fare allo scoppio della guerra fredda, nella seconda metà degli anni quaranta. Ma pur sempre importante e decisiva la sua azione, perché , a differenza di Saragat nel 1947, egli con l’aiuto di Riccardo Lombardi, seppe spostare su quella posizione nel 1956-57, una parte veramente consistente e rappresentativa della sinistra e del movimento operaio italiano.

Aveva ragione Nenni e torto il PCI che non seppe fare un’analisi altrettanto impietosa dei propri errori, cercando di riassorbire la rottura di continuità del XX congresso nella teoria della via italiana al socialismo e giustificando i carri armati sovietici a Budapest. Aveva invece ragione Nenni quando condannò l’intervento sovietico in Ungheria. Storicamente l’autonomismo di Nenni, e cioè l’azione dura e tenace per far vivere ed agire una sinistra non comunista negli anni in cui il mondo era diviso tra est ed ovest, fu giusta ed utile a tutti, comunisti compresi. Nenni è quindi per i DS un punto di riferimento storico da rivendicare.

Proprio per questo oggi non condividiamo la tesi di chi vorrebbe stabilire una

continuità tra l’autonomismo socialista e la collocazione dello SDI al centro, nel cosiddetto trifoglio. Comunque la si pensi sul momento politico attuale, si dovrà prendere atto che l’autonomismo socialista è stata una lotta, difficile e coerente nella sinistra, non è mai stato uno spostamento al centro della tradizione socialista.

Appartengo ad una generazione di giovanissimi che nel 1964, quando, dopo il “tintinnare di sciabole” del generale De Lorenzo, Nenni rimase al governo per garantire la democrazia e Lombardi passò all’opposizione nel partito, insoddisfatto per l’interruzione del processo riformatore e per la rinuncia ad un’incisiva riforma urbanistica, scelse Lombardi e quella che diventò la sua sinistra socialista. Una generazione che accolse con soddisfazione la seconda scissione socialdemocratica di Tanassi e c. avvenuta nel 1969 ,avvenimento che portò di fatto all’emarginazione di Nenni nel partito. Noi volevamo difendere un’altra autonomia del partito, quella dal governo, dalle sue compromissioni, nella nitidezza dell’immagine ideale e programmatica socialista nella sinistra italiana e della prassi “povera” di un partito rimasto fondamentalmente onesto.

Non posso essere quindi sospettato di tenerezze acritiche verso Nenni. Credo ne vadano sottolineati anche tutti i limiti anche di malaccorto gestore delle divisioni interne al movimento socialista, sia di quella che portò alla scissione di Saragat nel 1947, sia di quella che portò alla scissione del PSIUP del 1964. Quella del 1947 fu probabilmente, nel lungo periodo, mortale per un partito che nel 1946 aveva avuto un risultato elettorale superiore a quello del PCI. Quella del 1964 concorse a cambiare la sociologia interna al partito, diminuendo il peso della tradizione popolare socialista. Ambedue furono da Nenni sottovalutate.

Ma credo che in questa sede si debba chiedere per Nenni una giustizia storica. L’uomo che godeva di grande popolarità tra le masse italiane, che l’Unione Sovietica aveva vezzeggiato fino a conferirgli il Premio Stalin, seppe ricredersi e cambiare le proprie posizioni, e, a prezzo di un durissimo scontro politico, aprire almeno ad una parte della sinistra italiana un’altra strada, quella di riforme che hanno lasciato tuttora il segno nella vita del nostro paese, dalla scuola media unica all’istituzione delle regioni. E per questo dobbiamo dirgli, Grazie Nenni!

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