Ottobre 2005 - Il programma di Romano Prodi per le primarie
14 settembre 2005
Care italiane e cari italiani,
il 16 ottobre si svolgono le elezioni primarie per scegliere il candidato dell’Unione alla guida del Paese. E’ un momento importante, di partecipazione e di democrazia, una sede di confronto serio e leale tra persone e, soprattutto, tra programmi.
Se avrete la pazienza di leggerle, nelle pagine che seguono troverete esposte quelle che io ritengo debbano essere le linee guida del nostro programma. In questa lettera voglio dirvi, col massimo della semplicità, poche cose soltanto. Poche, ma per me le più importanti.
L’Italia ha bisogno di ritrovare coesione e slancio, ha bisogno di etica, di equità e di responsabilità. Senza questo non troveremo le energie per far ripartire l’Italia e per dare risposte adeguate ai tanti problemi della nostra società, per ritrovare serenità e sicurezza per il nostro futuro.
Tutti insieme, vogliamo e possiamo far ripartire l’Italia, per creare di nuovo occupazione e benessere, per offrire tranquillità e sicurezza alle famiglie, per dare un lavoro vero ai giovani, per permettere alle nostre imprese e ai prodotti italiani di affermarsi nel mondo.
Tutti insieme, ce la possiamo fare. Tutti insieme vogliamo e possiamo tornare a vincere.
Ho detto tutti insieme. Un paese spaccato dalle diseguaglianze è un paese cattivo, che non ha futuro. E’ finito il tempo per i condoni, per i facili arricchimenti, per l’evasione fiscale. E’ tornato il tempo della giustizia, della solidarietà, dello stare insieme. E’ tornato il tempo del rispetto per il lavoro e per lo studio.
Non vi chiedo sacrifici impossibili. E non vi prometto cose fuori dalla realtà. Dobbiamo guardare al futuro, non al passato. Dobbiamo tirarci su le maniche ed essere seri, tutti. A partire da noi politici che abbiamo il dovere di dare il buon esempio.
Vi aspetto tutti il 16 ottobre,
Romano Prodi
Ci sono anche gli altri
La più grande novità dei nostri tempi è la globalizzazione che, in parole molto semplici, vuol dire che ci sono anche gli altri.
Eravamo abituati a un mondo più piccolo, nel quale un gruppo di paesi più ricchi, tra i quali a pieno titolo l’Italia, si divideva la torta delle risorse finanziarie, energetiche e naturali, e in cui quello stesso drappello di paesi competeva per collocare le proprie merci sui mercati. Alla fine degli anni ’80, con la fine della guerra fredda, le politiche di apertura avviate da molti paesi, la liberalizzazione dei flussi finanziari e la diffusione delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, questo mondo piccolo è diventato grande.
’Ci sono anche gli altri’ vuol dire che si gioca in un campo aperto, in cui non sono più solo in pochi a competere per le risorse, gli investimenti, la conquista di mercati, che da locali si sono fatti planetari. Da questo mondo più grande e più aperto non ci si può tirare fuori, perchè chiudere le porte e le finestre significa rinunciare alla pace, alla democrazia, all’integrazione e allo sviluppo. Esserci quindi non è una scelta, ma un fatto, e l’Italia, paese avanzato e democratico, intende esserci da protagonista, adeguando le sue capacità di competere, assumendosi appieno le responsabilità proprie di un grande paese, affermando con vigore i suoi valori.
Tuttavia non tutti hanno accettato questo processo, vivendolo come una forzata imposizione dei costumi, dei valori e del modello sociale occidentali. Da questo rifiuto nasce il terrorismo internazionale che sta così drammaticamente segnando questi primi anni del terzo millennio. E’ una sfida che va affrontata con determinazione, con una lotta senza quartiere alla violenza, ma anche con grande sensibilità politica, fatta di rispetto, di convivenza tra le diversità e di superamento definitivo delle logiche del secolo scorso che vedevano gli interessi di alcuni calpestare i diritti e le aspettative di altri. Ci sono popoli che al processo di globalizzazione e alle straordinarie opportunità che apre, possono partecipare solo da spettatori lontani perché bloccati dalla povertà, dall’ignoranza e dalle malattie. Quei popoli avranno il nostro sostegno, diretto e attraverso politiche multilaterali, perché possano anch’essi costruirsi un futuro non più salendo su precari barconi in cerca di lidi migliori, ma a casa propria, lì dove sono i loro affetti e le loro radici.
