Lombardi - Milano, commemorazione del 25 aprile 2005
01 settembre 2005
Intervento del prof. nome Decleva in occasione della posa della lapide presso la Prefettura di Milano
Signor Presidente della Repubblica, Signori Ministri, Autorità, Signore e ~
gnori,
a poco più di vent'anni, ormai, dalla scomparsa, Riccardo Lombardi si conferma nel ricordo e nella memoria storica come uno dei protagonisti della vita politica repubblicana. Un protagonista dalla rigorosa e lucida intelligenza, insofferente dei compromessi, spesso scomodo e controcorrente, capace anche per questo di attrarre e di affascinare: o di suscitare reazioni opposte.
Non è sorprendente che un personaggio, nelle vicende generali e di partito di quegli anni, abbia assunto cariche pubbliche solo due volte e per breve tempo.
Una di queste è quella di prefetto di Milano, sessant'anni fa: la circostanza alla quale è dedicata la lapide scoperta questo pomeriggio.
Lombardi aveva a quell'epoca 44 anni. Valiani nelle sue memorie lo ricorda "egualmente incline alle ampie sintesi teoriche e alla lotta a fondo sul terreno pratico".
Siciliano della provincia di Enna, venuto a Milano, ventenne, per laurearsi
in ingegneria al Politecnico, antifascista senza tentennamenti, partecipe di
alcune azioni di protesta e di propaganda, nell'anno 1930 Lombardi era stato arrestato e portato nella Casa del Fascio di piazza Belgioioso, dove venne duramente picchiato, ricavandone la frattura della mascella e la lesione permanente di un polmone. Cultore di studi «"OI-.omid e lettore, come è stato rilevato, di Schumpeter e di Keynes più che di Marx ostile per abito mentale e per esperienza alle “enunciazioni localmente risonanti” e alle affermazioni di principio disgiunte dalle “precisazioni di un programma di realizzazione concreta”, Lombardi era stato tra i fondatori ed era tra i dirigenti del Partito d’Azione, serbando per più aspetti anche in seguito, nella militanza all'interno del PSL la traccia di quella esperienza.
Che toccasse a lui il ruolo di prefetto di Milano non appena la città fosse
insorta era stato stabilito dal CLNAI già da vari mesi. E a quell'investitura e
alle sue implicazioni Lombardi fece significativamente riferimento allorché, qualche giorno dopo il 25 aprile, in occasione dell'insediamento
dell'Amministrazione alleata, ringraziò per l'avvenuta conferma della “designazione del CLN” riconoscimento dell’opera del CLN stesso nel suo ruolo di guida “del popolo italiano nelle ore più difficili della sua storia”
Non erano parole dette a caso. Non per niente, in più occasioni, in anni successivi quelle vicende, Lombardi avrebbe identificato
senza esitazioni il problema politico centrale della Resistenza nel dilemma
rottura o continuità con l'antico ordine delle cose, a questa connettendo
l'altra questione per lui sostanziale del ricambio della classe dirigente, di cui l'epurazione avrebbe dovuto essere parte integrante, mentre sarebbe toccato agli organismi nati dalla Resistenza costituire l'ossatura su cui costruire il nuovo stato.
Lombardi visse in realtà gli otto mesi in cui fu titolare della prefettura di Milano, prima di entrare come ministro dei Trasporti nel primo Governo De Gasperi (il secondo incarico pubblico al quale ho accennato), mescolando e intrecciando le preoccupazioni e la visione più propriamente politica e di partito dei processi in atto con le responsabilità della carica, alle prese, in tali funzioni, con i problemi e le urgenze del periodo.
Le migliaia di edifici pubblici e privati distrutti o danneggiati; i servizi da riattivare; i rifornimenti da assicurare; i trasporti da ripristinare; i profughi e gli sfollati ai quali dare ricovero: tutti abbiamo negli occhi se non altro le immagini fotografiche di quella desolazione. E si poneva, naturalmente, impellente e urgente, il problema dell'ordine da reintrodurre. Una delle prime ordinanze del nuovo prefetto stabilì “l’immediata sospensione delle fucilazioni arbitrarie disposte in seguito a provvedimenti sommari da parte di formazioni di volontari e di sedicenti tali”. E occorreva anche, per quanto possibile, distinguere
tra soIuzioni di forza maggiore, come tali inevitabili, e ragioni di
principio e di prospettiva. Tale il caso del blocco dei licenziameti, che secondo il prefetto non avrebbe potuto protrarsi sine die: "bisogna avere il coraggio di dire che sarà stato del tutto inutile avere salvato fisicamente l'apparato produttivo della industria italiana se poi con una cattiva politica economica lo mettiamo in condizioni di non funzionare".
Concludendo in dicembre il suo mandato, Lombardi avrebbe rivendicato in un'intervista a "Milano Sera" il merito di lasciare la provincia di Milano "in una situazione di tranquillità sociale". il bilancio gli appariva positivo anche sul piano più propriamente politico: "Questi otto mesi di amministrazione della
provincia di Milano, hanno dimostrato il valore costruttivo dell'organismo
popolare sorto dalla Resistenza".
In quegli stessi mesi Lombardi si era in realtà reso conto degli sviluppi via via intervenuti che avevano determinato un progressivo restringimento delle prospettive rispetto agli auspici, e alle illusioni, di qualche mese prima.
L'obiettivo di fondo, "la nascita di una democrazia in Italia", non gli appariva tuttavia irraggiungibile. E non dovevano ancora considerarsi perdute le speranze in "un partito rivoluzionario moderno", quale avrebbe dovuto essere il Partito d'Azione, pur nella consapevolezza dei suoi limiti, delle sue manchevolezze organizzative, dell' esiguità della sua base di massa, della prevedibile modestia dei suoi esiti elettorali: "indiscutibilmente il numero dei suoi deputati sarà infinitamente inferiore al numero dei suoi fucilati: tuttavia, io so che se questa forza mancasse la democrazia italiana sarebbe impoverita".
Con questi stati d'animo, sperando di ritornare presto a Milano, una città alla quale si sentiva particolarmente legato, Lombardi si apprestava a lasciare questo palazzo e l'incarico che vi aveva ricoperto. In attesa delle nuove e non facili situazioni, degli elementi di convergenza, ma anche delle nuove lacerazioni e del lungo, tormentato cammino che sarebbe seguito.
Un cammino iniziato in ogni caso, o ricominciato - al di là di tutte le disillusioni,
nella diversità ineliminabile dei punti di vista e degli itinerari che si sarebbero percorsi - in quei giorni di aprile di 60 anni fa, quando, assumendo i poteri prefettizi, Lombardi aveva dichiarato di volerli usare "per la realizzazione dello scopo della nostra vita, che è di creare un’Italia democratica capace di assumere il suo posto in un'Europa unita e libera e in un mondo alla fine sottratto all'incubo della guerra e dell'oppressione"