Santi, un socialista che credeva nel valore dell’esempio
04 agosto 2004
di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - anno 4 - numero 45 del 9 dicembre 2001
La grandezza di Bruno Buozzi "sta proprio nella naturale semplicità della sua vita, dove invano cerchereste interiori segni del destino, folgorazioni improvvise. Perciò milioni di uomini semplici come lui si sono riconosciuti in lui, si sono affidati a lui, hanno potuto dire di lui: è uno dei nostri. E l’hanno amato e seguito". Con queste parole Fernando Santi scrisse di Bruno Buozzi. Eppure, quando i compagni l’accompagnarono all’ultima dimora, non pochi pensarono, e si pensa tutt’ora, che quelle parole scritte per Buozzi, siano le più appropriate per dare un’immagine di questo classico riformista padano che fu Fernando Santi (in una bella immagine disegnata da Nani Tedeschi, che pubblichiamo). Fernando Santi nacque a Golese di Parma il 13 novembre 1902. Appena quindicenne aderì al Psi, radunò in una stalla i primi dieci compagni e ricostituì il circolo socialista che la guerra aveva praticamente cancellato. Nel 1920 divenne segretario della Camera del Lavoro di Parma e nel 1921, fu eletto segretario nazionale della Federazione giovanile socialista, dopo la scissione comunista.
"In Santi, va rammentata – scrisse Enrico Boselli nel 1979 – la coerenza di militante fino da giovanissimo, quando segretario della Federazione giovanile tentò di opporsi all’indebolimento del movimento socialista, provocato dalle lacerazioni, non sempre comprensibili e dall’avanzare della violenza fascista".
Nel 1925 venne chiamato a dirigere la Camera del Lavoro di Torino. Nel 1922 aveva aderito al Psu di Turati e di Matteotti. Perseguitato dal fascismo nel 1926 si stabilì a Milano e fu l’ultimo segretario della Federazione socialista unitaria, prima della soppressione.
Dopo il delitto Matteotti, sciolti i partiti e i sindacati, si sforzò di mantenere, grazie anche alla sua attività di viaggiatore di commercio, i contatti con gruppi di socialisti sparsi nel Paese.
Nel 1934 fu costretto ad espatriare in Svizzera. Durante il suo esilio in terra elvetica, divenne segretario del Comitato di assistenza per i rifugiati politici. Dopo il 1943, Santi partecipò alla ricostituzione del partito socialista, prese parte attiva alla lotta contro il nazifascismo. Fu nell’Ossola liberata, poi ancora in Svizzera. Rientrò clandestinamente in Italia e partecipò all’insurrezione di Milano dell’aprile 1945 e curò con Mazzali ed altri compagni, il primo numero dell’"Avanti!" nella città liberata.
Nel dopoguerra Santi riprese l’attività sindacale, prima come segretario della Camera del Lavoro di Milano, poi come segretario della Federazione nazionale rappresentanti e viaggiatori di commercio, aderenti alla Cgil unitaria. Nel 1947 venne eletto, in rappresentanza della corrente socialista, segretario generale aggiunto della Cgil, a fianco di Giuseppe di Vittorio. Da allora, le vicende di Fernando Santi, si identificano in modo completo con la storia del sindacato italiano. Egli lottò tenacemente per l’unità della Cgil, tentando in ogni modo di scongiurare la scissione (1948). Sarà poi, negli anni successivi, un impegnato protagonista del recupero dell’unità d’azione e per il rilancio di un progetto di unità organica del movimento sindacale, sotto il segno della democrazia e dell’autonomia.
Di lui, Luciano Lama, disse: "… Fernando Santi era un riformista, un riformista emiliano, apparteneva a quella schiera di uomini che hanno saputo, non solo agli albori del socialismo, diffondere fra gli operai e i braccianti l’idea del riscatto sociale, ma che hanno anche diretto comuni, cooperative, giornali e centri culturali, contribuendo alla crescita civile e politica del movimento operaio italiano". Santi rifiutava lo schematismo pansindacalista che voleva il sindacato staccato dalla lotta politica, così come rifiutava la collocazione del sindacato subordinata ai partiti politici. "… la sua polemica – proseguì Lama – contro la ‘cinghia di trasmissione’ sempre illuminata dai principi e mai ridotta a strumento di bassa lotta politica contingente, ha aiutato il movimento operaio italiano e il mio partito a riflettere sulla erroneità di questa concezione e a superarla sulla linea dell’autonomia del sindacato". Dal dopoguerra, Santi fece parte ininterrottamente della Direzione del Psi e fu eletto deputato quattro volte (1948-1953-1958-1963). Svolse un’intensa attività parlamentare, sia in Aula che nella Commissione Lavoro e previdenza sociale, cui faceva parte. L’autorevole parlamentare socialista Fabio Fabbri, suo conterraneo, descrisse ampiamente l’attività parlamentare di Santi. "… la sua voce – scrisse Fabbri – si leva per sollecitare provvedimenti atti ad evitare morti bianche e gli incidenti sul lavoro, in difesa dei nostri minatori in Belgio, a sostegno delle pensioni ai ceti civili… prorompe in tutti questi accenti la straordinaria umanità del personaggio, insieme ai valori altissimi di quella civiltà dal lavoro che è sempre presente nella sua opera di sindacalista". Non ci fu questione sociale che non lo abbia visto protagonista del dibattito, in Aula o in Commissione.
Fernando Santi è stato diciotto anni (1947-1965) in prima fila fra i protagonisti del movimento sindacale. Al VI congresso della Cgil (Bologna 1965) annunciò l’irrevocabile decisione di ritirarsi, per ragioni di salute, dagli impegni nel sindacato. Nel suo discorso lanciò ancora la prospettiva dell’unità sindacale e concluse dicendo: "La più grande soddisfazione sarebbe quella di poter avere la certezza che un operaio, un bracciante, un lavoratore solo, nel corso di questi 18 anni, abbia detto per una volta sola di me: è uno dei nostri, di cui ci possiamo fidare".
Negli ultimi anni, ammalato, rimase sempre più appartato dalla politica attiva. Morì a Parma il 15 settembre 1969.