Europa: la nostra casa
Il progetto di integrazione europea è nato per costruire una pace duratura nel nostro continente dopo secoli di guerre. L’Europa deve consolidare e ampliare il suo ruolo contribuendo al governo del mondo per garantire pace e sviluppo a livello globale.
Lo deve fare partecipando da protagonista a un governo multilaterale del pianeta affermando i suoi valori fondanti, che sono il riconoscimento delle diversità, l’affermazione dei diritti e la pace. Non pensiamo a un’Europa che imponga il suo modello ma che diffonda i suoi valori attraverso la piena assunzione delle proprie responsabilità e con una politica attiva per il rafforzamento delle istituzioni multilaterali, nella convinzione che la partecipazione di tutti e la convivenza di modelli diversi non sia solo garanzia di pace ma anche motore di uno sviluppo stabile, sostenibile e diffuso.
Il ruolo dell’Europa sulla scena mondiale parte da un rapporto privilegiato e paritetico con gli Stati Uniti, che passa anche attraverso una maggiore capacità di impegno sul versante della difesa e della cooperazione.
Il processo di allargamento dell’Unione Europea è stato un grande successo al quale deve seguire un impegno di attenzione e collaborazione con gli stati confinanti e l’intera area del Mediterraneo. Nello stesso tempo l’Unione Europea deve dispiegare appieno le sue potenzialità di sviluppo all’interno cancellando le residue barriere, rendendo più snella ed efficace la sua azione regolamentare e la sua burocrazia e promuovendo, in una più fluida collaborazione con gli stati nazionali, politiche appropriate per la crescita.
Di questa Europa l’Italia deve essere uno dei protagonisti, recuperando il suo storico ruolo di grande motore dei processi di integrazione, capace di fare la sua parte nel pieno rispetto dei principi della Costituzione e dei trattati internazionali.
Solo l’appartenenza all’Europa può darci la forza di partecipare al governo mondiale secondo le nostre legittime aspirazioni, per affermare i valori di equità e giustizia che sono alla base della nostra visione del mondo.
E’ per questi valori e questa visione del mondo che, così come in alcuni casi abbiamo ritenuto legittima e doverosa la partecipazione militare dell’Italia a importanti missioni di pace, delle quali andiamo orgogliosi, non abbiamo invece condiviso la guerra in Iraq e la partecipazione italiana e per questo riteniamo indispensabile la fine della nostra presenza militare in quel paese. Oggi l’Iraq ha urgente bisogno di sostegno per la sua ricostruzione civile ed economica, da avviare sotto l’egida e la direzione delle Nazioni Unite, e in questo caso l’Italia dovrà fare la sua parte.
SERENITA’ E SICUREZZA
La nostra società è sempre più attraversata da ansie e insicurezze, rese più acute e diffuse dall’esplosione del terrorismo internazionale e dalla presenza della guerra come elemento della nostra vita. Dal Kosovo, passando per l’Afghanistan e per l’Iraq, sono ormai sette anni che la guerra è entrata nella nostra quotidianità e nell’esperienza delle giovani generazioni. E dall’11 settembre del 2001 ci sentiamo, in quanto Occidente, sotto l’attacco del terrorismo
Ma non sono solo la contiguità con la guerra e la permanente minaccia del terrorismo a minare le nostre sicurezze. Nel giro di pochi anni l’Italia si è aperta e oggi milioni di stranieri vivono nel nostro Paese, portando la diversità delle loro culture con le quali spesso non eravamo abituati a confrontarci e, talvolta, portando anche un aumento del tasso di illegalità.
Sul terreno dell’economia l’arrivo di nuovi soggetti con una forte capacità competitiva, come la Cina e l’India, ha determinato in molti la convinzione di non poter reggere l’aumento della concorrenza e, quindi, che il futuro potrebbe riservarci una diminuzione del nostro livello di benessere.
Anche il mondo del lavoro è diventato più competitivo e le certezcertezze che hanno caratterizzato la generazione passata lasciano il campo a una sensazione di precarietà crescente.
Infine c’è il timore che i sistemi di tutela legati allo stato sociale possano non essere sostenibili e quindi che i livelli attuali potrebbero non essere garantiti per il futuro.
La cura dall’ansia non può essere l’angoscia dei diritti limitati, ma l’equilibrio tra il massimo impegno normativo, di polizia, dei servizi di informazione e la massima cura nel preservare i fattori qualitativi più alti di una società libera e democratica.
