Serrati, contro Lenin in difesa del Psi

04 agosto 2004

di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - 17 febbraio 2002 - anno 5 - numero 07

Non è facile ricordare Giacinto Menotti Serrati senza ricordare le sue contraddizioni ed errori, se non fosse per la riconosciuta dirittura morale che sempre espresse, incurante delle vicissitudini e delle vicende personali che lo colpirono sovente. G.M. Serrati nacque a Spotorno (Savona) il 25 novembre 1872.
Nel 1892 fu tra i fondatori della prima Lega Socialista di Omeglia. Poi vennero gli anni duri della reazione, degli arresti e dei processi e Serrati si rifugiò a Marsiglia dove fece vari lavori fra cui lo scaricatore al porto e il marinaio per l’Oceano Indiano. Nel 1899 si trovò in Svizzera e collaborò all’"Avvenire dei lavoratori" di Bellinzona. Nel 1902 si recò a New York quale direttore del settimanale "Il proletario". Anche qui l’azione del Serrati, in un contesto così diverso e certamente non facile, dell’emigrazione italiana in America, dette risultati positivi. Nel 1911 ritornò in Italia e divenne segretario della Cdl prima di Oneglia poi di Venezia. Nel 1910, nel corso di una polemica con Rinaldo Rigola, Serrati si augurò che il partito si liberasse soprattutto di coloro che sono venuti a noi in tempi sereni.
Il Serrati dell’emigrazione non voleva certo un partito di pochi ma buoni, voleva invece che nel partito vi fosse "l’impero della massa", nozione purtroppo confusa e con la quale non poté costruire nulla, quando la "massa" nel 1919 si precipitò nel partito sommergendolo.
La concezione serratiana della "intransigenza", lo portò già negli anni 1906-1907 ad esprimere un’opinione certamente erronea e pericolosa, che i socialisti non potessero avere riguardo agli interessi delle classi medie, scambiando questo interesse per un ritorno alle concezioni umanitarie e tolstoiane.
Il punto più debole del suo programma rinnovatore fu quello consistente nel non mettere in forse le strutture e le articolazioni del movimento operaio del tempo. Serrati si trovò di fronte ad un movimento la cui configurazione era di chiara marca riformista e pretese di mutare rotta a tutto insieme, inserendolo in una prospettiva rivoluzionaria. Invece ne sarebbe stato pesantemente condizionato. Purtuttavia, la sua volontà di rilanciare il patrimonio ideale ed organizzativo del vecchio socialismo, gli valse l’elezione, al congresso di Ancona del 1914, a membro della Direzione e, poco dopo, in seguito alla defezione interventista di Mussolini, fu chiamato alla direzione dell’"Avanti!". Serrati fu quindi il leader del socialismo (perché così si identificava chi era direttore dell’"Avanti!") durante la guerra 1915-’18 e nel triennio 1919-1921 quando si consumò la maggior disfatta socialista e sorse il fascismo. Il rivoluzionarismo tentennante di Serrati e dei futuri massimalisti, nasceva proprio dalla appartenente confluenza con Lenin da parte di Serrati; ma Serrati dell’insegnamento di Lenin ignorava quasi tutto. Però anche Lenin, fortemente impressionato dal fatto che il Psi fosse stato l’unico partito socialista dell’Occidente a battersi contro la guerra, non seppe valutare i caratteri peculiari di tale opposizione, se si deve giudicare dalla durezza dei suoi 21 punti (che non ebbero uguali nelle condizioni poste agli altri partiti operai europei), dacché la loro applicazione avrebbe implicato la fine del Psi. Infatti i comunisti altro scopo non ebbero, prima e dopo Livorno, di passare sul cadavere del Psi. Serrati era convinto che il massimalismo fosse sinonimo di bolscevismo, e si sbagliava. Serrati era convinto di essere leninista. Ma anche questo era un errore, perché della teoria della rivoluzione di Lenin, poco conosceva. Serrati nella polemica con Lenin sull’espulsione dei riformisti, ebbe una posizione identica a quella dei delegati del Psi che nel 1920 esaltarono, davanti a Lenin, i milioni di iscritti alla Cgil, le fiorenti Camere del Lavoro, le migliaia di cooperative, le province e i comuni socialisti. Lenin, dopo qualche minuto di silenzio, disse: "ve le bruceranno!". La predizione risultò esatta: nel Psi della ubriacatura massimalista, solo pochi poterono capirla. Difendendo l’unità del Psi contro Lenin, nel primo dopoguerra, Serrati diede alla realtà italiana un apprezzamento molto più realistico di quello del grande rivoluzionario russo. Il valore dell’atteggiamento di Serrati fu quello di difendere la personalità del Psi. Ma Lenin era conseguente quando voleva la morte del Psi e la sua trasformazione in partito comunista. Serrati non era comunista (lo diverrà poi) quando difendeva il Psi con tutto il suo patrimonio ideale, strumento idoneo per attuare una rivoluzione socialista, ma non del tipo sovietico; ma al tempo stesso riconosceva sul modello sovietico l’unico possibile anche per il nostro Paese, e tuttavia respingeva la bolscevizzazione del Psi. Il fallimento di Serrati come capo rivoluzionario sta soprattutto nel fatto di non aver previsto una soluzione alternativa a quella della conquista violenta del potere. Lenin non si rese conto che una rivoluzione bolscevica in Italia era improbabile e che il perseguirne con ogni mezzo, scardinava invece di rafforzare il sistema politico di cui disponeva il proletariato italiano. Il merito di Serrati, con tutte le contraddizioni che seguirono, fu quello di aver affermato che in un Paese come l’Italia, la rivoluzione socialista non avrebbe potuto seguire modelli sovietici. Impedita la svendita "sottocosto" del Psi decisa da Mosca, grazie l’azione antifusionista di Nenni, Vella ed altri, Serrati si trovò umile militante del Pci, considerato con sospetto e quasi ostilità dai suoi nuovi compagni. Infatti, appena morto Serrati nel 1926, Gramsci fece un’autocritica, confessando di avere in prima persona e come partito "incrudelito, forse oltre misura, contro il compagno scomparso, campione della tradizione socialista in Italia".
Ma, il Serrati che vogliamo ricordare e quello che rifulge nella sua azione in difesa del patrimonio ideale del socialismo, sia a Livorno che di fronte a Lenin. È questo, e solo questo il Serrati socialista che amiamo ricordare.

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