Bellotti Benedetto: sindacalista riformista del ‘900

04 agosto 2004

di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - 13 ottobre 2002 - anno 5 - numero 37

"La vita italiana dopo il 1900 scorse per oltre un decennio feconda di opera e di speranze. Non che si entrasse in una sorta di età beata o di età dell’oro, che son cose che né la filosofia né la storia conoscono.
Ma, come nella vita dei singoli vi sono anni nei quali si coglie il frutto degli sforzi durati, delle esperienze compiute e patite, e il lavoro si fa agile e largo, così nella vita dei popoli (…) furono quelli i tempi di respiro, di pace, di alacrità, di prosperità".
Così Benedetto Bellotti, nella sua "Storia d’Italia" illustra il periodo di quella epoca "giolittiana" che va dall’inizio del XX secolo alla prima guerra mondiale. Naturalmente, la visione liberal-borghese con la quale Croce era solito a dare i suoi giudizi politici, impedì di cogliere quei limiti e quelle contraddizioni del momento storico che sarebbero poi esplose.
Milano, ebbe sempre una parte di primo piano sul quadro politico nazionale, dopo le cannonate di Bava-Beccaris, aveva eletto a stragrande maggioranza una giunta di sinistra (socialisti, radicali, repubblicani) alle elezioni amministrative e nel 1901 i deputati socialisti; guidati da Turati, votarono alla Camera la fiducia al Governo Zanardelli.
"Fu questo – sostiene lo storico Mark Smith – il periodo più euforico della moderna storia d’Italia in cui l’agiatezza portò con sé l’ottimismo ed un senso di maggior maturità politica. Giolitti non esagerava proprio quando nel 1911 affermava che nessun altro popolo aveva compiuto in così breve tempo una così profonda trasformazione politica, morale ed economica". Ma in quegli anni a Milano si scontrarono, con alterne vicende, le due opposte anime del socialismo: la riformista e la rivoluzionaria. Il capo indiscusso dei riformisti era Filippo Turati, quello dei rivoluzionari era un giovane trentenne napoletano: Arturo Labriola (le cui vicende "rivoluzionarie" si vedranno nel corso della sua vita). Labriola si era trasferito nella metropoli lombarda perché riteneva che in questa città vi fosse il terreno ideale per verificare le sue idee rivoluzionarie. I rivoluzionari disponevano di un settimanale "Avanguardia socialista" che non lesinava una tipica violenza verbale e propositi barricadieri.
In questo clima si mise in luce un sindacalista riformista, Pietro Bellotti, che in quegli anni era vice segretario della Camera del Lavoro di Milano. Pietro Bellotti, nacque a Romago (Como) il 16 dicembre 1867, figlio di ignoti, fu allevato da una vedova e poté frequentare solo le prime tre classi elementari. A soli 14 anni si trasferì a Milano e trovò lavoro come muratore. Si iscrisse subito alla Lega di resistenza dei muratori dove svolse una notevole attività di propaganda. Nel 1893 divenne segretario della Lega muratori, carica che continuò a ricoprire fino al 1918. Ebbe molti incarichi sindacali e da repubblicano si orientò verso il socialismo e nel 1892 si iscrisse alla sezione socialista milanese. In quegli anni giovanili, Bellotti privilegiò sempre l’attività sindacale a quella politica. Nell’ultimo decennio del XIX secolo, fu più volte arrestato per la sua attività sindacale. Condannato nel 1898 dal Tribunale Militare per i moti di Milano, per sfuggire alla cattura riparò all’estero. Ritornato in Italia nel 1999 si adoperò attivamente a riorganizzare il movimento operaio milanese. Membro del Comitato esecutivo camerale nel 1900, nell’anno successivo, venne nominato vice segretario della Camera del Lavoro di Milano. Convinto riformista riuscì a mantenere la stessa carica anche con la gestione rivoluzionaria della Camera del Lavoro (1904-1905). Candidato alle elezioni politiche del 1904 e a quelle amministrative del 1905, non riuscì eletto. Pietro Bellotti si distinse nella sua attività nelle organizzazioni operaie; diresse scioperi, tenne comizi (vedi foto), conferenze, fu collaboratore di "Battaglia proletaria" e diresse altri fogli della associazione muratori. Per la sua costante presenza fra i lavoratori in lotta, subì processi e condanne. Nel 1912 ricoprì, per breve tempo, la carica di segretario della Camera del Lavoro di Milano e, nello stesso anno, venne chiamato a far parte del Direttivo della Cgdl. Con lo scoppio della prima guerra mondiale e l’entrata dell’Italia nel conflitto, fu condannato ad alcuni mesi di carcere per un comizio antinterventista ad Abbiategrasso. Negli anni successivi fu segretario della Federazione provinciale dei lavoratori della terra.
Sempre fedele allo schieramento riformista nel 1919 fu eletto deputato e riconfermato anche nelle elezioni del 1921.
Nel 1922, dopo il Congresso di Roma, aderì al Psu di Turati e Matteotti e dopo l’avvento del fascismo, abbandonò tutti gli incarichi sindacali e politici e riuscì dopo qualche anno a trovare lavoro presso un magazzino di pellami.
Durante il regime fascista, pur essendo costantemente vigilato dalla polizia, Bellotti conservò coerentemente le sue idee socialiste e mantenne contatti con molti vecchi compagni.
Pietro Bellotti morì ad Erba (Mi) il 3 dicembre 1950.

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