Acciarini e lo sciopero a Torino del 1944
04 agosto 2004
di Giuseppe Manfrin
da Avanti della Domenica - anno 4 - numero 35 - 30 settembre 2001
Filippo Acciarini nacque a Sellano (Pg) il 5 marzo 1888 da famiglia marchigiana. Infatti, nel 1898, la famiglia Acciarini ritornò nel suo luogo di origine: Recanati (Mc). Qui il giovane Filippo svolse gli studi medi e aderì giovanissimo al Psi. Abbandonata la famiglia in seguito a contrasti col padre per ragioni politiche, si trasferì a Roma ed entrò come impiegato nelle Ferrovie di Stato. Partecipò con impegno alle lotte del sindacato ferrovieri e nel 1911 venne trasferito d’autorità a Tivoli e nel 1913 inviato a Torino, dove trascorse il resto della sua vita. Antibellicista, con lo scoppio della prima guerra mondiale venne arruolato nel Genio ferrovieri. Al Congresso di Livorno del 1921 si batté contro la scissione comunista ed entrò a far parte della direzione del "Grido del popolo".
Nel 1923, dopo esser stato licenziato dalle Ferrovie, fece parte della redazione dell’"Avanti!". Acciarini si schierò decisamente contro Serrati e i tentativi di liquidare il Psi con la fusione coi comunisti. In quegli anni fu autore di una accesa polemica con i comunisti e con Gramsci in particolare, sulla diversa concezione delle funzioni e dei rapporti dei sindacati operai.
Con l’avvento del fascismo Acciarini fu il segretario della Federazione socialista riorganizzata segretamente. Nel 1927 venne arrestato per sospetta attività sovversiva e successivamente rilasciato per insufficienza di prove. Nel 1930 trovò impiego presso la Società dei Telefoni e vi rimase fino al 1942. Nel 1943 entrò a far parte della direzione del Partito Socialista e, poi, ebbe l’incarico di curare l’edizione clandestina dell’"Avanti!" di Torino. Filippo Acciarini partecipò attivamente all’organizzazione del grande sciopero dei lavoratori torinesi che si svolse nel marzo 1944.
"Lo sciopero generale del marzo 1944 – scrisse Francesco Giovine – che, sotto l’apparenza economica non riusciva a nascondere il suo significato politico, è un vero gesto di sfida delle masse popolari alla tirannica dominazione nazi-fascista; può assumersi a simbolo di una trasformazione maturatasi rapidamente ed ineluttabilmente: da questo momento le forze popolari salgono alla ribalta della lotta di liberazione per condurla senza esitazione fino al suo esito vittorioso attraverso i loro organi rappresentativi: i Comitati di Liberazione Nazionale".
Filippo Acciarini che, come già detto, curava la stampa dell’"Avanti!" clandestino torinese, fece un ampio resoconto sullo sciopero e che apparve sul numero 14 del marzo 1944 del giornale socialista. La mattina del 1° marzo 1944 a Torino, non tutti gli operai poterono recarsi al lavoro, perché, durante la notte erano stati fatti saltare i binari della ferrovia Cirié-Lanzo e della Torino-Brunasco. In molti stabilimenti gli operai raggiunsero i posti di lavoro, ma rimasero inattivi. Alla Fiat-Mirafiori, dove le maestranze erano circa 15.000 e in qualche altro stabilimento, commissioni di operai chiesero di conferire con le rispettive direzioni. Tale richiesta venne respinta. Stanchi di stare con le mani in mano durante l’ora della refezione, gli operai abbandonarono le officine senza bollare la cartolina d’uscita. Ciò si verificò alla Fiat Mirafiori, Lingotto, Spa, Aeronautica, Rivella, Zerboni, Cimati, Borselli, Zenith e alla Manifattura tabacchi dove venne fatta saltare la centrale elettrica. In quella prima giornata si ebbe una astensione attorno al 50 per cento. Il prefetto, d’accordo col Comando tedesco fece affiggere un manifesto nel quale era detto che se gli operai non riprendevano subito il lavoro, tutti gli stabilimenti sarebbero stati chiusi a tempo indeterminato; che le maestranze sarebbero state licenziate con la perdita di quanto era loro in credito e un determinato numero di operai sarebbe stato deportato; che agli esonerati sarebbe stato tolto l’esonero ed inviati ai corpi. A questa provocazione di pretta marca teutonica i lavoratori torinesi risposero astenendosi, con maggiore compattezza, del lavoro. Alle maestranze già in sciopero, si aggiunsero infatti, dal 2 marzo, anche quelle della Fiat Fonderie e Centro, della Microtecnica, della Spa, della Stipel e di parecchie altre di minore importanza. Gli industriali e le Direzioni non intervennero in alcun modo. Intimidazioni di diverso genere vennero da zelanti fascisti i quali sostenevano: "O lavorate, o verranno i tedeschi, con le armi, a farvi lavorare". Al terzo giorno lo sciopero venne effettuato anche dalle maestranze della Fiat-Grandi Motori, dalle Acciaierie, dalle Ferriere e dal Materiale ferroviario. In questa giornata, pure una discreta percentuale di tranvieri urbani aderì allo sciopero. Alla fine del quarto giorno, il Comitato di agitazione del Psi, constatato il pieno successo del movimento e quindi della protesta che era riuscita solenne ed ammonitrice diramò l’ordine di ripresa del lavoro. "Lo sciopero – era scritto nel diffuso volantino dal Comitato d’agitazione del Psi – effettuato in questi quattro giorni allo scopo di protestare contro le autorità fasciste e naziste che, governando arbitrariamente l’Italia settentrionale, hanno instaurato un regime di miseria, di schiavitù e di terrore, che non ha precedenti nella storia, è riuscito una grandiosa dimostrazione di maturità classista e di compattezza disciplinata". Acciarini che aveva curato il resoconto di quel memorabile sciopero sull’"Avanti!" clandestino, non poté mai leggerlo, perché la Gestapo lo aveva arrestato, trasferito prima a Milano poi al campo di concentramento di Fossoli (Mo). Ai primi di agosto 1944, Acciarini venne deportato a Mauthausen, dove, in seguito alle crudeli privazioni e alle sevizie sofferte, morì il 1° marzo, 1945.