Filippini, promotore di leghe contadine

04 agosto 2004

di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - anno 4 - numero 43 - 25 novembre 2001

Negli ultimi anni del XIX secolo e ai primi anni del 1900, si ebbe una svolta del Psi nelle Marche e, considerato che il partito non arrivava al governo del Paese, poté arrivare invece alle amministrazioni degli Enti Locali; amministrazioni popolari (socialisti, radicali e repubblicani) in cui venne trasferito il "programma minimo" che comprendeva i principali punti programmatici: più scuole, refezione gratuita, modificazione dell’imposta famiglia, abolizione o diminuzione del dazio di consumo, miglioramento dei servizi igienici e sanitari e previdenza per i dipendenti comunali, municipalizzazione. Ed è su "Il progresso" – giornale dei socialisti di Pesaro – del 27 luglio 1902 che venne presentato il programma dei partiti popolari a Pesaro e dove venne scritto fra l’altro: "… i partiti popolari, mantenendo le idee e i programmi che li distinguono, scendono uniti e concordi nella lotta amministrativa per conquistare alla democrazia il Comune di Pesaro e per dargli un nuovo indirizzo di civiltà e di progresso conforme ai veri interessi del Paese e alle aspirazioni di libertà politica e di giustizia sociale del popolo lavoratore". Nel 1903 fu eletto consigliere e poi assessore al Comune di Pesaro, un giovane avvocato, Giuseppe Filippini (nella foto del 1919). Giuseppe Filippini nacque a Pesaro il 12 febbraio 1879. Dopo il Liceo Classico nella sua città, si recò a Roma dove si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza. Qui si trovò con altre matricole e studenti più anziani, impegnati ad apprendere e diffondere le idee socialiste. Il giovane Filippini ascoltava con entusiasmo le lezioni di Enrico Ferri, allora libero docente di diritto penale, poi frequentò le lezioni di Antonio Labriola. Il giovane studente notò come lo stile sarcastico del filosofo del materialismo storico, facesse l’effetto del sublimato corrosivo su tutte le altre dottrine, ed anche sull’eloquenza di Ferri. In una nota autobiografica, dettata per Alessandro Schiavi, Filippini scrisse: "… tornato a casa, la politica mi acciuffò per i capelli. Nei nostri siti (provincia di Pesaro Urbino) nei primi anni del secolo (XX) il proletariato era inerte e nessuno gli si avvicinava. Lampeggiavano qua e là le ultime scintille dell’Internazionale; i repubblicani battevano il passo con la morale mazziniana, con poco Dio e manco popolo; i cattolici predicavano Cristo in Chiesa; i padroni non cedevano nulla del loro potere quiritario, contenti di chiamarsi liberali dietro le spalle della sopravvenuta monarchia. Direi che la strada era quasi libera e il Partito socialista vi irruppe con sicura baldanza, avendo alla testa giovani di genuina fede come Alfredo Faggi, uomini maturi dell’esperienza di lavoro come Alessandro Simoncelli e, un po’ più discosto dalle nostre file ma più esposto come avanguardia democratica, la nobile figura di Ettore Mancini". Su "Critica Sociale" dell’1/16 settembre 1894, apparvero delle riflessioni dell’avv. Domenico Spadoni, sulla situazione delle campagne marchigiane. "… penso che il socialismo – scrisse Spadoni – non trionferà se non quando i contadini saranno entrati come forza cosciente nel movimento internazionale del proletariato; purtroppo tutta questa classe agricola – la maggioranza della popolazione totale – è tuttora una popolazione di morti". Spadoni in questo suo saggio indicò alcun aspetti organizzativi ed economici per associare i contadini ed offrire loro cooperative di lavoro e di consumo. Associati in tal modo ai contadini l’idea della resistenza non tarderà a farsi strada. Giuseppe Filippini divenne sindacalista, quasi senza volerlo. Un giorno si trovò in mezzo alle setaiole che volevano scioperare. "… e lo sciopero fu proclamato – scrisse Filippini nella citata autobiografia – senza "lesa" e senza un soldo per la resistenza. Ma lo sciopero riuscì perché c’era l’affetto solidale della popolazione… poi vennero i muratori, i metallurgici, gli artigiani". Nel 1906 l’avv. Filippini condusse un’intensa attività di organizzazione dei mezzadri per la riforma dei patti colonici e per la costituzione delle leghe in tutto il pesarese, specie nei comuni agricoli, abitati in parte da braccianti e operai, ai quali diede finalmente una struttura associativa. Il 1° aprile 1906, gettava le basi della prima Lega contadina a San Pietro in Calibano e, l’anno successivo, vi inaugurò la cooperativa di consumo. Nel 1907, dopo il successo della lotta sindacale per i patti agrari, Filippini s’impegnò alla costituzione della Camera del Lavoro di Pesaro, contribuendo alla sua direzione come membro della Commissione esecutiva. Filippini dal 1904 al 1914 partecipò a quasi tutti i Congressi nazionali del Psi, mantenendosi sempre sulla linea riformista di Filippo Turati. Candidato nelle elezioni del 1913, non riuscì eletto, venne invece eletto deputato nel 1919. Nel 1922 passò al Psu di Turati e Matteotti. Con l’avvento del fascismo, pur rimanendo fermo nelle sue idee, non si occupò più di politica e divenne uno dei più rinomati avvocati del Foro pesarese. Nel luglio 1943 riallacciò contatti organici con esponenti antifascisti e con vecchi compagni. Durante la resistenza, rappresentò il Psi nel Cln provinciale. Finita la guerra fu membro della Consulta Nazionale e nel 1946 fu deputato alla Costituente. Nel 1947 seguì Saragat. Nel 1948 fu senatore di diritto. Giuseppe Filippini lasciò scritto quello che può considerarsi il suo testamento spirituale: "… un monito a far bene può venire dagli anziani, ma riallacciare il passato al presente, ridare vita al socialismo che fu nostro e sarà certamente guida per l’avvenire dei lavoratori italiani, questo miracolo sarà compito dei nuovi, dei giovani che sopraggiungono con l’ansietà e la fede di un sacro ideale". Giuseppe Filippini, morì a Pesaro il 29 gennaio 1972.

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