Nitti Francesco Saverio: la romanzesca evasione da Lipari
04 agosto 2004
di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - anno 4 - numero 42- 18 novembre 2001
Francesco Saverio Nitti, già presidente del Consiglio, nella prefazione all’edizione italiana (1946) del libro scritto da Francesco Fausto Nitti, suo nipote, dal titolo Le nostre prigioni e la nostra evasione (il libro fu pubblicato per la prima volta in inglese a Londra e New York, nel 1930, con il titolo Escape, ed ebbe un grande successo e molte traduzioni), scrisse fra l’altro: "…da Lipari ogni fuga pareva impossibile. La piccola isola, lontana da ogni terra continentale, aveva (nel 1929) cinquecento deportati politici. Ma vi erano a custodirli circa seicento guardie e vi erano nell’isola abili agenti di polizia. Navi da guerra ben armate, battelli rapidi con motori potenti, forniti di mitragliatrici e di cannoni, circondavano l’isola e facevano continuo servizio di vigilanza".
Ma nulla sembrava impossibile a tre giovani animosi, confinati dal regime fascista a Lipari, decisi di affrontare anche la morte, per gli ideali di libertà. Questi giovani erano: Carlo Rosselli (1899-1937), Emilio Lussu (1890-1975), Francesco Fausto Nitti (1899-1974).
Carlo Rosselli, apparteneva ad una ricca ed illustre famiglia di patrioti democratici. Prese parte alla grande guerra. Laureato in economia politica, insegnò questa materia all’istituto Superiore di Firenze. Dopo l’uccisione di Matteotti aderì al Psu. Nel 1926 organizzò l’evasione dall’Italia di Filippo Turati, assieme a Ferruccio Parri, Sandro Pertini, Oxilia e Da Bove, Rosselli e compagni, vennero arrestati e dopo mesi di carcere, furono processati dal Tribunale di Savona e i giudici, malgrado gli ordini severi del governo, dettero una pena mite, per cui furono condannati a dieci mesi di carcere per "aver fatto espatriare senza passaporto un avversario del regime".
Scontata la pena, Mussolini ordinò la deportazione. Così Carlo Rosselli fu inviato all’Isola di Lipari a scontare cinque anni di confino.
Emilio Lussu, nato in Sardegna, si laureò giovanissimo in giurisprudenza. Fu il glorioso ufficiale della "Brigata Sassari". Durante la prima guerra mondiale, Lussu fu ferito e decorato di quattro medaglie al valore per atti eroici compiuti. Divenne il più popolare combattente sardo. Finita la guerra, fondò il Partito Sardo d’Azione, che proclamò immediatamente di combattere ogni forma di reazione e di dittatura. Eletto deputato al Parlamento nel 1921 e nel ’24. Nel 1926, dopo l’attentato di Bologna a Mussolini, i fascisti cagliaritani decisero – presente il prefetto – che la notte stessa avrebbero fatto una dimostrazione sotto la casa di Lussu, avrebbero assalito e invaso l’abitazione e Lussu, sicuramente sarebbe stato ucciso. Della cosa Lussu venne avvertito, anziché fuggire e nascondersi, rimase in casa, in attesa, deciso di vender cara la pelle. Verso le ore 23, un vocio venne dalla strada; erano i fascisti, forse un migliaio, tutti armati. Già si alzarono grida minacciose di morte per Lussu. La porta resistette e allora i fascisti decisero di dare la scalata ai balconi. Quando la testa del primo assalitore comparve sul balcone, Lussu sparò e l’assalitore piombò a terra, morto. Bastò quel solo colpo d’arma da fuoco perché i mille fascisti coraggiosamente fuggissero in tutte le direzioni. Poi, Lussu venne arrestato dai carabinieri. Dopo un anno di carcere preventivo, vi fu l’istruttoria per il processo. Anche in questo caso Mussolini ordinò che Lussu, deputato, eroe di guerra, leader di partito, pericoloso avversario del fascismo, venisse condannato a molti anni. Ma, a quel tempo la Magistratura, non ancora completamente asservita al regime, assolse Lussu in istruttoria, affermando che non vi era luogo a procedere, avendo egli agito in stato di legittima difesa. A quel punto Mussolini ordinò la deportazione di Lussu per cinque anni di confino da scontarsi nell’Isola di Lipari.
Francesco Fausto Nitti, figlio di Vincenzo Nitti, pastore protestante della chiesa metodista italiana, nipote dell’illustre statista F. Saverio Nitti, apparteneva ad una agiata famiglia di antiche e gloriose tradizioni patriottistiche e repubblicane. Era impiegato di banca e, appena l’età glielo consentì, partì volontario nella prima guerra mondiale. Nel 1924 fondò, con altri giovani, la "Giovane Italia", associazione segreta antifascista.
Arrestato dalla polizia nel 1926 e condannato – per le sue idee ma anche per il nome che portava – a cinque anni di confino politico e tradotto nell’isola di Lipari.
I tre subirono la pena con serenità, ma in realtà si preparavano per la fuga, ma non parlarono con nessuno di questo loro disegno. Gioacchino Dolci, repubblicano, avendo scontata la pena di tre anni a Lipari, aveva fatto ogni sforzo per studiare tutti i piani possibili di evasione. Arrivato a Parigi, aiutato validamente dalla moglie di Rosselli, inglese di nascita, preparò quel piano che fu attuato. Era la notte del 27 luglio 1929 e i tre fuggitivi raggiunsero a nuoto la barca ch’era venuta a salvarli. Ebbe così inizio la loro evasione, il battello era comandato dal capitano genovese Oxilia.
Carlo Rosselli descrisse mirabilmente quell’avventura: "Alba caliginosa su acqua smeraldina e palpitante. Sorge il sole a tenerci compagnia, lontano a sinistra appare Marittimo, ultimo brano di terra italiano. Dietro c’è la base navale… A mezzodì – scrisse Rosselli – l’Africa appare. La costa viene verso di noi con esasperante lentezza… Alle ore 15 gettiamo l’ancora a ridosso di un promontorio deserto e tormentato. Primo contatto con la terra libera; terra d’esilio… Siamo tutti protesi verso l’avvenire. Vogliamo lavorare, combattere, riprendere il nostro posto. Un solo pensiero ci guiderà nella terra ospitale: fare di questa libertà personale, faticosamente riconquistata, uno strumento per la riconquista della libertà di tutto un popolo".