4 aprile 2004- 3° Congresso SDI - Fiuggi - La replica di Enrico Boselli
04 aprile 2004
Care compagne e compagni, dal nostro congresso usciamo con un partito che è ancora più convinto della propria impostazione di fondo, delle scelte che ha compiuto e delle iniziative che vuole mettere in campo. Il dibattito ha mostrato una convergenza che non è di facciata, ma corrisponde allo sviluppo di un nostro itinerario che da tempo abbiamo iniziato percorrere.
Ringrazio, quindi, tutti i nostri compagni e le nostre compagne che hanno saputo portare qui il frutto della loro esperienza e dare voce alle speranze che ci animano. In modo particolare i compagni e le compagne di Frosinone.
Noi abbiamo indicato una strategia per il nostro Paese che coinvolge le principali forze del centro sinistra. Quando siamo stati messi nell’angolo siamo entrati in crisi. Ora che siamo al centro della politica, possiamo tornare a svolgere il nostro ruolo ed accrescere i nostri consensi. La prospettiva del partito riformista, quindi, non diminuisce la nostra funzione, ma ci offre un grande spazio politico.
Noi siamo un partito presente in tutto il Paese. Diamo un forte contributo di idee, ma possiamo anche nelle diverse situazioni territoriali rappresentare istanze ed attese dell’elettorato di centro sinistra.
Nella mia relazione ho messo in guardia dalla tentazione di aspettare che la nostra vittoria derivi solo dalle incapacità del governo in carica.
Ho sottolineato la necessità di mettere in campo un progetto dell'Ulivo e di tutto il centrosinistra. Non sottovaluto affatto il clima di profonda sfiducia che avvolge la coalizione di maggioranza. Tuttavia, avverto che il centrosinistra miete vittorie più per la fedeltà delle proprie elettrici e dei propri elettori e per l'astensione dal voto dei cittadini profondamente scontenti delle destre, che per una sua rinnovata capacità di attrarre nuovi consensi.
Sono stato criticato perché avrei dato troppo risalto alla questione dei rapporti con Rifondazione. Eppure dovrebbe ormai essere chiaro che la questione delle alleanze nel sistema maggioritario è decisiva. Non è del resto un caso, anche se non è una ragione esclusiva, che lo schieramento risultato vincente nelle elezioni del 1994, di quelle del 1996 e di quelle del 2001 sia stato quello che era riuscito a tenere insieme le più vaste ed estese alleanze.
Berlusconi vinse nel 1994 poiché il centrosinistra era diviso mentre il centrodestra attraverso un espediente riuscì a mettere insieme Alleanza nazionale-MSI al sud e la Lega al Nord.
L'Ulivo vinse nel 1996 poiché la Lega andò per suo conto con un evidente indebolimento del centrodestra.
Berlusconi rivinse nel 2001 di fronte a un centrosinistra profondamente sfiduciato e diviso, con Rifondazione che corse da sola al Senato e Di Pietro che andò per conto suo in entrambe le competizioni per il Parlamento.
Non voglio dire che queste vittorie siano dipese solo alle alleanze.
Vi sono motivi profondi che vanno ben al di là della meccanica politica. Sappiamo bene come l'Ulivo riuscì ad avere con Romano Prodi una forte credibilità nel Paese, mentre il centrodestra mostrava tutta la sua inerzia e tutta la sua stanchezza. Non ignoriamo che sulla vittoria di Berlusconi, oltre ai mutamenti dei governi di centrosinistra che davano un'immagine di instabilità nell'opinione pubblica, abbia contato il desiderio di cambiare fase rispetto a un'epoca, pur segnata da grandi successi, come il risanamento economico finanziario e l'entrata nell'euro, dominata da tanti e pesanti sacrifici.
Oggi la situazione è cambiata, ma Berlusconi sta nuovamente tentando di ripetere un vecchio gioco: presentarsi come il partito taglia-tasse contro un presunto centrosinistra metti-tasse. Questa operazione non è tuttavia facile perché prima era all'opposizione mentre oggi è al governo, non può solo annunciare, ma deve fare.
