Barbiani e le prime lotte contadine padane

04 agosto 2004

di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - 28 luglio 2002 - anno 5 - numero 30

Il processo per il fatto de "La Boje" del mantovano si svolse a Venezia dal 16 febbraio 1886. Nella gabbia figurarono 17 imputati (altri tre erano latitanti) in carcere da oltre un anno. Diciassette furono i difensori, di tendenze radicali, dove spiccavano le figure di Enrico Ferri (non ancora socialista), giovane docente di diritto penale a Bologna e seguace delle teorie di Lombroso, accanto a lui Giuseppe Ceneri, già difensore degli anarchici nel 1876 al processo di Bologna e docente di diritto all’ateneo bolognese e l’avv. Ettore Sacchi, deputato radicale di Cremona. Ma al processo di Venezia ci fu una presenza che preoccupò non poco la polizia, si trattava del deputato socialista Andrea Costa che seguiva il processo come corrispondente del quotidiano, a quell’epoca radicale, di Roma "Il Messaggero".
L’accusa agli imputati era gravissima; da lavori forzati: attentato contro la sicurezza dello Stato; armando una classe contro l’altra si cercò di suscitare la guerra civile, portando devastazioni, strage e saccheggio attraverso due strumenti che accesero i fermenti nelle campagne: la società di Mutuo soccorso fra i contadini, presieduta dall’ing. Eugenio Sartori e l’Associazione generale dei lavoratori, retta dal possidente ex capitano garibaldino Francesco Siliprandi e dal contadino Giuseppe Barbini.
Andrea Costa ebbe modo di sottolineare, nelle sue corrispondenze, i contrasti che dettero senso a quel processo: l’agiatezza contro l’indigenza; i ricchi contro i poveri. Ma fu soprattutto sull’imputato Giuseppe Barbiani che Costa fissò la sua attenzione: "… giovanotto di trent’anni con due baffi in su che danno al suo bruno viso un aspetto risoluto e fiero". Poi Costa proseguì su Barbiani: "… in quello sguardo vivace e profondo, in quella fisionomia seria, cupa, in quei forti muscoli, nelle idee francamente socialistiche che professa e nell’affetto che hanno per lui i contadini, l’accusa vede, e non ha torto, una minaccia continua contro l’ordine costituito e contro la tranquillità preziosissima dei grandi proprietari". Giuseppe Barbiani nacque a Spineda Lombarda (Cremona) il 6 luglio 1852 da una modesta famiglia di contadini. Finite le scuole elementari cominciò a lavorare sui campi. Trasferitosi a Cremona si occupò prima come cameriere in una osteria poi commesso in un negozio. Con l’aiuto finanziario di un zio prete, aprì un piccolo negozio, ma le cose non andarono bene. Tornò a Spineda ove prese in affitto un piccolo fondo. Spineda si trova in una zona al confine con le province di Mantova e di Cremona e aveva le caratteristiche nei rapporti nelle campagne, tipiche della Bassa Padana: affitto, bracciantato e affermazione capitalistica nelle campagne e sfruttamento accentuato e, infine, diffusione della pellagra. Barbiani, che aveva la stoffa oltre che dell’organizzatore, anche dell’apostolo, riuscì a far penetrare in quella zona, la struttura organizzativa dell’Associazione di Siliprandi. Eletto consigliere e assessore comunale di Spineda, fondò nel 1882 una società di contadini sul modello di quella di Castelluccio Mantovano e, sempre nel 1882 guidò lo sciopero degli operai di Bozzolo e, per questo motivo venne arrestato e tenuto per cinque giorni in prigione. Nel Barbiani vi fu la coscienza del proprio mandato ed efficacia di propagandista. Anche se la sua istruzione poteva definirsi rudimentale ebbe in compenso la capacità assimilativa ed intuito psicologico. Anticlericale per tendenza, usava formule e linguaggio religioso per farsi capire. Infatti i discorsi di Barbiani avevano la forza persuasiva che derivava dalle credenze della religione popolare. Nei paesi, a quell’epoca, si vendevano in piazza come le ballate dei cantastorie, i "Commandamenti del lavoratore" scritti dal Barbiani. Si trattava di una parafrasi del decalogo. Alessandro Luzio sulla "Gazzetta di Mantova" scrisse di allucinazione che aveva contagiato le campagne, una malattia simile a quella dei lazzarettisti dell’Amiata, con sogni di rinnovamento mistico-sociale. E fu proprio nel vasto movimento de "La Boje" che i "Dieci commandamenti del lavoratore" di Giuseppe Barbiani; documento nel quale ogni commandamento della Bibbia, Barbiani ne contrappose un altro, e tale documento ebbe una grande diffusione ed efficacia pratica.
Il 20 dicembre 1883, Barbiani scrisse: "… è venuto il momento opportuno in cui i lavoratori debbono stringersi in lega compatta, la fame batte alle nostre porte, la miseria e la carità pelosa ci avviliscono, l’ignoranza è l’avvenire dei nostri figli. Ogni momento perduto per noi è un immenso guadagno per i nostri avversari, la nostra discordia è l’arma più poderosa con cui sanno tenerci schiavi. Uniamoci tutti, uno per tutti e tutti per uno. Forti del nostro numero facciamo valere i nostri diritti, forti della nostra solidarietà mostriamo la nostra potenza". Nel pomeriggio del 27 marzo 1886, si concluse il processo di Venezia: tutti assolti ed immediata scarcerazione. Un grande applauso sottolineò la sentenza. Anche Andrea Costa apparve commosso. Barbiani si trasferì in un primo tempo a Cremona. Divenuto membro del Psi fu per un breve periodo funzionario della Camera del Lavoro di Cremona ma, condannato per aver organizzato uno sciopero, si rifugiò in Svizzera, ove vi rimase sino al 1897.
Ripresa l’attività politica e sindacale, Barbiani costituì a Spineda nel 1901 una Lega di resistenza tra i contadini locali, al posto della vecchia Società di Mutuo soccorso.
Ormai avanti con gli anni, non si hanno ulteriori notizie di attività politico-sindacale. Giuseppe Barbiani morì a Spineda il 9 dicembre 1939.

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