Intervento di Roberto Biscardini su Iraq – Senato, seduta 856 del 27 luglio 2005

29 luglio 2005

Signor Presidente, nei giorni scorsi, abbiamo dato il nostro voto favorevole alla partecipazione italiana alle missioni internazionali nell'ambito di una cooperazione del nostro Paese con l'Unione Europea, con la NATO e con l'ONU; missioni militari nei Balcani, in Afghanistan, in Medio Oriente e in Africa; missioni di pace e umanitarie in Paesi nei quali permangono delicate situazioni d'instabilità, con contrasti etnici e religiosi; missioni finalizzate a contrastare i focolai di terrorismo internazionale; missioni che rappresentano un momento importante, a mio avviso, della nostra politica estera; missioni che, sul piano politico, come abbiamo chiesto anche in quella sede, avrebbero però bisogno, attraverso un dibattito serio, di essere discusse e forse maggiormente approfondite, anche caso per caso, per valutare in quali direzioni esse potranno evolvere, superando lo schema di una pura valutazione di carattere militare.
Anche se in condizioni molto diverse, il problema della nostra presenza in Iraq pone per certi versi la stessa questione. Il punto importante che abbiamo di fronte, che il nostro Paese ha di fronte, è l'evoluzione della nostra presenza militare in quel Paese, trovando una via d'uscita che non è né la semplice permanenza delle nostre truppe in quel territorio, né il semplice ritiro.
Lo SDI aveva espresso, a suo tempo, il giudizio negativo sulla decisione politica assunta dal Governo di approvare la guerra in Iraq e sulla decisione di inviare i nostri militari. Oggi, però, per onestà, bisogna dire che il nostro no non può avere più le motivazioni di allora.
Abbiamo di fronte, infatti, una situazione diversa, molto cambiata, che non può che avere un diverso significato. La motivazione del nostro no riguarda la debolezza con la quale il Governo ci sottopone la proposta di un altro rifinanziamento, senza affrontare la sostanza dei problemi.
Se la questione irachena fosse affrontata nella sua complessità, oggi si tratterebbe di discutere su quale ruolo vogliamo avere - se vogliamo averlo - nel processo di ricostruzione della società irachena, al di là della presenza delle nostre truppe, ma facendoci carico di collocare una presenza occidentale, non solo militare, che potrebbe essere anche maggiore di quella attuale, come viene richiesto dal Governo iracheno e dalla stessa Organizzazione delle Nazioni Unite, dentro uno scenario positivo, per lo sviluppo di quel Paese e per ridurre il pericolo che tanti musulmani continuino a morire per mano musulmana.
Il problema è ormai, quindi, un altro. Se da un lato non ci sono le condizioni oggettive per il ritiro immediato dei nostri militari, dall'altro, la questione è sempre più politica e meno militare. Il problema ormai è quello di contribuire a definire insieme ad altri Paesi e all'Europa, in particolare, un programma di sviluppo e di sostegno al Governo e alla popolazione irachena. E solo in quell'ambito si può definire contestualmente un progressivo, credibile e attendibile ritiro delle truppe.
Se il Governo avesse avuto la forza per affrontare in quest'Aula la questione irachena con un salto di qualità per definire una strategia politica per il futuro di quel Paese, la maggioranza non si sarebbe limitata al semplice rifinanziamento, né l'opposizione, o almeno la sua maggioranza, avrebbe votato no ancora un'altra volta.
I nostri militari stanno svolgendo un ruolo importante nel processo di democratizzazione di quel Paese, ma per costruire lo sviluppo dell'Iraq occorre fare molto di più e non di meno, e di questo dovremmo poter discutere.
(Applausi dai Gruppi Misto-SDI-US, DS-U e Mar-DL-U).

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