Padova, 3 novembre 2006 - Intervento di Enrico Boselli al Congresso dei Radicali Italiani

03 novembre 2006

Le idee, le proposte, le innovazioni che sono state alla base della RnP sono ancora vive e valide. E’ soprattutto importante ancora oggi l’intuizione che fosse necessaria una nuova forza politica in grado di portare avanti l’iniziativa riformista e riformatrice nel campo della libertà e della giustizia sociale.
Non è, quindi, entrata in crisi l’idea della Rosa nel Pugno. E’ invece in crisi la realizzazione della Rosa nel Pugno. Il nostro progetto infatti non è stato ancora realizzato, stenta a decollare, resta del tutto informe e privo di una sua fisionomia politica ed organizzativa.
Questa nostra difficoltà nasce dalla delusione per il nostro risultato elettorale, assai inferiore alle attese.
Siamo stati al di sotto del 3% e per di più non è stata riconosciuta, almeno finora, la nostra rappresentanza al Senato.
Questa è la madre della nostra crisi.
Il padre della nostra crisi è il risorgere per intero del valore delle nostre identità, quella socialista e quella radicale.

Non bisogna dimenticarci che, poco dopo la conclusione del ciclo elettorale, voto politico e voto amministrativo, abbiamo rischiato persino lo scioglimento del nostro gruppo parlamentare alla Camera. Nei mesi trascorsi non c’è stata in campo la Rosa nel Pugno, se non a sprazzi: ci sono stati i socialisti, ci sono stati i radicali.
Non è stata una crisi organizzativa quella che stiamo vivendo ma una crisi politica. La Rosa nel Pugno ha bisogno di un rilancio politico. Senza un rilancio politico, non possiamo illuderci di sviluppare e far crescere la Rosa nel Pugno.
Ma, se esiste una questione politica, in che cosa consiste? Se siamo d’accordo nel portare avanti temi fondamentali nel campo dell’innovazione economica, delle libertà e dei diritti, dove sta il problema? Si discute tra di noi sul peso politico che avremmo o non avremmo nella politica italiana. Chi può misurare il peso politico?
Noi, come Rosa nel Pugno, abbiamo fatto una scelta strategica: abbiamo partecipato e sostenuto il centro sinistra in contrapposizione al centro destra e dentro il centro sinistra ci siamo posti il problema di rappresentare un motore riformista e riformatore.

Noi, come Rosa nel Pugno, non siamo e non possiamo essere a metà del guado tra il centro sinistra e il centro destra.
Noi, come Rosa nel Pugno, apparteniamo al campo della sinistra e dei progressisti in Europa e a livello internazionale, siamo contro le destre e contro i conservatori.

Noi non possiamo pensare che si possa scegliere indifferentemente tra la sinistra e la destra, ipotizzando che ci possa essere una destra, magari in Svezia, che sia più riformista della sinistra.

