Andrea Caffi. Scritti scelti di un socialista libertario

a cura di Sara Spreafico, prefazione di Nicola Del Corno - Milano, Biblion 2008

Rileggere oggi alcune pagine di Andrea Caffi (1887-1955) significa rimanere meravigliati della loro stupefacente attualità; costringono a riflettere passi come la descrizione del politico che egli paragona ad una “lastra opaca” fra realtà drammatiche e buone intenzioni della democrazia, perfettamente inserito nell’“ambiente cordiale, soffice, un po’ fittizio dei parlamenti, delle giunte, dei comitati, ecc. ...” tra altri “onesti e benemeriti fautori del progresso la cui “... serenità ... personale li aiuta a sopportare con pazienza le inevitabili imperfezioni di ogni opera umana, la lentezza con cui retrocede il male, lo squallore dei compromessi”. Parole scritte da Caffi in esilio nel 1934, ma che non stonerebbero in questi nostri giorni di crisi tra politica e società. Caffi ha la sua peculiarità in un essere fuori dagli schemi, che costringe ancora critici ed esegeti ad esercizi di virtuosismo nel descriverlo sinteticamente: “eremita socievole” “socialista libertario”, “proudhoniano gurvitchiano”, ma forse era semplicemente un democratico, senza bisogno di aggettivi. La riedizione di alcuni tra i suoi saggi più importanti, a cura di S. Spreafico, mette in luce, oltre alla sconfinata cultura dell’intellettuale, la raffinatezza della sua analisi di temi cruciali che egli affronta ponendo al centro delle sue analisi l’individuo e la società, vista come ente necessario a contrastare lo Stato, nella scia dell’insegnamento di Georges Gurvitch che ne indica la funzione principale nella realizzazione di un “diritto sociale” che riesca a contrastare lo strapotere delle macchine burocratiche: partiti e, appunto, lo Stato. Accanto a saggi di teoria e filosofia politica qui riproposti (Nuova generazione, I socialisti, la guerra e la pace, Individuo e società, Società e gerarchia e Critica della violenza), vengono riproposte le acute Osservazioni sulla rivoluzione russa (1932), nelle quali Caffi, mettendo a confronto gli scritti di O. Bauer, K. Kautsky e F. Adler, fa emergere la propria originale posizione, quella del rigetto dei meccanismi coercitivi propri alla degenerazione stalinista del leninismo, legata alla teorizzazione del “socialismo in un solo Paese”, pur nella consapevolezza dell’Autore delle sostanziali differenze tra totalitarismo nazi-fascista e comunista: il primo figlio della volontà di annientamento di classi “inferiori”, il secondo figlio, pur corrotto, di un’idea primitiva di eguaglianza fra uomini. Apparentemente disgiunta dagli altri saggi, è l’avvincente Cronaca di dieci giornate; non un saggio, appunto, ma un vero e proprio reportage, coinvolgente e circostanziato, scritto in uno stile scarno ed essenziale, di getto, nel 1924, a pochi giorni dai fatti, ritratto impietoso di un omicidio di Stato, il delitto Matteotti: una delle pagine più tragiche della storia d’Italia, un’onta mai lavata. La descrizione di un manipolo di delinquenti autorizzato a rapire e ad assassinare l’onorevole socialista; la rete di pubblici funzionari preposti alla sicurezza pubblica che si fa carico di proteggere gli assassini; il questore che sapeva quando nessuno poteva ancora sapere; le parole del capo del Governo che si affretta a minacciare chiunque osi alzare “speculazioni d’ordine politico”; il regime che trema, per un ultimo sussulto di moralità del Paese che, forse, se guidato con una maggiore energia avrebbe potuto portare a conseguenze estreme fino alla caduta del Governo; gli stracci che volarono fra gerarchi fascisti, impegnati a scaricare responsabilità e colpe gli uni sugli altri; Sua Santità che, “per non fare un dispiacere a Mussolini”, evita di ricevere la madre e la moglie di Matteotti dopo il funerale... Una vicenda oscura e indegna di un Paese civile, figlia di una rivoluzione che Caffi definisce “millantata rivoluzione”, fatta da “demisoldes dell’arditismo o pescicani in spe” ... Dal punto di vista strettamente giudiziario, a conclusione della vicenda dell’omicidio di Matteotti, si avranno il non luogo a procedere nei confronti del quadriumviro De Bono, la scandalosamente mite condanna per omicidio preterintenzionale per solo alcuni degli squadristi colpevoli dell’efferato omicidio, e solo nel 1947 al condanna a trent’anni per alcuni di essi; e da molte parti, ancor oggi, la ostinata negazione di ogni responsabilità a carico di Mussolini. E a questo proposito, non si può non ricordare la deposizione di C. Guerzoni, già collaboratore di Aldo Moro, davanti alla Commissione Stragi, il 6 giugno 1995, con la sua teoria dei “cerchi concentrici”: “Per cerchi concentrici ognuno sa che cosa deve fare. Non è che l’onorevole X dice ai servizi segreti di andare l’indomani mattina ... a mettere la bomba ... Al livello più alto si dice che il Paese va alla deriva, che i comunisti finiranno per avere il potere. Al cerchio successivo si dice: ‘Guarda che siamo preoccupati. Che possiamo fare? Dobbiamo influire sulla stampa.’ Così si va avanti fino all’ultimo livello, quello che dice: “Ho capito.” E succede quello che deve succedere. Nessuno ha mai responsabilità diretta? In realtà è avvenuto questo processo per cerchi concentrici”. La Cronaca di Andrea Caffi disegna alla perfezione questo processo, nel riportare il clima tetro di quei giorni, le parole violente degli onorevoli colleghi del deputato socialista, i brani ingiuriosi e irridenti del Corriere Italiano, del Popolo d’Italia, dei giornali degli Arditi, le dichiarazioni sguaiate e volgari di gerarchi certi dell’impunità, in un’espansione a cerchi concentrici che avrebbe condotto poco più avanti al celebre discorso con il quale il Duce, respingendo l'accusa di un personale coinvolgimento diretto nel delitto, se ne sarebbe assunto tuttavia "la responsabilità politica, morale, storica". Il momento, come scrisse Caffi, dell’inizio della “lotta seria e difficile”.
Simonetta Pelusi

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