La sicurezza si costruisce quotidianamente con una politica non solo di contrasto ma con un impegno di lungo periodo per rimuovere gli squilibri, allargare l’area dei diritti e della democrazia e favorire una gestione multilaterale delle tensioni e dei grandi problemi del pianeta.
Il nostro impegno è fare di un senso collettivo della legalità la condizione normale di vita nel nostro Paese. Questo comporta una lotta senza quartiere alla criminalità organizzata che mina la convivenza civile e le potenzialità di sviluppo di grandi aree del paese, ma comporta anche una nuova sensibilità di fronte a tutte le forme di illegalità. Solo in un ambiente ispirato alla cultura della legalità cresce la qualità della cittadinanza, è tutelata la dignità delle persone, è favorita l’attività economica. In questo quadro, la strada per ridurre il rapporto tra l’immigrazione e l’illegalità implica la lotta all’immigrazione clandestina e al lavoro nero e richiede una politica capace di coniugare la garanzia dei diritti con l’obbligo di un puntuale rispetto delle regole e delle norme della nostra società.
Per affrontare le sue insicurezze l’Italia ha bisogno di ritrovare fiducia in se stessa, di ripartire puntando sulle sue grandi potenzialità, di ritrovare il gusto della vittoria. La politica e le istituzioni devono fare la loro parte ma ce la possiamo fare solo tutti insieme.
La nuova competizione internazionale, la precarietà del mercato del lavoro e la preoccupazione sulla tenuta dello stato sociale vanno affrontate ridando qualità allo sviluppo, trasparenza e credibilità ai conti pubblici e modernizzando lo stato sociale.
Siamo impegnati a dare a tutti accesso alla salute, a una buona scuola, a un lavoro di qualità, a una vecchiaia dignitosa. Tutto questo lo possiamo fare solo se il Paese ritornerà a crescere, sul serio.
FAR RIPARTIRE L’ITALIA.
Sono ormai 25 anni che il tasso di crescita dell’Italia è in diminuzione: siamo passati dal 3,6 per cento medio degli anni ’70 al 2,4 degli anni ’80, all’1,7 dei ’90 fino allo 0,7 per cento del periodo 2001-2005 e alla recessione dell’inizio di quest’anno. A partire dal 2001 inoltre è avvenuta una forte redistribuzione della ricchezza che ha penalizzato larghe fasce della popolazione che hanno visto progressivamente peggiorare le proprie condizioni economiche.
La nostra priorità è invertire questa tendenza per tornare a crescere in maniera sostenuta.
Solo con un elevato tasso di sviluppo potremo dare risposta ai bisogni di una popolazione che invecchia e alle speranze di affermazione di tanti giovani e donne.
Dobbiamo anzitutto liberare il campo da una mistificazione: è colpa dell’euro. Quando ci siamo impegnati perché l’Italia entrasse nella moneta unica, eravamo consapevoli che si doveva compiere uno sforzo per aumentare l’efficienza del sistema produttivo. Il continuo ricorso alle svalutazioni aveva minato la capacità competitiva di medio periodo e l’euro imponeva di avviare l’ammodernamento troppo a lungo rinviato del nostro Paese. Quello sforzo non c’è stato e il forte calo dei tassi di interesse e la stabilizzazione valutaria, non hanno potuto dispiegare i loro benefici effetti sull’intera società. E’ così avvenuto quel trasferimento di ricchezza che ha avvantaggiato alcune fasce sociali impoverendone altre, senza un impulso allo sviluppo complessivo.
L’esito di questo processo è che non solo siamo gli ultimi in Europa in termini di crescita ma siamo anche il paese con il quadro economico più squilibrato.
Resta la certezza che l’euro ha consentito all’Italia di reggere in questi anni difficili di turbolenze nei mercati finanziari, valutari e delle materie prime.
Il nostro impegno è rimuovere le distorsioni provocate dall’assenza di adeguati controlli, tornando a un più corretto e sostenibile equilibrio tra i prezzi e i redditi delle famiglie.
Ridurre i costi delle attività economiche.
Sulle imprese italiane gravano costi superiori a quelli sostenuti dalle imprese di altri paesi. Tali costi danneggiano la competitività internazionale dei nostri prodotti e peggiorano le condizioni di vita dei nostri cittadini aumentando i prezzi di beni e servizi. I maggiori costi di cui parliamo sono quelli che dipendono specificamente dalle inefficienze e sperequazioni del ’sistema paese’.
