Giaele: storia d’una donna coraggiosa
04 agosto 2004
di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - 30 giugno 2002 - anno 5 - numero 26
"I compagni di Molinella mi hanno conquistata. Se un giorno dovrò iscrivermi ad un partito non sarà che quello socialista". Così, nel 1927, Giaele Franchini Angeloni disse al marito Mario Angeloni ad Ustica. Mario Angeloni veniva da una famiglia repubblicana di Perugia, Giaele era figlia dell’avv. Enrico Franchini, noto repubblicano ed ultimo sindaco di Cesena prima del fascismo. Perciò tutto faceva credere che anche Giaele fosse repubblicana, ma ad Ustica conobbe Massarenti ed il gruppo dei lavoratori di Molinella. Da questi incontri Giaele si entusiasmò talmente da confessare al marito la scelta di diventare socialista. Mario Angeloni disse: "Brava, hai fatto una buona scelta". Giaele Franchini nacque a Cesena il 22 gennaio 1898, frequentò il liceo classico. Nel 1918 conobbe Mario Angeloni, tenente di Cavalleria, e si fidanzò. Mario Angeloni fu decorato di medaglia d’argento e nominato tenente effettivo per meriti di guerra. Finita la guerra riprese gli studi e si laureò in legge. Nel 1921 Giaele e Mario si sposarono e si stabilirono a Perugia. Giaele aveva seguito il marito che venne avviato al confino come nemico del fascismo, prima a Lipari, poi ad Ustica ed infine a Ponza. Nel 1928, Angeloni grazie ad una amnistia poté tornare libero. Mario e Giaele Angeloni si stabilirono a Cesena, sempre sotto stretta ed insopportabile sorveglianza della polizia. Nel 1932 Mario Angeloni, con l’aiuto di Gigino Battisti (il figlio del martire) riuscì ad emigrare clandestinamente in Francia. Giaele voleva raggiungere il marito, ma le autorità di polizia le negarono il passaporto, però alla fine lo ottenne, così poté finalmente raggiungere il suo Mario a Parigi. I coniugi Angeloni vissero a Parigi in dignitosa povertà. Nel 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile. Franco si sollevò in armi contro la legittima repubblica, con l’aiuto di mezzi e truppe tedesche e italiane. Angeloni non ebbe esitazioni e con Carlo Rosselli si recò a Barcellona dove venne costituita la Colonna italiana, con Angeloni comandante militare, Rosselli Commissario politico e Berneri rappresentante degli anarchici. Nella battaglia di Monte Pelato, Mario Angeloni combatté e cadde da prode. Gli ultimi pensieri di questo eroe furono per i suoi compagni di fede, per le sorti della battaglia e per Giaele, la compagna della sua vita. Barcellona, dopo avergli reso imponenti funerali ha voluto intitolare a suo nome una via della città.
Giaele decise di rimanere in Spagna. Un giorno andò con Berneri dov’era caduto il suo Mario. Vicino a Ponte Pelato c’era una ambulanza con camera operatoria, dono alla Repubblica spagnola da parte dei sindacati svizzeri. Giaele chiese ed ottenne di lavorare lì come infermiera, visto che già aveva il diploma di crocerossina. Era felice del suo nuovo lavoro. Un giorno arrivò Luigi Campolonghi il quale comunicò che il Console italiano a Barcellona era scappato, dal momento che Mussolini aveva riconosciuto il governo franchista, gli antifascisti italiani decisero di mettere uno di loro al posto del console e di affidare la gestione alla Lega italiana dei diritti dell’uomo. Giaele capì subito lo scopo di quella visita e la sua risposta fu decisamente negativa. Essa era vicina a Monte Pelato, e poi, temeva di non essere all’altezza del compito. Alla fine anche bruscamente, Campolonghi la convinse; quindi tornò a Barcellona dove l’aspettava molto lavoro da fare. Spesso Giaele doveva recarsi a Valenza, sede del governo repubblicano, per sbrigare pratiche, a volte riservate e scabrose, da trattare direttamente col ministro degli Interni o con quello degli Esteri. Prezioso fu l’aiuto di Pietro Nenni il quale molte volte l’accompagnava dai vari ministri. Giaele visse i giorni drammatici dell’eccidio degli anarchici a Barcellona e l’assassinio di Berneri (1937) e del ritiro, deciso dalle grandi potenze, delle Brigate Internazionali dalla Spagna (1938). Le sorti della guerra in Spagna erano ormai decise. Con la disfatta della Francia (1940) Giaele fu inviata dal Governo di Vichy al confino in un paesino pirenaico. Però, con l’aiuto di Faravelli, visse clandestinamente a Marsiglia in attesa di imbarcarsi per il Messico. Nell’ottobre 1941 riuscì, via mare, a giungere ad Algeri e di lì, in treno, a Casablanca. Infine un piroscafo portoghese la sbarcò a Vera Cruz il 16 dicembre 1941. Arrivò in Messico grazie all’aiuto dei nostri connazionali in America, poté così salvarsi dai campi di concentramento francesi e tedeschi ed allontanarsi dall’Europa in fiamme. Quando finalmente seppe che l’Italia fu libera e che era sorto il primo governo antifascista, cercò di mettersi in contatto con Tarchiani, nominato Ambasciatore negli Usa e con Nenni, ministro degli esteri, per poter tornare al più presto in Italia. Nel marzo del 1946 dal Messico giunse a New York, ed infine imbarcata sulla nave "Vulcania" giunse in Italia. A Roma poté abbracciare i suoi cari, la madre, il fratello, il cugino Giuliano Vassalli la cui madre era la sorella di Mario Angeloni, la famiglia Nenni, Sandro Pertini e tanti altri amici. Al suo ritorno in Italia, avrebbe potuto avanzare richieste e nutrire aspirazioni ad incarichi di responsabilità, invece la buona Giaele s’accontentò di un modesto impiego presso la Direzione del Psi, dove lavorò fino al momento del pensionamento. Tornò nella sua città natale, Cesena, fu attiva e presente nel lavoro della locale sezione del Psi e del Circolo "R. Morandi". Fu anche l’indimenticabile Sigfrido Sozzi a convincerla a scrivere le sue memorie, cosa che avvenne con il libro: "Nel ricordo di Mario", cui recentemente è uscita la seconda edizione. Giaele Franchini Angeloni morì a Cesena il 26 gennaio 1991. Ho voluto ricordare questa intrepida combattente per la libertà ed i sacrifici che condivise col marito, al fine di ricordare tante donne, piccole e grandi eroine; madri, mogli figlie e sorelle di tanti militanti socialisti che in tutti i tempi, silenziosamente, con tanta dignità e coraggio, divisero le sorti dei loro cari. Di poche sappiamo qualcosa, eppure furono tantissime; nessuno o solo pochi parlarono di loro, eppure le loro storie sono grandi esempi di fede e di amore.