Siamo contro il centro destra non solo perché Berlusconi ne incarna un’anima populista ma anche e soprattutto perché da quel versante della politica non può venire un vero e proprio impulso riformatore. Non pensiamo che vi sia una "trasversalità riformista" come la somma di ciò che c’è di meglio nella sinistra e nella destra.
Questa non è la posizione dei socialisti, ma l’Abc di tutte le forze politiche europee e generalmente nel mondo. Sappiamo bene che nella sinistra allignano posizioni conservatrici, corporative e immobilistiche contro le quali combattiamo noi riformisti e riformatori, ma questa articolazione non ci deve far perdere di vista ciò che è il principale antagonismo nella politica.
L’esistenza di una destra innovativa non significa che sia nata una destra riformatrice. Non tutti coloro che vogliono innovare sono riformatori.
Per la sinistra riformatrice, anche quando partecipa a governi di grande coalizione, non viene meno la differenza che sussiste tra destra e sinistra.
È vero che su alcuni temi, come i diritti civili, la laicità o la battaglia contro il proibizionismo, vi possono e vi sono convergenze tra settori della sinistra e settori della destra. Con queste intese trasversali si possono portare avanti battaglie importanti nel Paese e in Parlamento, ma non si può realizzare uno schieramento politico sufficientemente omogeneo per sviluppare un processo riformatore.
Noi in Italia ci troviamo di fronte a pesanti anomalie rispetto alle grandi democrazie europee: nel nostro Paese sin dagli albori dell’unità d’Italia il Vaticano ha un peso eccessivo nella politica; almeno sino al 1989 abbiamo avuto a sinistra il più grande partito comunista dell’Occidente democratico che di fatto ha impedito lo sviluppo del bipolarismo e l’alternanza al governo di schieramenti diversi e contrapposti; esistono tuttora nel centro sinistra ben due partito comunisti e comunque l’estrema sinistra ha un peso superiore al 10% dell’elettorato; il Sud del nostro Paese continua a registrare un divario rispetto al centro Nord su tutti i piani, quello economico, quello sociale e quello culturale; il corporativismo, il familismo amorale e il clientelismo sono una malapianta che non si riesce ad estirpare; il senso civico generale del Paese è assai basso, come si vede nello scarso rispetto delle regole e in quella che è diventata una vera emergenza nazionale, com’è l’evasione fiscale; l’antiamericanismo, la simpatia per regimi autoritari di sinistra, l’antipatia per il mercato sono assai diffusi non solo a livello comune ma anche nelle élites intellettuali.
Tutto ciò rappresenta un masso difficile da rimuovere sulla strada delle riforme.
Il centro sinistra italiano, oggi al governo, risente di questo antico retaggio.
Essere riformisti e riformatori in Italia richiede coraggio, determinazione e pazienza.
Di questi limiti, e non potrebbe essere altrimenti, risente il Governo Prodi che va avanti con affanno nel cercare di trasformare il Paese. La manovra economica e finanziaria è nei suo contenuti un esempio di questo stato di cose. Nella Finanziaria è contenuta una opera di risanamento dei conti pubblici a carattere strutturale che ci riporta entro un anno nei parametri europei. Dobbiamo pagare l’eredità di 15 miliardi di euro che ci ha lasciato Berlusconi, una bolletta di 3 miliardi di euro per ogni anno del suo governo. Il Paese che ci ha lasciato il Governo Berlusconi è in una condizione assai peggiore di quello che il centro sinistra aveva lasciato nel 2001. Fare questa operazione in un anno senza ricorrere allo strumento fiscale era impossibile. Se si vuole infatti razionalizzare la spesa pubblica, bisogna avviare un’opera pluriennale. Sappiamo quali sono i temi da affrontare: occorre una diversa ripartizione della spesa sociale tra le generazioni, per cui è necessaria una riforma delle pensioni in grado di tenere conto della rivoluzione demografica in corso; bosogna dare una forte spinta alle liberalizzazioni del nostro mercato nel quale regnano corporazioni, monopoli ed oligopoli; occorre abbassare lo straordinario livello del nostro debito pubblico che genera interessi esorbitanti e pesanti per i nostri conti; è necessario un avanzamento nel campo delle libertà in un paese nel quale tutti si sentono intercettati e controllati, ad esclusione del Fisco, e in quello dei diritti civili, a cominciare dai Pacs.
La Finanziaria non poteva affrontare tutti questi temi, ma avrebbe dovuto e dovrebbe dare un impulso alla crescita. Si è tentato di farlo con la riduzione del cuneo fiscale. Tuttavia, questa operazione è stata congegnata in modo macchinoso e non efficace, come avrebbe potuto essere. Si è affidato a questa operazione sul versante dell’Irpef un compito di redistribuzione del reddito che si può fare molto meglio incrementando i servizi sociali, invece di dare piccoli e spesso insignificanti sgravi fiscali ai redditi più bassi. Si sono concessi sgravi a pioggia nel fronte dell’Irap alle imprese, con qualche eccezione, senza distinguere tra quelle esposte alla concorrenza internazionale e quelle, come la grande distribuzione commerciale, che ne sono al riparo e senza riuscire a dare a tutta questa operazione la forza di un impulso alla ricerca e all’innovazione.