Noi ci impegniamo a rimuoverle. La prima ragione dei costi più elevati è l’inefficienza dei mercati, che va corretta rilanciando le liberalizzazioni in tutti i settori, favorendo piene possibilità di accesso a nuovi soggetti e assicurando a produttori, consumatori e risparmiatori un più efficiente funzionamento dei mercati. Occorre perciò una revisione del sistema di regole e una riorganizzazione delle autorità di garanzia.
Tra i maggiori costi vistoso è il divario di quello dell’energia in Italia rispetto alla media europea. Per rimuoverlo avvieremo una politica che prevederà la piena liberazione del mercato, una politica di risparmio energetico, un grande programma di ricerca finalizzato sia al contenimento dei consumi che allo sviluppo di nuove tecnologie.
Dobbiamo aumentare la qualità della nostra capacità produttiva utilizzando tutte le fonti, rinnovabili e non, allo scopo di soddisfare una domanda crescente e ridurre la dipendenza dal petrolio.
Una grande debolezza del sistema Italia è il peso della burocrazia sulle attività economiche. Questo peso non è più sostenibile. Tra i punti centrali della nostra azione ci sarà la riduzione dei tempi della burocrazia, la revisione del sistema di regole per diminuirne il numero e aumentarne la trasparenza e la trasformazione della cultura delle strutture pubbliche. La pubblica amministrazione deve essere sempre di più un fattore di sviluppo e non un controllore sospettoso e a volte ostile all’iniziativa economica.
Insieme alla burocrazia l’altro vincolo storico allo sviluppo sono le infrastrutture ormai da decenni inadeguate. Questo ostacolo va rimosso con strumenti normativi efficaci, una chiara definizione delle priorità e aprendo il settore in maniera effettiva alla partecipazione finanziaria dei privati.
Ci assumiamo l’impegno a sviluppare sistemi di trasporto nuovi per il Paese: cabotaggio, navigabilità e alta velocità ferroviaria. Ci impegniamo anche a rimuovere le strozzature più gravi del sistema stradale e ferroviario, a riorganizzare il sistema aeroportuale e a completare la rete telematica per rendere accessibile a tutti la banda larga, indispensabile per l’efficienza delle imprese, le attività di comunicazione e lo sviluppo della conoscenza.
Ultimo, ma non in ordine di importanza, è il trattamento fiscale e contributivo del lavoro, assai più oneroso rispetto a quello delle attività finanziarie e delle rendite. Su questo terreno si impongono due linee di intervento. La prima è il riequilibrio del trattamento fiscale, che è una delle ragioni per le quali in questi anni l’investimento in attività puramente finanziarie e speculative si è fortemente accresciuto rispetto agli investimenti produttivi. La seconda è la sostanziale riduzione della differenza tra il costo del lavoro e il salario, dovuta a un ammontare eccessivo di contributi previdenziali e assicurativi, da cui trarranno beneficio imprese e famiglie.
Rimodellare il sistema delle imprese.
Ridotti i costi delle attività economiche, dovremo però affrontare con decisione il problema della struttura del nostro sistema prouttivo, concentrato in settori a basso valore aggiunto, con una dimensione delle imprese troppo piccola e un tasso di internazionalizzazione troppo basso. Ci concentreremo su quattro elementi: il trasferimento tecnologico per aumentare il tasso di innovazione delle produzioni; la crescita dimensionale delle imprese con interventi fiscali e normativi che favoriscano le fusioni, le acquisizioni, la nascita di gruppi e il consolidamento delle filiere; l’internazionalizzazione con sostegni concreti alle imprese che esportano e che affrontano nuovi mercati e con una politica attiva per favorire gli investimenti delle imprese italiane all’estero e delle imprese estere in Italia; la nascita e lo sviluppo di imprese in nuovi settori, anche con grandi progetti di ricerca cofinanziati dal settore pubblico.
Uno dei perni della nuova politica industriale è il rilancio del ruolo dei territori nella formazione di economie e di risorse fondamentali per la produzione, con la riorganizzazione dei distretti e la costruzione di reti di servizi avanzati per le imprese. Ci impegneremo perché il settore dei servizi alle imprese e alle persone faccia un salto di qualità.
La coesione sociale fattore di sviluppo.
