Romei Romeo: il medico dei poveri di Portiolo

04 agosto 2004

di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - 28 marzo 2002 - anno 5 - numero 17

Non finisce mai la serie di quei medici che, un tempo, operavano un duplice apostolato: quello della loro professione e quello per il socialismo. Fu così anche per Romeo Romei, nato a Castelnuovo del Monti (Reggio Emilia) nel 1855, da famiglia medio-borghese e di tradizioni patriottiche e che nel 1880, per pubblico concorso, vinse la condotta medica di Portiolo, frazione del comune di San Benedetto Po, in provincia di Mantova. E fu in questa località che il dott. Romei svolse, fino alla morte, la sua attività professionale e quella politica. Quanto disse in un suo discorso nel 1890, sta a significare i sentimenti umanitari di questo medico condotto a contatto con la miseria e la sofferenza. “Quando entro in una stalla - disse Romei - rifugio ammorbante per cinque mesi dell’anno della moltitudine dei campi, ovvero in una di quelle tane che servono di dimora al povero, dove non vi è selciato, ma una umidità permanente sale dal suolo e discende dalle nude pareti; quando salgo quei pioli delle scale di legno e vado su al secondo piano, per modo di dire, ove per visitare l’infermo, bisogna che mi inchini e in un misero giaciglio trovo questo infelice; dove l’inverno passa da tutti i lati l’umidità e il freddo; dove il buco che serve da finestra, non ha ripari e lascia, a stento, passare la luce e giù dal tetto sconnesso e senza riparo, scende… la piova… In verità, non so che pensare della vantata civiltà presente (…). E quando per via mi imbatto in uno di quei pellagrosi, non abbastanza alterati nella mente per essere ricoverati all’ospedale, ma dall’occhio perduto, dalla fisionomia apatica, come uno schiaffo mi percuote il viso, a me nutrito, (…). Visitando le scuole, si scoprono sopra 100 fanciulli, almeno trenta scrofolosi, anemici, rachitici”.
Coinvolto nel movimento “la boje” che si sviluppò negli anni 1884-’86 fra le masse contadine del mantovano e delle province limitrofe, Romei fu testimone al processo conclusivo alle Assise di Venezia nel febbraio 1866, e approfittò di quella occasione per denunciare e documentare alla pubblica opinione, le condizioni alimentari e igieniche, assolutamente insufficienti, dei contadini mantovani da lui analizzate nella doppia veste di medico e di presidente e fondatore della associazione dei contadini di Portiolo.
Romei sin dal 1882 organizzò e diresse numerose leghe, società di lavoratori, cooperative di consumo e di credito, case del popolo ed ebbe una vastissima popolarità fra le masse contadine della provincia per la sua opera altamente umanitaria meritandosi l’appellativo di “medico di poveri”.
Romei fu un riformista convito, imbevuto di quel pragmatismo organizzativo che fece del mantovano una delle zone dove maggiore e complessa fu la diffusione del socialismo. Entrò in contatto con Francesco Siliprandi e con Enrico Ferri delle fila della Democrazia Radicale, vivendo direttamente il dibattito che in quegli anni si sviluppò circa le forme organizzative del movimento operaio. Il 30 luglio 1893, il dott. Romei presiedette la riunione che sancì ufficialmente l’adesione delle 29 società aderenti alla Federazione delle cooperative, al Psi. Così anche Romei con un gruppo di giovani riformisti (Zibordi, Zanardi, Bonomi, Vezzani) si trovarono a militare nel partito socialista. Per la lotta che Romei condusse, venne eletto al Consiglio provinciale (1902-1912). “Il Romei – sostiene lo storico Rinaldo Salvadori – oltre aver curato la sezione della Federazione riguardante le Società di Mutuo Soccorso e ad aver indicata la soluzione più valida, ebbe il merito di studiare il modo di vita, i bisogni e le sofferenze delle piccole comunità rurali, le sue osservazioni, disseminate in articoli di giornale, discorsi celebrativi, in opuscoli, non si inseriscono in una visione organica della realtà e non si basano su un metodo scientifico di studio. Né egli pone il problema fondamentale di natura politica, ossia la creazione su di un piano nazionale delle condizioni necessarie alla vita degli organismi della classe lavoratrice; Romei portò invece la sua azione dal basso cercando di creare in un solo Paese, e in un gruppo di Paesi o nella sola provincia, un’organica vita di solidarietà e di sudata costruzione di una società nuova. A volte, oltre al fuoco missionario, si avverte in lui una limitazione di compiti, che d’altra parte gli impedisce di cadere nell’utopia, sebbene questa costituisca per lui una tentazione”. Con la reazione crispina del 1894, Romei per aver proclamato la sua fede socialista, venne condannato a 50 giorni di confino. Nel 1901 Romei consolida il suo prestigio in campo nazionale, essendo eletto nel primo Consiglio nazionale della Federterra. In qualità di riformista ebbe duri scontri, nelle lotte interne del Psi con Enrico Ferri e Gatti. L’avversione verso questi due personaggi lo portò ad allontanarsi momentaneamente dal Psi ed essere presente al convegno riformista di Ostiglia indetto da Bonomi. In realtà Romei riteneva la formazione politica di Bonomi in grado di salvaguardare l’autonomia e l’indipendenza delle organizzazioni di base. Poi venne l’espulsione di Ferri e Gatti dal Psi e l’adesione dell’Associazione terrazzieri alla Camera del Lavoro. Il reingresso delle organizzazioni delle terre mantovane e di Romei nel Psi e la polemica antiaferriana che ne aveva causato il distacco, conclusero l’attività politica di Romei. Una lunga malattia lo tenne lontano da Mantova e l’aggravamento del male lo costrinse a stare nelle poche stanze della Casa del popolo di Portiolo, a lui sempre riservate e dove si spense il 28 gennaio 1916. Così il “medico dei poveri” anche nell’ultimo istante della sua vita, volle essere vicino ai lavoratori

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