MA NOI SOCIALISTI SIAMO IL MEDICO O LA MALATTIA? – da Il Riformista del 10 settembre 2007
14 settembre 2007
Come ha riferito venerdì scorso su questo giornale Alessandro De Angelis, Bobo Craxi auspica che Veltroni scelga «come maggiore alleato un partito di solide tradizioni socialiste» perché «questo binomio può governare l'Italia». Un bel passo avanti rispetto al centro-sinistra Moro-Nenni. Boselli, del resto, nel presidiare l'equilibrio di governo che c'è non si discosta dal peggior De Martino (quello che il binomio lo aveva fatto con Rumor). E Turci imita Giacomo Mancini nell'immaginare alleanze plurali, a sinistra sui diritti civili e a destra sul mercato del lavoro.
Niente di male, ovviamente, nel rivisitare una più che rispettabile galleria degli antenati. Peccato, però, che in essa manchino i ritratti di Lombardi e di Craxi (Bettino), i quali coltivavano ambizioni maggiori di quelle riducibili a un binomio, e spesso non rinunciavano a proporre opa ostili nei confronti della Dc, del Pci e dei partiti laici per ristrutturare un sistema politico che ai socialisti andava decisamente stretto.
Su questi binari, temo, la stazione d'arrivo del treno della Costituente socialista avrà per insegna falce, martello e libro, più che un garofano o una rosa. Il partito che nascerà, cioè, sarà il partito «medio e intermedio» di cui parlava Bobbio alla vigilia del Midas, «necessario ma non sufficiente», destinato ad essere ingrediente di coalizioni guidate da altri. E non è detto che questa non sia la meta preferita da molti dei viaggiatori, che probabilmente avranno appreso con un sospiro di sollievo dell'accordo raggiunto fra i promotori della Cosa rossa. Che c'è di meglio, infatti, per un partito «medio e intermedio», che avere spazio fra una sinistra d'opposizione e un centro che guarda a sinistra ?
Non c'è bisogno di citare il Diciotto Brumaio, peraltro, per dubitare dell'attendibilità di questa ripetizione. E non solo perché il fallimento del sistema politico della seconda Repubblica non determina la pura e semplice restaurazione di quello della prima. Perché nell'Europa di Sarkozy a stento c'è spazio per due poli, figuriamoci per i partiti «medi e intermedi». I promotori del partito democratico lo hanno vagamente intuito, anche se in corso d'opera stanno facendo di tutto per dimenticarsene. Ma il giudizio severo sul «compromesso storico bonsai» non si giustifica se non ci si colloca nella stessa prospettiva - quella dell'unità dei riformisti, ma anche della semplificazione del sistema dei partiti - malamente perseguita da postcomunisti e postdemocristiani.
Rispetto a questa sfida i socialisti possono legittimamente respingere gli appelli tardivi e un po' svogliati di Veltroni, ma devono comunque decidere se essere il medico o la malattia: se, cioè, lo sforzo, sicuramente apprezzabile, di superare la diaspora e di aprirsi a significativi contributi di gruppi estranei alla storia del Psi ha comunque per orizzonte l'unità dei riformisti, o se invece mira soltanto a lucrare un'ennesima rendita di posizione. In questo caso fanno benissimo a spingere i democratici sempre più al centro e a fare corpo coi partiti minori per scongiurare riforme elettorali punitive. Nell'altro caso, invece, sarebbero loro a lanciare nei confronti del partito democratico un'opa ostile, alla quale potrebbero aderire anche quanti dubitano che basti il bagno di folla delle primarie per emendare i vizi d'origine del progetto, ma non rinunciano all'idea di costruire in Italia una forza di sinistra riformista a vocazione maggioritaria. Quarant'anni fa questa era già l'idea di Fernando Santi, quando auspicava che «forze che si muovono in tutti i campi, in quello cattolico, in quello socialista, in quello comunista» dessero vita a un partito «fedele ai principi della democrazia e della libertà, nel rispetto della coscienza di ciascuno e di tutti, capace di offrire un'alternativa alla guida ed alla gestione moderata del potere». Potrebbe essere, oggi, l'idea di un partito socialista che rinasce non per coazione a ripetere, ma per rendere un altro servizio alla democrazia italiana.