La coesione sociale è un elemento fondante della qualità civile di una società, un patrimonio che era stato faticosamente costruito e che negli ultimi anni è stato in parte dilapidato. Noi dobbiamo ricostruirlo, ma in un’ottica nuova. L’insieme dei servizi sociali, la sanità, la scuola, la previdenza, la stessa distribuzione dei redditi non sono, nella nuova ottica, solo il risultato di politiche di redistribuzione, ma parte integrante di un progetto di sviluppo civile, sociale ed economico del paese. Non possiamo pensare di competere riducendo il livello delle tutele e dei servizi sociali né aumentando gli squilibri nei redditi, ma al contrario, dobbiamo valorizzare i fattori di equilibrio e coesione della nostra società per favorirne la crescita.
I due settori più importanti sono la sanità e la scuola. La sanità non è solo un costo: è un grande settore che occupa centinaia di migliaia di persone qualificate, che produce tecnologia e innovazione. Finché continueremo a considerarlo un costo, l’ottica dominante resterà quella dei tagli. Se invece lo percepiremo come un settore importante della nostra società, fermo restando l’impegno ad un razionale ed efficiente impiego delle risorse, potremo dedicare la nostra attenzione allo sviluppo e alla valorizzazione delle competenze e delle grandi potenzialità.
Per il futuro dell’Italia e per il suo sviluppo l’elemento principale è l’istruzione, fattore essenziale per la crescita civile e, nell’età della conoscenza, elemento fondamentale per lo sviluppo del Paese.
Dobbiamo investire in conoscenza diffusa, in qualità ed efficacia dei percorsi formativi, cominciando dalle scuole per l’infanzia fino ai livelli più alti, restituendo valore e dignità ai percorsi formativi tecnici e creando centri di eccellenza. Siamo consapevoli che la scuola è una macchina complessa che ha bisogno di un progetto condiviso e di lungo periodo per dispiegare l’efficacia della sua azione educativa. Dopo dieci anni di riforme e controriforme è giunto il momento di mettere ordine e dare stabilità, valorizzando appieno l’autonomia degli istituti e il ruolo degli insegnanti.
Nell’economia della conoscenza l’università ha un posto centrale sia per la didattica che per la ricerca. La competizione tra atenei è positiva, ma la concorrenza deve essere basata sulla qualità della didattica e della ricerca, e su un più moderno e costruttivo rapporto tra gli atenei e il mondo delle imprese, delle professioni e del lavoro.
Liberare energie e risorse.
La società e l’economia italiane sono in declino anche perché non valorizzano appieno le risorse umane - giovani, donne, immigrati -ambientali e territoriali di cui il Paese è ricco.
In Italia i giovani giungono più tardi dei loro coetanei europei sul mercato del lavoro, sono costretti a una lunga fase di precarietà che per molti rischia di trasformarsi in una condizione permanente.
Questi fattori negativi vanno rimossi. I giovani devono accedere al lavoro con anticipo rispetto ad oggi, avendo completato il ciclo di studi in tempi più brevi. La flessibilità è stata interpretata come precarizzazione che non ha aumentato la capacità competitiva del sistema ma lo ha anzi impoverito.
Dobbiamo rivedere le leggi esistenti e i sistemi contributivi e rendere più conveniente alle imprese investire sulla professionalità dei giovani. Allo stesso tempo dobbiamo riproporre forme di flessibilità legate ai bisogni organizzativi e all’aumento della produttività più che alla riduzione dei costi.
La società italiana ha bisogno di minore precarietà ai livelli medio bassi di impiego, mentre necessita di una cospicua iniezione di competizione ai livelli medio alti. Una competizione che premi il talento individuale e la capacità di lavoro, la creatività e la capacità di leadership. Una competizione orientata a ristabilire il principio di responsabilità.
Le donne in Italia partecipano al mercato del lavoro in misura molto minore rispetto agli altri paesi industrializzati, sono penalizzate nei salari e nelle carriere e poco rappresentate nelle istituzioni e nelle sedi decisionali, nonostante il loro livello di scolarità sia in linea con le medie europee.
Questa discriminazione priva il Paese di una grande ricchezza. I punti chiave da risolvere sono l’accesso, la permanenza nel mondo del lavoro dopo la maternità e le prospettive di carriera e di realizzazione professionale. Va affrontato in maniera decisa il rapporto tra impegno familiare e lavoro, rimuovendo uno degli ostacoli alla natalità e garantendo alle donne e alle imprese una permanente rete di servizi e di normative per sostenere la conciliabilità delle funzioni familiari e lavorative.