Noi dobbiamo contestare il significato di questi annunci che, se non sono accompagnati dall'indicazione delle risorse necessarie, valgono zero o sono - come ho già detto - un salto nel buio.
Noi tuttavia non dobbiamo perdere di vista il tema principale del voto per il rinnovo dell'Europarlamento.
Ci apprestiamo ad una campagna elettorale che, come ha detto Romano Prodi, s’incentrerà sull'Europa. In un'epoca in cui domina la globalizzazione, la politica non può più restringersi nell'ambito degli Stati nazionali. Per poter contare, per costruire condizioni di sicurezza internazionale, per affrontare i problemi dei rapporti tra il Nord e il Sud del mondo, occorre porsi al livello continentale.
L'Europa non è un'invenzione. Non è stato un parto a tavolino, ne è una forzatura contro la storia e le tradizioni degli Stati nazionali. Vi sono, infatti, radici comuni che sono assai profonde: cultura ed arte, economia e commerci, hanno messo in contatto nazioni, legate da un destino comune. Cristianesimo e filosofie del mondo sono fiorite in Europa. Per la sua civiltà l'Europa è debitrice anche al mondo islamico che al nostro continente non ha portato solo minacce che sono arrivate fino alle porte di Vienna, ma anche idee che sono giunte nel cuore delle capitali europee.
L'Italia ha svolto un ruolo assai importante nella costruzione europea. L’europeismo ha potuto contare sull’impegno di grandi personalità. Resta per noi un riferimento fondamentale il manifesto di Ventotene, nel quale viene indicata la prospettiva federalista europea, prima ancora che fosse conclusa la stessa seconda guerra mondiale. Quel Manifesto fu scritto da uomini illuminati: Altiero spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni. Erano confinati dal fascismo nell’isola di Ventotene, ma riuscirono a guardare oltre alle rovine della guerra, non persero mai la speranza di riconquistare la democrazia e la libertà in Italia e assicurare sicurezza e pace con la costituzione degli Stati uniti d’Europa.
Tra di essi vi era Eugenio Colorni, era un federalista europeo, che aveva mantenuto ferma la sua adesione al partito socialista. Un intellettuale come ci ha ricordato ieri Leo Solari. Capo redattore dell’Avanti! clandestino partecipò attivamente alla resistenza romana. La sua vita fu spezzata in via Livorno a Roma, dove era andato per organizzare la lotta contro gli occupanti in vista della liberazione della città.
Non è per noi socialisti una novità portare avanti una politica europeista. L'Italia, ha perseguito l'obiettivo dell'unità europea, quando il mondo era diviso dalla guerra fredda. Questa linea è stata sempre seguita da tutti i governi italiani.
Solo il governo Berlusconi è stato capace di interrompere una tradizionale continuità della politica estera italiana, dando voce ad un euroscetticismo che è assai diffuso nel centro destra. L’Europa è per la Lega – uno dei principali componenti del centro destra – “forcolandia” Eppure il nostro Paese ha sempre potuto vantare un grande consenso dell'opinione pubblica all'idea dell'Europa unita. L'azione di governo, portata avanti da Prodi e da Ciampi, per far entrare l'Italia nella moneta unica ha richiesto molti sacrifici. Oggi possiamo dire che ne valeva la pena. L'allargamento dell'Europa corrisponde ad una esigenza che, prima di essere geografica, è ideale e politica. Con i nuovi Paesi che entrano nell'Unione Europea noi abbiamo legami profondi. I nuovi rapporti politici, economici e commerciali, gioveranno a tutti. La partecipazione all’Europa rafforzerà la democrazia e la libertà nei nuovi Paesi membri dell'Unione.
Fare l’Europa ed allargarla ad Est significa portare la pace. È la stessa che non conosciamo da 60 anni, il più lungo periodo senza guerra dell’Europa.
