Ucekar Carlo: pioniere del socialismo
04 agosto 2004
di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - 15 dicembre 2002 - anno 5 - numero 46
Carlo Ucekar nacque a Trieste l’11 novembre 1854. Di povera famiglia a 14 anni entrò come apprendista compositore nella tipografia del Lloyd ed in quella tipografia lavorò per tutta la sua vita. Dopo il tirocinio di apprendista, entrò a far parte della "Società operaia triestina" dove fra gli scopi del mutuo soccorso e della elevazione morale e culturale dei soci, c’era anche, in forma velata e discreta, l’indirizzo al senso nazionalistico dell’amor patrio e all’irredentismo. Il giovane Ucekar aveva avversione per l’Austria imperiale, considerata con la Russia zarista, la tipica espressione della reazione europea. Fu amico di Guglielmo Oberdan che aiutò a fuggire quando disertò per non andare a combattere contro i ribelli di Bosnia. Ucekar si orientò verso il socialismo nel 1887, quando ritornò dall’Italia un altro operaio tipografo triestino, Antonio Geria, il quale a Roma e a Napoli, aveva appreso le prime nozioni di socialismo. Ucekar fu tra i primi seguaci di Gerin, in quanto non tardò ad accorgersi che per la classe lavoratrice vi era un ideale ben più alto di quello della semplice correzione di un confine.
Nel 1888; con un primo gruppo di 29 operai, Ucekar e Gerin fondarono la "Confederazione Operaia". Furono inizi durissimi; persecuzioni della polizia, rappresaglie dei padroni, irrisioni e calunnie della stampa borghese, apatia ed incomprensione inizialmente, persino dagli stessi lavoratori. Ma questo Ucekar, uomo gracile fisicamente, di statura inferiore alla media, dalle spalle strette e spioventi, riuscì a tener testa a tutte le avversità e ad abbattere gli ostacoli che parevano insormontabili, a conquistare la fiducia delle masse operaie e a dar vita al movimento socialista e sindacale che doveva portare la classe lavoratrice triestina in posizioni di avanguardia. Quando si convertì al socialismo, non aveva che pochi opuscoli che Gerin aveva portato dall’Italia, quindi si fece andare altro materiale da Vienna e cominciò a leggere e studiare per poter a sua volta istruire. Possedeva una grande forza di volontà e la sua onestà, rettitudine, coraggio e non ultimo il suo fascino personale e la grande facilità di eloquio, furono le armi del suo apostolato. Dalla sua persona spirava tanta bontà e onestà che tutti, persino gli avversari, se non lo amavano, perlomeno lo rispettavano. In due circostanze dette prova di coraggio. A Rovigo nell’aprile del 1898, dove si era recato in piroscafo con un gruppo di triestini, per tenere un comizio, trovarono un numeroso gruppo di contadini, con il garofano bianco, aizzati da un prete, certo don Bernardo Malusà, i quali irruppero gridando: "Abbasso Ucekar", "Viva il partito cristiano-sociale". Ucekar, con molta calma, invitò il prete alla presidenza del comizio ed esporre liberamente anche le sue idee. Ma il prete non volle sentir ragioni e istigò i suoi seguaci alla violenza. Solo con l’intervento di alcuni coraggiosi del posto, si poté evitare il peggio.
Intervennero poi i gendarmi che sciolsero il comizio e dispersero i contadini. Il prete continuò a sgolarsi contro i socialisti urlando: "Vigliacchi!". A Pirano, il 10 luglio 1899, successe un fatto analogo a quello di Rovigno, ed anche in questa occasione Ucekar dimostrò impavido i suo coraggio contro la violenza degli sciagurati. Ucekar tenne testa ai tentativi, dell’avv. Riccardo Camber, nel far deviare il partito, incriminandolo in un gretto municipalismo. Contro questi tentativi, seppe far valere i principi dell’Internazionale socialista. Tenne testa validamente, con la sua autorità e prestigio, alle polemiche coi clericali e coi liberal-nazionali, anche nelle prime lotte elettorali. Il movimento socialista da lui creato a Trieste, ebbe precisi connotati internazionalistici che comportarono, fra l’altro, il superamento degli opposti nazionalismi. Ucekar fu rapidamente il leader dei lavoratori, perché popolare come lavoratore e organizzatore. A lui, in gran parte, si deve quell’opera pionieristica che orientò la nascente organizzazione verso l’elevamento culturale dei lavoratori e verso la tutela dei loro interessi. Fu candidato alle elezioni politiche, ancora a suffragio ristretto, nel 1896 e nel 1901. Non riuscì eletto, però raccolse al suo nome un notevole numero di suffragi che costituirono la base per i successi che non sarebbero mancati successivamente.
Durante il memorabile sciopero dei fuochisti del febbraio 1902, Carlo Ucekar si trovava in carcere per scontare una breve pena (una riunione non autorizzata); uscì dal carcere il giorno stesso che scoppiò lo sciopero generale cittadino. Appena fuori, senza neppure recarsi a casa, corse al teatro Rossetti per presiedere il comizio. Poi, senza dormire e quasi senza mangiare, fu sulla breccia fino al ritorno della normalità. Forse per questa enorme tensione, aggravata dal dolore mai superato per la morte immatura della moglie e quella del diciassettenne figlio, che determinarono la sua morte improvvisa l’11 maggio 1902. Carlo Ucekar aveva 47 anni e la sua eredità ideale venne validamente raccolta con successo da Valentino Pittoni. Il quotidiano triestino "Il Piccolo", che non fu mai tenero con Ucekar, iniziò un lungo necrologio con queste parole: "Carlo Ucekar era un vero apostolo. Pieno di fede egli stesso, aveva dedicato la vita alla propaganda. Ma era un apostolo calmo e mite, non un fanatico e un violento. Di parola facile, se non corretta, semplice, non già trascurato nella forma, era caro ai suoi compagni di partito, e simpatico a tutti. Onesto, sincero, leale, gli avversari lo stimavano profondamente