È mancata, quindi, una missione che si affiancasse a quella del risanamento. Eppure avrebbe dovuto essere chiaro che l’Italia doveva puntare le sue carte sull’innovazione, sulla ricerca e sull’istruzione secondo le indicazioni della tanto osannata quanto poco praticata Agenda europea di Lisbona.

Noi ci stiamo battendo con il nostro gruppo parlamentare della Rosa nel Pugno, guidato da Roberto Villetti, per dislocare risorse sul fronte dell’Agenda di Lisbona sui cui temi il governo dovrebbe presentare un collegato entro il 15 novembre come ha suggerito il nostro ministro Emma Bonino.

Avvertiamo, quindi, in tutta la sua portata il contrasto all’interno del centro sinistra, tra riformisti, massimalisti e conservatori. Il limite principale del governo, che si è riflesso nella Finanziaria, consiste nell’essersi rinchiuso in un patto neocorporativo, che scontenta chi ne ha tratto i maggiori vantaggi, come la grande impresa, e chi invece non è riuscito ad avvantaggiarsene.
Da questa Finanziaria dobbiamo trarre una lezione: bisogna chiudere definitivamente il capitolo delle elargizioni, degli incentivi, degli sgravi settoriali e particolari, dei crediti d’imposta. Puntare invece a investire le risorse pubbliche in infrastrutture e sicurezza, con priorità al Sud (si veda il dramma che sta vivendo Napoli) e in innovazione, ricerca, istruzione, valorizzazione del nostro patrimonio artistico e naturale. Occorre un salto di qualità.
Ecco il compito della Rosa nel Pugno: farsi artefice di un grande progetto per l’Italia per uscire da un capitalismo rinchiuso in se stesso, pronto a propagandare il libero mercato per poi chiedere aiuti dello Stato e magari sollecitare persino i prepensionamenti; contrastare il conservatorismo che troppo spesso caratterizza i sindacati sempre più portati a difendere lo status quo.
Dobbiamo, però, sapere che per portare avanti questo progetto abbiamo bisogno di due fondamentali strumenti: un partito e una politica di alleanze. Non possiamo sviluppare questo nostro progetto con la generosità, la fantasia e la pazzia di Don Chisciotte e il realismo, la prudenza e la praticità di Sancho Pancia.
Così non si va da nessuna parte.
Non basta montare su una piattaforma e dire che cosa è giusto fare.
Noi dobbiamo intessere alleanze con i tanti riformisti che ci sono nel centro sinistra e diffidare invece dei tanti falsi riformisti che ci sono nel centro destra, quelli - tanto per intenderci - che invocano il libero mercato, quando poco prima hanno guidato la rivolta dei tassisti a Roma contro il "Decreto Bersani". Da qui deve nascere l’interesse della RnP verso il cantiere del Partito Democratico, dove accanto a teodem integralisti e conservatori, ci sono veri riformisti e veri riformatori.
Se c’è una trasversalità da coltivare è quella tra i riformisti e i riformatori all’interno del centro sinistra. Io, poi, resto convinto che Romano Prodi vada annoverato a pieno diritto tra i riformisti e i riformatori.
È solo la convinzione che non siamo soli che ci può far pensare che non stiamo battendoci per battaglie perse in partenza.
Non credo che riusciremmo a perseguire questo obiettivo, se lavorassimo scommettendo su una caduta del Governo Prodi e sulla costruzione di una grande coalizione.
Non credo, infatti, che attraverso questa via faremmo più speditamente le riforme, ma probabilmente cancelleremmo l’unica vera innovazione politica sinora introdotta: il bipolarismo.
L’antico consociativismo italiano riprenderebbe quota e ritorneremmo in una condizione nella quale a prevaler sarebbero sicuramente i conservatori sui riformisti.
Oltre ad una politica di alleanze serve un partito.
Non penso affatto a un partito vecchio stile, burocratizzato, arroccato nelle sue caste dirigenti e rinchiuso in se stesso.