In un’Unione più larga ci saranno più opportunità per tutti. L'Europa deve svolgere un ruolo di sicurezza e di pace al livello internazionale, a partire dai suoi rapporti con i Paesi che si affacciano nel Mediterraneo. Noi non possiamo pensare che si possa offrire l'adesione all'Unione a tutti i paesi vicini. Occorre, però, avere politiche che creino rapporti di cooperazione e di reciproca fiducia tra popoli e paesi diversi. Tante volte si è detto che è necessario fare del Mediterraneo un mare di pace. Si affacciano sul Mediterraneo israeliani e palestinesi: due popoli che sono in aspro conflitto e che hanno entrambi ragione. Si affacciano sul Mediterraneo popoli che appartengono al mondo arabo e, in larghissima parte, all'Islam. Quale migliore opportunità, in un momento in cui è essenziale contenere il fondamentalismo islamico, stabilire da parte dell'Europa relazioni ancora più forti con questi paesi che attraverso il mare confinano con noi?
Il terrorismo non è un nemico che i soli Stati Uniti devono combattere per proprio conto e per conto di un’Europa che rimanga inerte e passiva. Il nostro dissenso nei confronti dell'intervento militare degli Stati Uniti in Iraq è stato netto. Non crediamo che sia servito a contrastare il terrorismo che invece con la strage di Madrid, ha dimostrato di essere in grado di colpire in modo devastante. Noi siamo a favore di politiche multilaterali che siano portate avanti insieme da Europa e Stati Uniti.
Non abbiamo affatto apprezzato che l'amministrazione americana considerasse fondamentali alleati come Pesi di cui ci si doveva liberare. L'iniziativa degli Stati Uniti, senza l'avallo delle Nazioni Unite, ha fatto crescere i sentimenti antioccidentali ed antiamericani che erano già ampiamente diffusi nel mondo islamico.
Europa e Stati Uniti devono costruire insieme risposte ai problemi del mondo. Non è infatti possibile ipotizzare che in un pianeta sempre più piccolo la maggioranza della popolazione viva in una condizione di indigenza, di povertà, di miseria e spesso di fame. Fondare la pace e la sicurezza su un mondo diviso da gravissime ingiustizie non è un'utopia ma una follia. Ciò che differenzia, innanzi tutto, l'epoca che si sta aprendo da quelle precedenti è costituita dalla consapevolezza da parte di tutti di questa situazione. La comunicazione e l'informazione su scala globale hanno trasformato il mondo.
È sufficiente un piccolo schermo televisivo, situato in un bar di una periferia di una città del sud del mondo, per aprire una finestra sullo stato di gravi ingiustizie esistenti nel mondo.
Come è avvenuto con la rivoluzione industriale, quando il proletariato è entrato in scena con le sue rivendicazioni, oggi invece con la globalizzazione si affacciano nella contesa mondiale masse di diseredati che non hanno da perdere se non le proprie catene.
Se non vi è, come vi dovrebbe essere, da parte dei paesi più ricchi un sentimento di solidarietà, vi deve essere almeno un impulso egoistico che porti ad affermare la necessità di una diversa distribuzione della ricchezza nel nostro pianeta.
Se invece vi sarà cecità, sordità e mutismo di fronte ai bisogni della maggioranza della popolazione nel mondo, allora a entrare in crisi saranno i paesi più sviluppati. Non ci sarà polizia per quanto potenziata tecnologicamente, rafforzata nei suoi organici, attrezzata nei suoi mezzi e spregiudicata nei suoi metodi, che potrà arrestare migrazioni bibliche dai paesi più poveri a quelli più ricchi.
Le nostre società diventeranno, come già in parte sono, multietniche. Chi viene nell'Occidente, animato dalla volontà di migliorare la propria esistenza, si sentirà comunque solidale con i popoli e con i Paesi dai quali proviene.
Per quanto noi socialisti democratici possiamo distinguerci dalle parole d'ordine e dagli slogan che emergono da tanti movimenti, dobbiamo riconoscere che i cosiddetti "no global" sono protagonisti di una lotta politica che non è rivolta a difendere gli interessi di chi scende in piazza ma con generosità i bisogni di chi vive in condizioni spesso disperate.
Il movimento socialista, che è stato sin dalla sua origine interprete delle ingiustizie sociali e ha coltivato da sempre uno spirito internazionalista, deve essere all'avanguardia nel richiedere soluzioni al problema dei grandi squilibri del mondo.
