Dichiarazione di voto sull’Iraq di Tonini – Senato, seduta 856 del 27 luglio 2005
29 luglio 2005
Signor Presidente, signori rappresentanti del Governo, colleghi senatori, sono grato ai Gruppi dei Democratici di Sinistra, della Margherita e dello SDI per avermi affidato l'incarico, che considero un grande onore, di prendere la parola in dichiarazione di voto a nome della Federazione dell'Ulivo.
Come è già stato reso noto, alla Camera le forze politiche dell'Ulivo insieme a Romano Prodi hanno maturato un orientamento comune sulla complessa questione irachena, un orientamento che si sostanzia nella conferma del nostro voto contrario al decreto di proroga della missione italiana assieme alla richiesta e alla proposta al Governo di una strategia per l'uscita da quella difficile crisi.
Sentiamo il dovere della proposta in modo particolarmente acuto in giorni come questi, giorni per tutti noi, per tutto il Paese, di dolore e di angoscia. Dolore, per le tante vite anche di nostri concittadini stroncate dalla furia cieca e barbara del terrorismo. Angoscia, per le minacce che quella disumana follia rivolge al nostro Paese, all'Europa, all'Occidente, ma anche e innanzitutto al mondo arabo musulmano.
In altre, recenti stagioni della storia, è stato dalle viscere dell'Occidente - e dell'Europa innanzi tutto - che sono emerse terribili pulsioni di morte. Oggi è il mondo islamico, nel pieno di un doloroso travaglio che lo vede in bilico tra progresso e reazione, a produrre il morbo letale del fanatismo ideologico.
Ed è lo stesso mondo islamico, proprio come avvenne all'Europa del Novecento - lo ricordava prima il senatore Andreotti - a pagare il prezzo più alto.
Proprio in quanto, come europei, abbiamo vissuto e sperimentato, sulla nostra pelle e nelle nostre coscienze, la prova e la colpa del fanatismo ideologico e politico, non possiamo non sentirci solidali con un mondo, come quello arabo-musulmano, che oggi affronta un passaggio non meno impervio.
Altro che guerra di civiltà, signor Presidente! Altro che guerra culturale! Parole d'ordine come queste lasciano intendere che si possa tracciare una linea di confine geografica tra la civiltà e la barbarie. Ma proprio questa è la barbarie. È ignorare che tutte le civiltà coltivano dentro di sé il morbo della barbarie, nessuna ne è immune.
L'unica via per controllare il morbo, per impedire che si diffonda e uccida, è l'alleanza tra le civiltà, il dialogo tra le culture, l'amicizia tra i popoli. Ci conforta, signor Presidente, in questa via certo difficile, ma obbligata, la compagnia oggi di Benedetto XVI, come ieri di Giovanni Paolo II.
All'indomani dell'osceno stupro di New York, l'11 settembre di quattro anni fa, l'alleanza tra le civiltà, il dialogo tra le culture, l'amicizia tra i popoli diedero vita alla più grande coalizione mondiale contro la violenza terroristica e contro il fanatismo ideologico e il fondamentalismo pseudoreligioso che la storia ricordi.
Non sono mancati errori ed orrori nella campagna militare in Afghanistan contro Al Qaeda ed il regime talibano. E tuttavia quell'intervento fu salutato, giustamente, come una vittoria del diritto internazionale, un successo dell'unica strategia che può debellare il morbo terrorista: l'alleanza tra il diritto e la forza. Meglio ancora: la sottomissione della forza al diritto.
È per questa ragione, la ragione che sta alla base dell'articolo 11 della nostra Costituzione, che votammo allora e continuiamo a votare oggi, come forze dell'Ulivo, la missione italiana in Afghanistan, insieme alle altre missioni italiane all'estero.
Quella via maestra, la via dell'impiego della forza al servizio del diritto è stata colpevolmente abbandonata con l'intervento in Iraq. Come ha scritto Jürgen Habermas, "Alla virtù civilizzatrice di procedure giuridiche universalistiche" si è voluto sostituire "l'armamento di un ethos occidentale con pretese di universalità".
Un tragico errore, signor Presidente: culturale e politico. Culturale, perché smontando dal cavallo del diritto, la lotta al terrorismo ha accettato il terreno al quale il terrorismo stesso la chiamava: quello dello scontro tra etiche contrapposte, tra opposte culture. E così, al gioco a somma positiva del diritto, si è sostituito quello a somma zero della prova di forza: mors tua, vita mea.