Anche l’immigrazione è una risorsa non pienamente utilizzata. Interi settori dell’economia italiana - agricoltura, alcuni comparti dell’industria, turismo, edilizia e ristorazione - sarebbero già paralizzati senza il contributo di lavoratori stranieri. I timori degli italiani per la competizione sul lavoro e nell’accesso ai servizi sociali non possono essere ignorati, ma possono essere superati con un’immigrazione ordinata e controllata numericamente che non leda i diritti di nessuno. Gli assurdi sistemi di accesso e il non governo della qualità dell’immigrazione favoriscono la clandestinità e impediscono la stabilizzazione e l’inserimento degli immigrati nella nostra società. Il tetto numerico va mantenuto perché il processo va governato, ma dobbiamo rivedere la politica delle quote per un’immigrazione di qualità che accolga senza creare clandestinità. Insieme alla selezione dei flussi occorre promuovere e favorire la piena integrazione fino alla cittadinanza.
Risorse importantissime sono l’ambiente, il territorio e il patrimonio culturale del Paese. L’Italia ha una serie di caratteristiche distintive, non ripetibili né esposte - per la loro unicità - alla competizione globalizzata. Queste caratteristiche rappresentano un patrimonio importantissimo da tutelare e valorizzare. Ogni linea di sviluppo deve perciò partire dalla riqualificazione dell’ambiente e dalle risorse dei territori, dell’agricoltura di qualità del turismo. Proponiamo quindi un grande piano per l’ambiente, progetti di recupero delle grandi vie storiche, piani per la navigabilità del Po, recupero della montagna e dei borghi.
Fra le risorse del territorio ricchissima è quella rappresentata dai beni culturali. Essi hanno bisogno di politiche innovative per la loro tutela e valorizzazione.
Il Mezzogiorno ha oggi nuove opportunità per colmare i suoi ritardi. La prima opportunità ci è offerta dal cambiamento dei flussi delle merci a livello mondiale e dalla nuova centralità del Mediterraneo. Non perdiamo questa ultima grande occasione: il Mezzogiorno può diventare la piattaforma di interconnessione tra Asia ed Europa, agganciando i programmi di investimento all’estero delle economie asiatiche e puntando non solo sui porti e sui trasporti ma anche sulla logistica, l’assemblaggio e il terziario. La seconda opportunità è data dal cambiamento delle logiche di investimento, per le quali il maggiore fattore di attrazione è la presenza di capitale umano qualificato. Dobbiamo investire in formazione e puntare con decisione, anche con incentivi mirati, su iniziative innovative e di alta qualità.
Risanare i conti pubblici
Una crescita sana e stabile non è perseguibile se i conti pubblici non sono in ordine. I parametri europei sono importanti perché indicano un percorso comune, ma per ciascun paese un bilancio pubblico in ordine vuol dire stabilità, tassi di interesse più bassi, credibilità internazionale e, soprattutto, vuol dire uno Stato che non sottrae risorse all’attività economica. Questo vale per tutti ma in particolare per l’Italia, che ha accumulato un debito pesantissimo, e deve impegnarsi a non scaricare sulle prossime generazioni un onere che rischia di incidere in maniera determinante sullo sviluppo dei prossimi decenni. La prima cosa di cui i cittadini, le imprese e i mercati hanno bisogno è l’assoluta trasparenza: la chiarezza dei conti e delle prospettive è un elemento fondamentale per le scelte di risparmio, di consumo e di investimento.
Trasparenza e risanamento sono un imperativo, ma dopo cinque anni di stagnazione il Paese non è in grado di reggere un risanamento non accompagnato da politiche di sviluppo. Per avviarle subito dovremo affrontare con determinazione assoluta l’evasione fiscale e contributiva. Un paese che ha un sommerso vicino a un terzo della sua economia, oltre all’iniquità e alla distorsione dei meccanismi della concorrenza, si priva di una quantità importante di risorse che da sole consentirebbero di avviare una consistente riduzione del debito, di finanziare riforme e politiche infrastrutturali e di rilancio, senza gravare sulle tasche dei cittadini e delle imprese che contribuiscono onestamente.