Ha detto all’ultimo congresso del Labour Party il cancelliere dello scacchiere Gordon Brown: “Noi dobbiamo vergognarci che in assenza di una assistenza sanitaria gratuita 30.000 bambini in Africa muoiono ogni giorno per malattie curabili. Eppure basterebbe l’ammontare di 5 pence a settimana da parte di tutti per tutelare la salute di ciascun bambino africano ammalato.
L’Europa deve darsi una Costituzione. Noi abbiamo molto apprezzato il lavoro che ha fatto Giuliano Amato nella scrittura della nuova costituzione europea.
L'Italia, grazie a Prodi, ha svolto un ruolo di rilievo in Europa. Non si può dire la stessa cosa per il governo in carica.
Nel semestre di presidenza italiana, che è stato purtroppo segnato da un vero e proprio fallimento, non si è affrontato nessuno dei grandi temi che facevano parte dell'agenda europea.
La presidenza italiana dell'Unione europea, doveva essere una grande operazione di immagine per Berlusconi; si è rivelata invece un boomerang per il governo italiano. Non è stata approvata, come si sperava, la Costituzione europea.
Ora è il governo italiano, che prima premeva per vararla subito, ad avanzare dubbi, riserve ed incertezza.
Dobbiamo registrare un’insufficienza complessiva della nostra azione diplomatica su tutti i principali dossier europei e internazionali. Non basta dire "sì" è sempre "sì" all’amministrazione americana in carica per poter far giocare un grande ruolo all’Italia nel mondo.
La stessa missione militare in Iraq, decisa dal governo, è stata dispiegata senza essere accompagnata da alcuna iniziativa di politica internazionale. Solo per la sua mancanza d’iniziativa in Europa e nel mondo il governo meriterebbe una sonora bocciatura alle prossime elezioni europee.
L’Europa vive un momento cruciale: quello dell’allargamento e quello del Trattato costituzionale.
Con il prossimo 1° maggio, dieci nuovi paesi, quasi tutti dell’Europa centrale, diventeranno membri dell’Unione Europea, mentre Bulgaria, Romania e Turchia ne faranno parte nei prossimi anni, in attesa che arrivino anche i paesi dei Balcani, quando avranno ottemperato alle condizioni previste, di sviluppo e consolidamento della democrazia, di rispetto dei diritti umani, di funzionamento di un’economia sociale di mercato, come previsto dalle norme comunitarie.
In realtà, più che di allargamento si dovrebbe parlare di riunificazione del Continente, dopo la caduta del Muro di Berlino, della fine della guerra fredda e della riunificazione tedesca. La finalità dell’integrazione europea è la pace nella libertà e nella sicurezza. Certo il livello di prosperità materiale di questo gruppo di dieci nuovi paesi è inferiore di circa il 40% rispetto a quello dei 15 e colmare questo distacco rappresenta una grandissima sfida a cui i paesi dell’Ovest potranno proficuamente concorrere con reciproci vantaggi.
Certo, questo allargamento ha riproposto con forza il problema dell’unità politica dell’Unione In Europa si fronteggiano conservatori e progressisti, centrosinistra e il centrodestra, europeisti ed euroscettici.
Si tratta di un confronto politico cui l'Italia non può restare indifferente.
In Europa i conservatori sono organizzati meglio dei progressisti. Da tempo il Partito popolare europeo, allentati se non del tutto decisi i propri legami con la tradizione cristiano democratica, è già oggi la casa dei conservatori europei.
Quando il capogruppo popolare Pöttering, evoca la possibilità che il nuovo presidente della commissione europea debba venire dalle file del partito europeo che raccoglierà più voti alle prossime elezioni, ciò significa che si è già innestata una dinamica bipolare.
Spetta al partito socialista europeo, che farà il suo congresso alla fine di aprile, riuscire a rinnovarsi e ad aggiornare la propria impostazione politica. I socialdemocratici infatti, pur essendo una grande forza, devono fare un'operazione politica simmetrica a quella messa in campo dei popolari europei. Non penso che si possa in Europa, da un giorno all'altro, creare un nuovo partito progressista che comprenda diverse componenti politiche di centro sinistra.
