Giugno 2006, La battaglia per la difesa della Costituzione, di Gaetano Arfè de La Repubblica di Napoli

27 giugno 2006

La battaglia per la difesa della costituzione sta arrivando alla sua fase decisiva. Abbiamo avuto la nostra Caporetto, siamo attestati sulla linea del Piave e c'è ragione di credere che tenga.
Io non amo cedere al gusto sterile della recriminazione, ma perchè l’eventuale successo non segni soltanto una battuta d’arresto sulla via del declino, ritengo sia necessario riflettere per tempo su alcune questioni che nel loro susseguirsi e nel loro concatenarsi hanno generato la situazione drammatica, intrisa di grottesco, nelle quale ci troviamo.
La prima considerazione è che la "repubblica dei partiti", col bene e col male che ci ha dato, è stata investita nella sua fase calante da una sorta di controrivoluzione culturale preventiva e postuma, impersonata da due personaggi politici, Tatcher e Reagan. Non ci sono stati episodi clamorosi, ma la loro ideologia si è gradualmente e sottilmente diffusa ed è penetrata nel nostro continente facendo vacillare idealità, principii, culture e finanche costumi fin lì generalmente accettati. Nel nostro paese tra i risultati più vistosi riguardo al nostro tema c’ è stato il declino della cultura storica e il dilagante prevalere di quella sociologica e, in essa, di quella sua sottospecie che è la politologia, presuntuosamente presentata come scienza della politica, che bocciava senza remissione i politici professionali.
I nostri vecchi, per la verità, ebbero, fin troppo forte, il senso della storia. Comunisti e socialisti in particolare, ritennero di muoversi sul filo della sua onda lunga, quella partita dalla rivoluzione di ottobre, e tardarono a rendersi conto -i comunisti per tempi disastrosamente lunghi- che l'onda si era infranta. Non cedettero però mai all'illusione che i meccanismi della politica potessero essere modificati secondo moduli scolasticamente inventati o innestandovi pezzi estranei, frutti di tutt'altre e irriproducibili esperienze.
La "repubblica dei partiti" non era frutto del caso. Essa aveva al proprio attivo la ricostruzione dell'Italia dopo la catastrofe, aveva costruito istituzioni democratiche forti del consenso popolare, che avevano resistito alle lacerazioni della guerra fredda, avevano superato la lunga e pericolosa crisi del centrismo, avevano consentito la svolta del centro-sinistra e un forte avanzamento sociale e civile della società italiana, nonostante le manovre eversive di ordine interno e internazionale. Suo punto di debolezza -il bipartitismo imperfetto- rimaneva quello che la presenza di un partito comunista radicato massicciamente nel paese e dotato di un quadro dirigente capace e autorevole ma ancora legato per più fili all'Unione Sovietica, rendeva impraticabili alternative di governo. Il problema di un rinnovamento si poneva in termini di urgenza. Craxi e Berlinguer, fatte salve tutte le differenze e le divergenze, culturali, politiche, temperamentali, lo intuirono ma non riuscirono a risolverlo. Su questa situazione calarono, convergendo, due eventi di natura e dimensioni diverse: la fatidica caduta del muro di Berlino, l'esplosione di Tangentopoli, dietro la quale era anche la rivolta torbida di una "società civile", in realtà incivile e anarcoide, che intendeva abbattere il primato, intriso ormai di arroganza e di prepotenza, della politica.
Sulle rovine calarono i politologi a insegnare le leggi della politica a un giovane e ambizioso ceto dirigente, provinciale, idealmente e culturalmente indigente, disavvezzo a studiare e a riflettere, avvezzo a nutrirsi dagli editoriali e dei pastoni dei maggiori quotidiani italiani, esperto nelle manovre di corridoio.
La polemica contro i vizi della partitocrazia si tradusse, con clamorosa ignoranza della storia, in svalutazione del partito in quanto tale e in esaltazione della cosiddetta società civile, di per sè, nella sua massa, prona a tutti i conformismi e rotta a tutte le corruzioni, quella a cui Berlusconi ha dato organica rappresentanza.
La denuncia della "obsolescenza delle ideologie" si risolse in negazione delle idealità che sono state e restano, nel bene e nel male, fattori attivi di storia; in riduzione a ciarpame delle classiche dottrine politiche liberali e socialiste sulle quali si è costruita la civiltà europea e con esse l'etica che ne promanava.