ETICA, EQUITÀ E RESPONSABILITÀ
La costruzione dell’Italia che noi vogliamo richiede una politica di ampio respiro che vada a ricostruire, e in alcuni casi a costruire, una nuova e più moderna cittadinanza basata sull’etica singola e collettiva, sull’equità e sulla responsabilità. Questo a partire dalla fedeltà ai principi fondamentali della nostra Costituzione che intendiamo difendere ma anche aggiornare e rendere più adatta ai cambiamenti del nostro tempo. Serve una politica che si fondi sulla chiarezza e sulla trasparenza di alleanze stabili e unite per dare al Paese un governo autorevole e duraturo, capace di decidere, di affrontare e risolvere i problemi, un Parlamento efficiente e più snello al passo coi cambiamenti sociali e istituzioni di garanzia davvero indipendenti con poteri di controllo effettivi.
L’Italia ha bisogno di certezze e di sapere chi è responsabile di cosa, nelle istituzioni come nella società.
In questo paese non c’è più spazio per l’evasione e l’elusione fiscale e contributiva, non c’è più spazio per i condoni, né per l’abusivismo.
Costruiremo regole chiare, credibili e soprattutto applicabili.
Il nostro obiettivo è una legalità sostenibile, che vuol dire meno divieti, spesso impossibili da far rispettare, una normativa più semplice e chiara, costruita non per essere aggirata o elusa ma per essere rispettata da tutti, deboli e forti, potenti e non. Non più divieti seguiti da abusi e poi da condoni, ma regole che tutelino l’interesse collettivo senza mortificare gli interessi privati. Una legalità sostenibile richiede una giustizia certa nei tempi e nelle pene.
Regole applicabili e rispettate e una giustizia certa nel campo civile, penale ed amministrativo, sono i pilastri di un nuovo rapporto tra le istituzioni, l’amministrazione e i cittadini.
E’ un processo che comincia con l’azione di governo, con l’attività del Parlamento e di tutte le istituzioni centrali e locali, ma che deve permeare l’intera società a cominciare dalla scuola. E’ anche venuto il momento di proporre a tutti i cittadini italiani, perché ne discutano in modo approfondito, l’ipotesi di istituire un periodo di servizio civile per i ragazzi e le ragazze, integrabile con la parte finale del ciclo di studi o con l’avvio all’attività lavorativa.
Parte integrante di una nuova etica della responsabilità è anche la revisione dei costi della politica e delle istituzioni, un grande rigore nel rapporto fra il mondo della politica e il mondo degli affari, una decisa lotta alla corruzione.
Tutto ciò è urgente e indispensabile ma non ancora sufficiente. Un profondo e sentito rispetto reciproco tra Stato e cittadini si costruisce anche con una società più equa, nella quale il carico fiscale sia ripartito con maggiore equilibrio e adeguata progressività, nella quale non si premino le rendite ma innanzitutto il lavoro e l’impresa, dove ci sia un accesso alle opportunità aperto e corretto, con il superamento delle barriere di entrata alle professioni, l’eliminazione di posizioni di monopolio, la riforma dell’intero sistema delle autorità di controllo, la garanzia di accesso per tutti all’informazione.
Il nostro Paese può fare conto su una generosa tradizione di strutture di volontariato che vanno valorizzate pienamente.
PER UN’ITALIA CHE GUARDI AL FUTURO
Questi sono i punti che qualificano il mio impegno in queste primarie per l’Unione. Siamo chiamati ad un impegno straordinario. L’Italia non ha più tempo da perdere.
1. La CostituzionDifendere i valori della Costituzione per unire il Paese, il senso della legge contro la cultura dei condoni e contro l’uso privato delle leggi; il pieno dispiegamento della libertà religiosa per la pace e il dialogo delle culture contro i nuovi razzismi e i fondamentalismi, il concreto riconoscimento dell’autonomia della magistratura, contro ogni tentativo di indebolirla e catturarla.
2. Sviluppo e Mezzogiorno Ridurre le tasse sul lavoro, equilibrare i trattamenti fiscali della produzione e delle rendite, riorganizzare l’amministrazione per garantire una efficiente e permanente lotta all’evasione con la fine di ogni condono. Aprire alla concorrenza il mercato delle professioni per aumentare l’efficienza del sistema e offrire nuove opportunità di lavoro, e il settore dei servizi, dell’energia e della distribuzione per permettere di contenere il costo della vita. Investire sulle opportunità dell’economia del Sud per rilanciarne lo sviluppo.