Per questo scopo occorrono sicuramente tempi più lunghi.
Tuttavia, già dopo le elezioni europee, si potrebbe creare nel nuovo Parlamento un nuovo gruppo progressista che comprenda, oltre ai socialdemocratici, i liberali, i cristiano democratici di centrosinistra e i Verdi.
Sarebbe un salto di qualità che darebbe ai progressisti il sicuro primato nel nuovo Parlamento europeo. Noi comunque ci impegneremo in questa direzione che riteniamo giusta e che prima o poi si affermerà. Non ci sentiamo invece di operare una scelta drastica che ci separi dal partito socialista europeo, poiché per noi sarebbe un'avventura in una terra di nessuno che un partito come il nostro non potrebbe assolutamente affrontare.
Già, del resto, l'Internazionale socialista, con il congresso di San Paolo in Brasile, ha ulteriormente aperto le sue porte a movimenti e partiti che non si rifanno alle antiche radici della socialdemocrazia europea: ormai nell’Internazionale convivono movimenti di liberazione nazionale, partiti post comunisti, partiti liberali progressisti e partiti del lavoro. Proprio a San Paolo un'importante Fondazione, che fa riferimento al partito democratico americano, ha stabilito un rapporto di associazione con l’Internazionale. È arrivato il tempo in cui l'internazionale socialista si ponga l'obiettivo di diventare internazionale di tutti progressisti, consentendo la partecipazione del partito democratico americano. Noi pensiamo che in Italia il partito riformista potrà anticipare un processo che si svilupperà in Europa e (a livello internazionale) l’unità di tutte le forze progressiste.
Non si tratta di azzerare la nostra storia e di cancellare l'identità dei socialisti democratici europei, ma di costruire una forza mondiale ed europea che sia all'altezza delle grandi trasformazioni dettate dalla globalizzazione.
Per questo motivo, abbiamo visto nell'idea dell'Ulivo un grande fattore di innovazione per tutti, non meno per chi appartiene alla grande comunità del socialismo democratico. Noi non pensiamo affatto che chi oggi non è socialdemocratico si debba omologare alla socialdemocrazia europea. Non è, così, che si costruisce un grande partito del progresso. Anzi, dobbiamo esser innanzitutto noi socialdemocratici europei a comprendere le ragioni di fondo che ci chiedono una grande innovazione politica e di progetto. Proprio perché siamo la forza progressista che conta di più in Europa dobbiamo essere quella che dimostra le maggiori aperture nei confronti di tutte le altre componenti riformiste.
Nella campagna elettorale che dobbiamo condurre per le elezioni europee possiamo contare soprattutto sulla forza innovativa delle nostre idee. Quando ci diamo come meta il partito riformista, dobbiamo approfondire i modi e le forme in cui questo processo potrà avvenire. Noi abbiamo chiamato il nuovo partito, per la cui costruzione vogliamo lavorare, riformista perché questa definizione risponde ad un’antica a vocazione che non è solo del movimento operaio socialista ma anche del cattolicesimo democratico in Italia.
Non vogliamo però fare una questione di nomi. Questo nuova formazione potrebbe a giusta ragione chiamarsi "partito dell'Ulivo": sarebbe questo il modo per sancire meglio un’innovazione ancora più forte che ci troverebbe sicuramente favorevoli.
Ci poniamo, tuttavia, il problema di quale potrebbe essere la differenza tra il "partito dell'Ulivo" e il partito riformista che ci siamo posti come obiettivo strategico. Oggi, infatti, ci troviamo di fronte ad una articolazione del centrosinistra che è fondata su più cerchi concentrici: c'è la cooperazione rafforzata tra i partiti che hanno dato vita alla lista Prodi; c'è l'Ulivo che comprende, oltre alla Margherita, ai DS e allo SDI, anche l'Udeur, i Comunisti italiani e i Verdi; c'è un'intesa più vasta che si estende all’Italia dei Valori di Di Pietro e di Occhetto; c'è una alleanza ancora più larga, ancora da definire, con Rifondazione comunista.