Si è parlato di bipartitismo e si è tentato di imporlo siamo arrivati alla moltiplicazione dei partiti o sedicenti tali composti in un bipolarismo fatto di due coalizioni eterogenee e rissose, una sola delle quali ha il discutibile privilegio di avere un padre-padrone e nelle quali convivono accanto a residuati dei partiti storici modeste compagnie di ventura che non disdegnano il ricatto politico per conquistare posizioni di potere anche quando la loro rappresentatività supera di pochi punti lo zero. Gli uni e le altre sono regolamentate da norme rispetto alle quali il centralismo democratico di togliattiana memoria era un modello di democrazia.
Si è svalutato di fatto il parlamento con una serie di provvedimenti e di regole: la riduzione a una delle preferenze, una riforma elettorale sgangherata e balorda, il limite delle due legislature per i parlamentari che non hanno santi in paradiso- una per imparare il mestiere, la seconda per dimenticarlo nell'impegno di procurarsi una occupazione alla scadenza del mandato- mentre manca un corpo di parlamentari “di lungo corso” che assicuri competenza, continuità ed efficacia al lavoro legislativo. Il punto d'approdo è lo sconcio della nomina dei senatori e dei deputati da parte delle gerarchie partitiche, un ritorno ai tempi della Camera dei fasci e delle corporazioni. I pochi casi di "primarie" che si sono registrati sono rimasti casi di folklore politico, direi per nostra fortuna, perchè temo fortemente che se la prassi si fosse diffusa avremmo assistito a episodi assai poco edificanti, a una parodia oscena, su scala minima, delle primarie americane. che già mostrano anch’esse segni pericolosi usura..
Si è voluta l'elezione diretta degli amministratori locali, sottratti così a ogni selezione nei partiti e tra i partiti e si sono creati centri di potere personale, sottratti a ogni controllo, portati, se non addirittura costretti ad organizzarsi in clientele, aperte in molti casi a infiltrazioni mafiose. I presidenti delle regioni sono diventati “governatori”. Su questo sfasciume istituzionale dovrebbe ergersi un presidente dotato di poteri da monarca che regna e governa..
A creare il terreno culturale idoneo al fiorire e al fruttificare di tante idiozie e a comporle in ideologia un contributo importante lo ha dato il cosiddetto revisionismo che ha investito tutti i campi delle scienze umane, ma con effetti particolarmente efficaci e vistosi la storia. Studiosi che hanno violentato la metodologia storica e sciacalli d'archivio si sono mobilitati in questa battaglia. E’ regola di una corretta metodologia che le idealità, i principii, i sentimenti delle masse umane siano fattori attivi della storia e che su di essi va esercitato il giudizio storico e che, ove non si voglia degradare la storia a squallida cronaca, ove si voglia capirla nella sua drammatica dialetticità, non si può ignorare, comunque li si giudichi, la differenza tra Mussolini e Matteotti, tra Parri a Graziani. La pacificazione nazionale avviata con una generosa amnistia da un governo antifascista è un atto politico che tiene fermo questo criterio di giudizio. La parificazione tra chi rimase fedele al governo legittimo del proprio paese e chi aderì a un governo fantoccio messo in piedi dai tedeschi e adottò la loro ideologia e i loro metodi combattendo contro italiani vanifica il giudizio storico, genera ambiguità morale, dissolve l’ethos politico del quale si alimentata la coscienza nazionale del nostro popolo.
Questa offensiva ideologica che si vale di tutti i grandi strumenti di comunicazione di massa e i cui centri sono arroccati nell’accademia ha lasciato le tracce rilevanti anche nella cultura antifascista. Caso clamoroso quello dell'onorevole Violante, il quale scoprì il patriottismo dei "ragazzi di Salò", senza curarsi di spiegare quale patria questi avessero scelta. Nell’estate del 1943, prima dell’8 settembre, ho conosciuto più d’uno di quelli che sarebbero poi diventati “ragazzi di Salò” e i più di essi si sentivano figli della Germania nazista, avevano scelto a modelli lSS, i guerrieri senza paura e soprattutto senza pietà.
