Longhena Mario, il treno della fratellanza
04 agosto 2004
di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - 05 marzo 2002 - anno 5 - numero 18
Sul socialismo municipale esiste una storia e una tradizione che merita un capitolo a sé. Infatti lo tratteremo prossimamente. Quello che illustreremo ora è solo una nobile vicenda cui fu protagonista all’Istruzione nella famosa amministrazione Zanardi a Bologna dal 1914 al 1920. Si tratta del prof. Mario Longhena che era nato a Parma nel 1876 e proveniva da una povera famiglia operaia che, con molti sacrifici e una piccola borsa di studio, riuscì a frequentare i corsi di lettere dell’Università di Bologna e laurearsi brillantemente in storia antica. Nel 1902 si iscrisse al Psi e si trasferì, quale insegnante, a Bologna. L’attività dell’Amministrazione comunale di Bologna guidata da Francesco Zanardi e quella contemporanea di Milano presieduta da Emilio Caldara, rappresentarono, negli anni comprendenti la prima guerra mondiale, il primo grande esperimento dei socialisti nel campo della politica municipale, svolto pur in mezzo alle vicissitudini degli eventi bellici e sotto l’ispirazione dei più schietti sentimenti di solidarietà umana verso tutti i cittadini. Il 28 giugno 1914, Milano e Bologna, nella tornata delle elezioni amministrative, elessero rispettivamente 64 e 48 consiglieri e mentre si annunciava questa strepitosa vittoria, correva la notizia della strage di Sarajevo e sorsero i primi e fondati timori d’una guerra.
"…Rompendo la tradizione che durava dal giorno dell’unificazione nazionale – scrisse Nazario Sauro Onofri – ma anche prima, solo i nobili avevano diritto di governare la città, i socialisti bolognesi insediarono a Palazzo d’Accursio una amministrazione della quale facevano parte 21 operai, 17 professionisti, 5 impiegati, 3 commercianti e 2 ragionieri. ‘L’avvenire d’Italia’ arrivò a parlare di "tirannide plebea" sulla città. (…) La classe operaia era diventata legalmente e democraticamente classe dirigente della città. E quegli uomini, noti o no, erano i rappresentanti della nuova classe che il ‘suffragio quasi universale’ aveva portato alla direzione della città". Ma, come ho promesso all’inizio, è di un episodio di grande solidarietà umana che l’assessore Mario Longhena visse nel 1919.
"Si sapeva – scrisse Longhena – che il vicino impero d’Austria, diventato repubblica è ridotto a pochi territori a lingua tedesca, viveva una vita grama: la fame imperava a Vienna, terribile, e l’inverno 1919-’20 si annunzia apportatore di morte per tanti piccoli, che su questi hanno sempre pesato le guerre. Le notizie erano veramente dolorose e chi soffriva di più erano i lavoratori, e dei lavoratori i figlioli, trascurati durante la guerra e ancor più trascurati ora. Un atto si doveva compiere e doveva essere compiuto da chi sapeva l’abisso che la guerra aveva scavato. Chi poteva dire: gli austriaci sono nostri fratelli, andiamo in loro soccorso perché la fame li strema? La parola poteva essere pronunciata solo dai socialisti, e noi la pronunciammo". Fu quindi stabilito un accordo fra il comune di Milano e quello di Bologna per andare a Vienna a prendere i bambini austriaci e portarli un po’ in Italia. Milano e Bologna chiesero soltanto che il governo intervenisse per i mezzi di trasporto, ai viveri da lasciare e al resto avrebbero pensato le due amministrazioni. Infatti si riuscì ad ottenere due treni. Ciò fu necessario perché nelle ferrovie austriache, per mancanza di carbone, non circolava nessun treno. L’Austria dopo l’armistizio era sotto l’amministrazione militare. Il Comune di Vienna era amministrato da socialisti; era sindaco il Dr. Reumann e vice sindaco Max Winter, un giornalista, amico dei socialisti italiani. Ottenuti i due treni si dispose: quello da Milano con a capo il sindaco di Caldarea e quello da Bologna con a capo l’assessore Mario Longhena. S’era sotto Natale e l’incontro con le autorità comunali austriache fu molto cordiale in una atmosfera ove si consolidarono sinceri sensi di fratellanza. Le autorità militari italiane misero a disposizione automezzi per spostamenti in città. L’ultimo giorno dell’anno 1919 alla Sudbahnnhof di Vienna partirono i due treni con i 600 bambini per Milano e i 600 per Bologna. La stazione era affollata dai parenti dei bimbi, piangenti, ma sicuri che l’Italia avrebbe guardato la fanciullezza viennese con cuore materno. Maestre ed assistenti viennesi accompagnarono i fanciulli e le fanciulle. Passato il confine italiano, in tutte le città dove il treno passava; molta gente e operai, accorsi per vedere il treno della fratellanza e del socialismo, manifestarono la loro simpatia. I fanciulli viennesi arrivati a Bologna furono portati alla Colonia di Casaglia, dove tutto fu preparato per loro: letti, cibi caldi, docce, giocattoli ed una squadra di maestre conoscitrici del tedesco. "… è inutile dire – scrisse Longhena – che l’adattamento fu facile. Dopo qualche giorno erano tutti ben ambientati.
Le visite frequenti di organizzazioni e di privati, i molti doni di affetto; donne del popoli si improvvisarono mamme per parecchi, lavoravano per essi, cucivano e recavano settimanalmente doni: volevano le buone donne, che i fanciulli non sentissero il dolore dell’assenza della mamma".
Quattro mesi durò il soggiorno dei piccoli. Intanto si levarono le proteste, non dai vecchi avversari, ma da quelli nuovi. Il fascismo nasceva ed agiva. Si protestava contro il comune che manteneva 600 bambini di nemici recenti. Da questa protesta all’accusa di anti-italianità il passo fu breve. Da Roma venne l’invito di por fine all’ospitalità. Il 30 aprile 1920, fra una folla plaudente il treno partì da Bologna e il 1° maggio giunse a Vienna e alla stazione ferroviaria, altra folla plaudente. Il partito socialista viennese volle fare una festa in quella sede, davanti la quale sorse più tardi, un busto di Giacomo Matteotti. Quello che fu il treno della fratellanza, ritornò a Bologna vuoto ed i compagni ripresero la loro vita, che ogni giorno diventava sempre più dolorosa.