Si tratta, dopo le elezioni, di semplificare l'alleanza di centrosinistra. Innanzitutto, bisognerà chiarire il rapporto che deve esistere tra la cooperazione rafforzata dei riformisti e le regole che presiedono all'unità dell'Ulivo. Noi siamo convinti che la cooperazione rafforzata dei riformisti dovrà avviarsi a coincidere con l'Ulivo, con un chiarimento inevitabile di rilevante portata politica e programmatica. Innanzitutto, si deve stabilire come condizione di appartenenza all'Ulivo la regola della maggioranza per la quale chi vi appartiene deve seguire politicamente e in Parlamento l'orientamento prevalente. Non vogliamo estromettere nessuno dall'Ulivo, ma non vogliamo neppure che l'Ulivo perda qualsiasi significato politico e non abbia alcuna fisionomia. Se dovessi abbozzare il futuro, vedo un Ulivo, come nucleo riformista, che è il timone di una più vasta alleanza di centrosinistra e di sinistra. Solo così potremo non solo sconfiggere il governo Berlusconi, ma anche riuscire a governare meglio del governo Berlusconi.
Nella campagna elettorale, che già ci apprestiamo a portare avanti, dobbiamo mettere in campo una forte dose di innovazione. Lasciatelo dire a me, che non sono certo suggestionabile ai richiami retorici alla società civili: la lista deve mostrare una reale apertura a tutti i cittadini che sono, oltre agli eletti, i soggetti dell’Ulivo. Non si tratta, badate bene, di ipotizzare che con qualche rappresentante di associazioni, di circoli o di movimenti si possa intercettare quell'opinione pubblica che non è schierata e che è alla ricerca di un nuovo riferimento.
Dobbiamo invece far comprendere alle elettrici e agli elettori che la lista Prodi non è riducibile una meccanica sommatoria di partiti.
Noi abbiamo già sviluppato da tempo una polemica nei confronti del presidente del consiglio che si presenterà in tutte le circoscrizioni con il solo scopo di fare propaganda poiché tutti sanno che non rappresenterà mai nessuno nel nuovo Parlamento europeo poiché come Presidente del Consiglio non può sedere contemporaneamente nell’aula di Strasburgo. Cadremmo in contraddizione se anche noi presentassimo candidati che non rimanessero nel Parlamento europeo. Credo che sarebbe un errore. Chi si candida e viene eletto deve svolgere fino in fondo il mandato ricevuto. I segretari dei partiti saranno comunque impegnati nella campagna elettorale.
Questa è la mia opinione. Tuttavia, per quanto mi riguarda, mi rimetto pienamente alle decisioni che assumeremo insieme.
Si è aperta una questione che riguarda la divisione dei compiti all'interno della lista Prodi. Gli incarichi che romano Prodi vuole affidare hanno un importante valore poiché prefigurano la divisione del lavoro che esiste in un unico soggetto politico. Il fatto più importante è che vi siano. Su come si definirà questa divisione del lavoro non c’è dubbio che decideremo insieme e tutti
Noi al nostro partito teniamo molto. Rimanendo in campo abbiamo garantito la continuità di un grande movimento; siamo gli eredi della grande tradizione socialista; abbiamo lavorato sempre, nel corso di più di un decennio, per cercare di riunificare la dispersa famiglia socialista, e in parte ci siamo riusciti con Intini, il Psdi e l’accordo con i Liberal Socialisti.
Tuttavia, dobbiamo aver chiaro che gli appelli alla riunificazione della famiglia socialista, che pure noi abbiamo spesso fatto, hanno un forte limite se non sono accompagnati dalla politica. Non basta dire “unità”. Bisogna dire: unità dei socialisti contro le destre!
Noi, infatti, da socialisti non ci impegniamo per noi stessi, ma per il cambiamento del Paese e per corrispondere alle attese dei cittadini. I socialisti possono assolvere al proprio ruolo politico solo se hanno una politica che serva a rinnovare l’Italia. È ciò che oggi accade dopo più di un decennio. Siamo ritornati ad essere protagonisti politici di una grande strategia. Ora possiamo affrontare al meglio le elezioni per la lista Prodi alle europee e per lo Sdi e alle amministrative e in Sardegna con uno spirito nuovo. Buon lavoro!