3. I giovani e le donne al centro dell’economia e della società Mettere i giovani al centro del rilancio dell’economia, restituendo dignità all’istruzione professionale, incentivando l’accesso alle facoltà scientifiche, promuovendo le esperienze all’estero per chi studia e chi lavora, riformando le leggi sul lavoro per impedire che la necessaria flessibilità si tramuti in precarietà. Mettere i giovani al centro della società progettando un nuovo servizio civile che li metta in rapporto con le grandi questioni dell’Italia edell’Europa.
Promuovere la presenza delle donne nell’economia, nella politica e nelle istituzioni, sostenere l’occupazione femminile e la maternità, lanciare, in accordo con comuni e regioni, un piano per offrire un posto in un asilo nido almeno alla metà di tutti i bambini.
4. Il sostegno alla famiglia e alla vita dei più debol iImpostare una politica fiscale e di accesso ai servizi in funzione del sostegno alle famiglie e alle estreme povertà (assegni familiari, trattamento fiscale,servizi per l’infanzia, per gli anziani, per i non autosufficienti, per i disabili).
5. Scuola, ricerca e innovazioneDare ordine e stabilità alla scuola, valorizzare a pieno l’autonomia degli istituti e il ruolo degli insegnanti, sostenere l’innovazione con un programma di ricerca nazionale sulle nuove tecnologie e i nuovi materiali, l’energia e l’ambiente.
6. Le infrastrutture per un nuovo paese Completare le infrastrutture in corso, accelerare quelle già programmate, approvare un piano per la trasformazione e la riqualificazione delle città, per i porti, in particolare nel Mezzogiorno, per il cabotaggio, per la navigabilità del Po.
7. Le nuove regole dell’economia e della finanza Riformare il sistema delle autorità indipendenti per garantire la trasparenza e la stabilità dei mercati finanziari, la tutela del risparmio, la concorrenza e il pluralismo dell’informazione.
8. La giustizia per i cittadini Avviare un programma coerente per ridurre i tempi della giustizia a partire dalla giustizia civile, approvare una nuova e severa regolamentazione sul conflitto d’interessi, cancellare le leggi ad personam.
9. L’amministrazione pubblica come risorsa Lanciare un grande piano di modernizzazione, innovazione e rinnovamento del sistema delle amministrazioni pubbliche statali, regionali e locali, per migliorare la qualità dei servizi e delle prestazioni, per creare un ambiente più favorevole alla crescita, per semplificare la vita dei cittadini, per ridurre i costi.
10. I beni culturali e le radici del paese Lanciare un piano di recupero e di valorizzazione del patrimonio culturale,artistico e naturale attraverso il quale si è espressa l’identità nazionale (le grandi vie dei pellegrini, le abbazie, i castelli, i piccoli comuni e i borghi).
11. Immigrati e nuova cittadinanza La presenza degli immigrati nel nostro paese e’ una risorsa per l’ economia ed e’ una sfida per la nostra cultura. Nell’obbedienza alla Costituzione e alle leggi si devono costruire nuove regole per l’immigrazione e nuove forme di cittadinanza che ne permettano la piena integrazione e al tempo stesso ne rispettino le culture e le tradizioni.
12. La sicurezza, un bene primario Garantire la sicurezza dei cittadini con un nuovo impegno per la difesa del territorio, un’azione esterna coordinata in ambito europeo, una riforma dei servizi di intelligence, la costituzione di un Consiglio per la Sicurezza Nazionale.
13. Nel cuore dell’Europa e per la pace nel mondoRicollocare l’Italia tra i paesi guida dell’Europa, riaffermare e riequilibrare i rapporti transatlantici per contribuire alla sicurezza internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite, sostenere una più efficace politica dello sviluppo internazionale, istituire nel bilancio dello Stato un fondo speciale per il finanziamento delle missioni all’estero decise, nel rispetto e sulla base della nostra Costituzione, per contribuire ad assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni.
Approvare un calendario per il rientro del contingente militare in Iraq e la sua sostituzione con forze impegnate nel consolidamento dell’economia, delle istituzioni e delle capacità operative dello Stato iracheno.
14. Una politica meno costosa C’è un ultimo punto, senza il quale tutto il resto è più fragile, ed è il buon esempio che deve venire da chi ha e chiede responsabilità di governo. Ridurre il costo della politica, accorpando in due soli turni le elezioni italiane, mettendo un limite vero alle spese per le campagne elettorali, adottando vincoli pluriennali per ridurre il costo delle istituzioni e le indennità di coloro che sono eletti e nominati a livello nazionale, regionale e locale.