Non penso, però, neppure a un partito che sia solo un forum di dibattito.
La Rosa nel Pugno non può essere né uno Sdi un po’ più grande e neppure un partito radicale un po’ più grande.
Noi dobbiamo puntare ad un partito che introduca nella scena politica italiana una grandissima novità nel suo assetto democratico: essere fondato, almeno per quanto riguarda le scelte più importanti, sia per le candidature sia per i programmi, su meccanismi di decisione che facciano partecipare le elettrici e gli elettori della RnP attraverso primarie e referendum.
Per una prima fase io ritengo che dovremmo costruire una forza politica, un partito federato, dove non possano prevalere né i socialisti e né i radicali e dove si possano contagiare le diverse e distinte identità.
Questo nuovo partito non può vivere solo al vertice e dal vertice ricevere direttive quotidiane su tutto. L’Italia è un Paese dove è assai sentito e praticato il moderno principio della sussidiarietà verticale, secondo cui spetta decidere - per quanto è possibile - a coloro che sono più vicini ai problemi da risolvere. Del resto l’istituzione più popolare dei nostro Paese sono i Comuni e gli esponenti più popolari sono i sindaci. Un partito che partecipasse solo alle competizioni nazionale ed europee non sarebbe un partito ma solo un movimento, per quanto importante, senza radici e - aggiungo - con un futuro assai incerto. L’Italia ha retto a tante crisi e i cittadini hanno conservato qualche fiducia nelle istituzioni democratiche grazie anche alla vita politica locale, dove sono sempre presenti i problemi della vita quotidiana di ogni giorno.
Noi, come RnP, dobbiamo costruire un partito vero che sia un riferimento importante e permanente nella vita politica italiana. Se non riusciremmo a costruire insieme un partito federato, i socialisti sono destinati ad andare in una direzione e i radicali in un’altra: ci ritroveremo, come abbiamo sempre fatto, attorno a grandi battaglie laiche e libertarie, ma avremmo perso la grande occasione di fare una nuova forza politica laica, socialista, liberale e radicale. I tempi sono stretti. C’è un tempo per il dibattito, ma ora è arrivato il momento delle decisioni. Un ulteriore rinvio non servirebbe a nulla se non a far appassire e consumare fino in fondo il nostro progetto. Noi socialisti siamo pronti a costruire un partito federato da subito. Crediamo nel progetto della RnP.
Dobbiamo - non parlo solo per me - sentirci nella RnP come a casa nostra.
Non è possibile fare un partito insieme con un simbolo che per alcuni è di proprietà e per altri in affitto. Nella RnP non ci sono proprietari ed affittuari.
Occorre uno slancio nuovo, una grande spinta ideale e politica, uno sviluppo del nostro progetto. Voi, compagne e compagni radicali, riuniti in congresso, avete nelle vostre mani il futuro della RnP.
Potete dire a noi socialisti che non siete d’accordo a fare nascere con noi noi una nuova forza politica, estesa e radicata in tutto il Paese, che partecipi alla vita delle nostre istituzioni e alle consultazioni elettorali e che volete invece restare quali siete: un grande movimento che ha in Pannella il leader carismatico e che vuole continuare a fare ciò che ha sempre fatto.
Potete, invece, dirci che siete pronti a fare un partito federato, tutti insieme tra socialisti e radicali, che sia una nuova forza politica nazionale, presente nel governo, nel Parlamento, nell’Euro Parlamento e in tutte le assemblee locali, governato innanzitutto dalle nostre elettrici e dai nostri elettori.
Sono venuto qui per dirvi con franchezza che siamo ad un bivio e che bisogna scegliere.
Io spero che continueremo a camminare insieme perché la RnP è davvero un grande progetto da costruire.

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