Ma è stato anche un tragico errore politico: perché si è dissolta la coalizione universalistica contro il terrorismo e in sua vece è comparsa la "coalizione dei volenterosi". Un altro regalo al terrorismo: la divisione dell'Occidente, dell'Europa, del mondo.
L'Italia non ha potuto partecipare alla guerra in Iraq, signor Presidente, perché l'articolo 11 della Costituzione ha fermato il Governo. Ma il Governo ha schierato politicamente l'Italia a favore di quella guerra. Un atto politico grave, una rottura storica, per noi inaccettabile; da parte del Governo, invece, fieramente rivendicata.
Su questo punto - ha ragione il senatore D'Onofrio - insieme di principio e politico, il dissenso tra noi e la maggioranza, signor Presidente, è netto e insuperabile, ma il relatore sul provvedimento al nostro esame, senatore Castagnetti, ci esorta a guardare avanti, a ragionare insieme sull'Iraq di oggi più che su quello di ieri.
Accogliamo volentieri l'invito perché la guerra in Iraq è stata anch'essa uno stupro, un atto illegale violento, anche se non possiamo ignorare che da quello stupro è nato un bambino. Il bambino non legittima lo stupro, ma ci obbliga a fare i conti con una situazione nuova e diversa.
Il bambino è la giovanissima e ancora fragile democrazia irachena, e guai a noi se facessimo pesare su di essa il peccato di origine dal quale è nata. Oggi dobbiamo occuparci del bambino, dobbiamo schierarci senza nessuna riserva mentale e politica dalla parte della giovane democrazia irachena. Ce lo chiede il diritto internazionale, lo stesso diritto che è stato calpestato dalla guerra unilaterale preventiva di minacce rivelatesi inesistenti.
Il comunicato del Consiglio di sicurezza del 31 maggio scorso, sulla base dell'esplicita richiesta del Ministro degli esteri del legittimo e democraticamente legittimato Governo iracheno, proroga fino alla fine dell'anno, e comunque fino al compimento del percorso democratico stabilito dalla risoluzione n. 1546, il mandato alla forza multinazionale in Iraq.
Sulla base del diritto internazionale, signor Presidente, la nostra presenza in Iraq è dunque oggi pienamente legittima. Si tratta di una presenza di supporto alla legittima autorità irachena, su formale richiesta della stessa. Come ho avuto modo di costatare personalmente, insieme ad altri colleghi, questo mandato è scrupolosamente osservato dal nostro contingente a Nasiriya, che opera in quel difficile teatro con una professionalità, una cultura democratica e uno spirito di umanità che onorano le nostre Forze Armate e il nostro Paese.
E tuttavia, la situazione nella quale versa l'Iraq resta gravissima, sia sotto il profilo della sicurezza, che sul piano socioeconomico. Ogni giorno, a Baghdad, decine di persone muoiono e centinaia restano ferite in attentati kamikaze.
Da parte nostra, non può esserci nessuna indulgenza verso gli autori di questi crimini orrendi. In un rapporto sulle attività terroristiche in Iraq, Amnesty International scrive che "Non può esserci alcuna valida giustificazione per il deliberato assassinio di civili, la cattura di ostaggi, la tortura e l'uccisione di civili inermi. Non vi è onore, né eroismo nel far saltare in aria persone che vanno a pregare o uccidere un ostaggio terrorizzato".
Questi atti criminali, signor Presidente, sono terrorismo fanatico, oscurantista e reazionario. Guai ad usare per queste infamie la parola resistenza! (Applausi dei senatori Morando, Crema, Legnini e Forcieri). Noi siamo abituati a scrivere Resistenza con la iniziale maiuscola: è la lotta eroica per la libertà e per la democrazia, contro l'oppressione e la dittatura. I miliziani di al Zarqawi, in Iraq, usano il terrorismo in nome della dittatura e contro la democrazia.
(Applausi dai Gruppi FI e UDC).
Resistenti sono gli otto milioni di iracheni che sono andati a votare, come ha detto Piero Fassino. Resistenti sono i due Padri costituenti sunniti, che hanno accettato di far valere le loro buone ragioni con la democrazia, il dialogo, la trattativa, nell'Assemblea costituente e per questo hanno pagato con la vita.
Onoriamo i loro nomi, colleghi: Mijbil Issa e Dhamin Hussein al-Obeidi, non sono occidentali, sono arabi, musulmani, sunniti che hanno pagato con la vita la loro fede nella libertà. Sono stati uccisi, il 19 luglio scorso, da una squadraccia di Al Qaeda. Sono martiri della libertà, martiri della democrazia.