Tobagi Walter: l’assassinio
04 agosto 2004
di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - 23 marzo 2003 - anno 6 - numero 12
"Chi ha lavorato con lui – disse Bettino Craxi commemorando il giornalista Walter Tobagi – chi ha vissuto con lui, chi ha dialogato con lui, chi ha potuto conoscere l’umanità dolce e serena ed apprezzarne l’intelligenza non può non essere portato a ripetere, come in un rito di fraternità, l’esclamazione dei greci antichi: vive!
Walter Tobagi (nel bel disegno di Nani Tedeschi che pubblichiamo) era nato il 18 marzo 1947 a San Brizio, paese vicino a Spoleto, in provincia di Perugia. Apparteneva ad una modesta famiglia, ancorata sui valori universali del buon senso, dell’onestà e del dovere. Come i suoi famigliari, anche Walter era un cattolico, credente e praticante ed andava fiero delle sue origini umili e dignitose e della paziente educazione famigliare di papà Ulderico e di mamma Luisa. Nel 1955, il padre, che era un ferroviere, in seguito a trasferimento, andò ad abitare con la famiglia a Cusano Milanino, cioè vicino alla grande metropoli lombarda. Walter frequentò il Liceo "Parini" e conseguì il diploma di maturità classica. Si iscrisse all’Università statale di Milano e si laureò brillantemente in storia e filosofia. Ma fin dai tempi del Liceo, le inclinazioni di Walter Tobagi erano quelle di fare il giornalista. Infatti fece parte al "Parini" del comitato di redazione del famoso giornaletto studentesco "La zanzara". Anche dopo l’università decise di intraprendere il mestiere – che purtroppo lo porterà a morire ucciso – di giornalista. Nel 1968 venne assunto come praticante alla redazione milanese dell’"Avanti!", poco dopo passò all’"Avvenire", poi al "Corriere d’Informazione" ed, infine, al "Corriere della Sera", dove le sue qualità professionali e umane non tardarono a mettersi in luce.
Instancabile nel concepire il proprio lavoro, alternava l’attività di giornalista con la docenza universitaria e svolse anche una intensa attività di scrittore e saggista. Walter Tobagi fu un buon cattolico, socialista e riformista; un cronista impegnato ma non della "fermezza". Esso aveva, secondo i suoi nemici, un "aggravante": capo sindacale, fu protagonista di una scissione nell’Associazione lombarda dei giornalisti e di un rovesciamento di maggioranza nel Comitato di redazione del "Corriere della Sera". Così Tobagi, non perché casualmente e simbolicamente Presidente della Associazione dei giornalisti, ma perché esponente della cultura riformista, il più giovane inviato speciale del principale quotidiano nazionale, il primo responsabile di un rovesciamento di una maggioranza nel sindacato dei giornalisti, divenne "l’obiettivo storico" delle Brigate Rosse, come affermò uno dei suoi assassini. Intensa fu la sua attività di scrittore; lo appassionavano e lo attraevano soprattutto le vicende sindacali e nel suo ultimo libro: "Il sindacato riformista" tratta delle lotte e della crisi del sindacato negli anni ’70. "Eravamo poco più che ragazzi – scrisse Tobagi – e alla generazione del ’68 il sindacato apparve l’angelo vendicatore della condizione operaia. Ci sentivamo da una parte sola; dalla parte dei lavoratori. (…) Dieci anni dopo i moti si stemperarono in una verità antica come la storia dell’uomo… il gradualismo, il riformismo, l’umile passo dopo passo sono l’unica strada percorribile per chi vuole elevare davvero le condizioni dei lavoratori". Nel 1979, Piero Scorti, giornalista dell’"Avanti!" in un incontro-intervista con Tobagi, parlarono di problemi sindacali e del suo ultimo libro". Che il sindacato sia riformista – disse Tobagi – non c’è dubbio, io però credo che tutti dovrebbero avere il coraggio di essere espliciti su questo punto e dire apertamente che l’unica strada perseguibile è quella del riformismo serio e rigoroso. Nel 1990, a dieci anni dall’assassinio di Tobagi, l’indimenticabile compagno Sergio Moroni, scrisse su "Critica Sociale": "… un certo ambiente giornalistico, ma anche culturale e politico, un ambiente che sembra aver navigato a tutto vapore sull’onda lunga del ’68, aveva non in grande simpatia Tobagi. Il linciaggio morale e le espressioni verbali nei suoi confronti erano cosa di tutti i giorni. Gli si rimproverava di aver rotto, all’interno di un sindacato importante come quello dei giornalisti, la grande unità delle sinistre; lo si accusava di essere una "talpa" dei socialisti riformisti e un uomo di Bettino Craxi (…) insomma il clima antisocialista, antiriformista, anti-Tobagi che in quel periodo degli anni ’80 non si respirava solo al Corriere della Sera infiltrato nelle P2, ma anche in certi salotti à la page, in certi "circoli" politici e in determinati ambienti editoriali dove imperversavano sedicenti maître a penser, reduci dalla spranga, orfanelli del tardo ’68". In tale clima si consumò l’assassinio di Walter Tobagi, che avvenne il 28 maggio 1980 e che fu maturato in un clima di odio, di violenza e di intolleranza. "L’assassinio di Walter Tobagi – disse giustamente l’on. Ugo Intini – è stato preceduto da una campagna politica e morale che è ragionevole ritenere direttamente o indirettamente collegata alla scelta della vittima".
L’esempio della breve vita di Walter Tobagi, i suoi ideali, le sue battaglie, i suoi scritti, fanno di lui un vincitore, un uomo vivo.
Marco Barone e soci, rampolli della Milano-bene, della Milano ben addentro nel mondo dell’editoria, sono stati e rimangono per sempre degli sconfitti ma soprattutto, degli assassini!