Inconscio precursore di questa storiogafia un canzonettista napoletano aveva cantato sulle rovine ancora calde della guerra: "Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, -chi ha dato, ha dato, ha dato, dimentichiamo il passato guardando il sole e il mare." E infatti è mancato poco che ai ragazzi di Salò venisse riconosciuta con apposito provvedimento legislativo la qualifica di combattenti. L'obiettivo di questa offensiva che ha avuto molti registi era e resta chiaro: la costituzione nata dalla Resistenza deve perdere il titolo della sua legittimità storica, la coscienza nazionale repubblicana e democratica deve essere frantumata, la patria deve essere degradata ad azienda e sottoposta alle sue leggi. Il federalismo che vanta una nobilissima tradizione nella storia d'Italia da Carlo Cattaneo a Silvio Trentin e che Spinelli levò a bandiera dell'Europa unita è divenuto l'ideologia becera, faziosa e razzista di una sparuta minoranza che detesta l’Europa e ha segnato di sè la vita della repubblica berlusconiana.
Corre voce, e anch'io ci credo, che la democrazia sia un regime carico di difetti ma che finora non ne è stato inventato uno migliore. Ma una democrazia senza partiti non è democrazia, è un regime aperto a tutte le involuzioni plebiscitarie e totalitarie. E oggi ci stiamo avvicinando a vivere in una democrazia senza partiti, perchè cinquanta liste divise e raggruppate in due coalizioni frontalmente contrapposte non rispondono a nessuna delle esigenze proprie di una moderna democrazia. Non è possibile governare democraticamente un paese moderno senza strumenti di organizzazione e di orientamento delle masse, di selezione del quadro dirigente, di controllo dei rappresentanti. Le antenne televisive possono procacciar voti ma non formare un ceto di governo, nè bastano i chiusi centri di potere che si formano intorno alle amministrazioni locali.
Ma i partiti non è possibile inventarli. Nell'Italia repubblicana essi hanno tratto i loro titoli di legittimità e anche di nobiltà dalla Resistenza che fu integralmente opera loro, ci hanno dato la Costituzione, hanno portato il nostro paese disfatto dal fascismo ad essere tra i protagonisti della integrazione europea, hanno isolato e battuto, senza leggi eccezionali, il terrorismo rosso, bianco e nero. Oggi corriamo il rischio di avere partiti inventati. Il primo, nato nella seconda repubblica nella testa di un Giove malato, quello di Berlusconi, ha portato nella lotta politica, sotto la maschera di un grottesco sconfinante nell’osceno, una carica primitiva di spirito illiberale e di velleità eversive dalla quale è stato costretto a prendere le distanze finanche Pier Ferdinando Casini nelle cui vene scorre ancora un residuo di sangue politico.
E’ problema della democrazia italiana, dei suoi politici, dei suoi intellettuali, della sua libera stampa promuovere un processo di decantazione, di depurazione, di scomposizione della cosiddetta “casa della libertà”: in un paese libero e civile c’è posto per un partito conservatore, per un partito cattolico, per un partito fascista, non per un partito-azienda col suo capo e i suoi dipendenti.
Lo stesso problema si va ora ponendo a sinistra con un progetto di unificazione che ritengo improponibile. Lascio da parte la questione fumosa e astratta del pluralismo culturale: è fuori discussione che un partito non debba avere una ideologia ufficiale e codificata, ma è anche fuori di dubbio che un partito, per dirsi tale, debba esprimere una cultura politica che lo caratterizzi e lo ispiri. Nel caso specifico c’è però un problema che non è accademico. La collaborazione tra democrazia laica e democrazia cattolica è vitale per il nostro paese, ma a patto che essa avvenga da posizioni di reciproca autonomia.
Ora il referendum è alle porte e bisogna cercare di vincerlo. Non temo i suoi sostenitori, molti dei quali hanno votato l'affossamento della costituzione sotto la minaccia della sferza, pur riconoscendo nel loro interiore, come ha detto uno di essi della legge elettorale, che è una "porcata". Temo il disimpegno dei suoi sostenitori. Ma quand’anche, come è augurabile e possibile ci arridesse il successo, resta aperto il problema di capire tutte le ragioni per le quali i guastatori siano riusciti nel loro intento e quello di restituire alla costituzione la funzione che i suoi padri le assegnarono e che era e resta quello di guidare il nostro popolo perchè sia tra i protagonisti in Europa e nel mondo di una politica rivolta a dare all’umanità dignità e libertà nella pace.

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