31.10.1998 - LA CITTA' MILANESE E LOMBARDA IN EUROPA - Convegno "Le dimensioni di Milano", Milano, Museo di Milano, intervento di Roberto BISCARDINI
01 gennaio 2000
Ritengo opportuno considerare la specificità dell’area milanese e lombarda, in altre parole della “Città Lombardia” dal punto di vista delle relazioni esistenti tra il suo sistema territoriale e il sistema politico istituzionale.
1. La Lombardia è una delle poche regioni d’Italia il cui territorio coincide (salvo qualche dettaglio) con un’unica area urbana, nella quale insistono da sempre fittissime relazioni di tipo urbano (trasportistiche, culturali, sociali) e interdipendenze di tipo economico e produttivo.
Ogni città e ogni campagna dentro l’area urbana milanese e lombarda è espressione della propria storia, nessuna è dipendente dall’altra e ognuna concorre con la propria specifica funzione a costruire un unico ambiente ed un unico paesaggio.
Riconoscere nella Lombardia un’unica aerea urbana, un’unica città, (la città di 8 milioni di abitanti) non significa togliere specificità alle sue parti, nè tantomeno disconoscere il ruolo principale che Milano svolge all’interno del sistema policentrico lombardo. Ciò nonostante Milano all’interno del sistema territoriale ed economico dell’intera città Lombardia è solo la principale tra le tante città che la compongono.
Tutte vivono un rapporto di strettissima integrazione, nessuna di loro potrebbe vivere da sola, senza utilizzare il contributo delle altre e ciò vale anche per Milano. Anche per questa ragione Milano fortunatamente non è una metropoli e non può considerarsi tale. Essa infatti non è confrontabile con le altre metropoli del mondo e neppure con quelle europee.
Affrontare i problemi di Milano e del suo intorno (nulla togliendo alle caratteristiche specifiche della cosiddetta area milanese) con gli occhi rivolti alle “metropoli” e alle “città metropolitane”, a partire dalle sue caratteristiche fisiche, dai dati quantitativi che caratterizzano l’espansione insediativa e la sua congestione, come questioni separate dai problemi dell’unica città regionale, sarebbe un grave errore urbanistico e istituzionale.
Ciò produrrebbe, come in alcuni casi una cultura ed un atteggiamento di questa natura in passato hanno già prodotto, una politica destinata ad aumentare le distorsioni che si vorrebbe eliminare.
Da questa premessa ne conseguono due questioni: esiste il problema del governo unitario dell’intera Regione ed esiste il problema del governo delle singole città e di Milano in particolare. Questi due livelli di governo non stanno in un rapporto gerarchico, ma necessariamente dialettico, ed entrambi, ognuno dal proprio punto di vista, possono contribuire alla definizione e alla realizzazione degli interventi strategici, utilizzando le proprie competenze e dove occorra le procedure di coordinamento interistituzionale già a disposizione.
La questione principale di questa fase politica è che Milano e la Lombardia hanno bisogno di riscoprire la forza di questi due livelli di governo più di quanto oggi non avvenga, la forza della propria autonomia, la forza di una tradizione amministrativa e di una cultura politica che può nuovamente imporsi sia a livello nazionale che internazionale.
2. La città milanese e lombarda è già riconosciuta a livello mondiale come un tutt’uno, come unica area urbana di rilevanza internazionale; è già riconosciuta come un’unica “città mondiale”, città per molti aspetti capitale, anche se non capitale di Stato e, come in passato, si giocherà le proprie sorti nel sistema complesso della competizione mondiale.
Il sistema di città che da forma alla città milanese e lombarda è facilmente confrontabile con quello di altre aree urbane europee, città capitali pur non essendo capitali di Stato. E’ confrontabile con loro per dimensioni, per la modalità con cui si organizzano le relazioni interne, per i sistemi produttivi, per i sistemi infrastrutturali. Mi riferisco in particolare a Lione e alla Regione Rhone Alpes, a Barcellona e alla Catalogna, a Monaco e alla Baviera, a Dusseldorf e alla Ruhr, a Stoccarda e al Baden-Wurttemberg.
Senza negare il ruolo che le città principali, come Milano, Lione, Barcellona, Monaco, Dussedeldorf e Stoccarda, rivestono all’interno delle rispettive aree urbane, è ormai chiaro che queste città da sole non saranno in grado di inserirsi con successo nel contesto europeo se non contando sul rafforzamento delle loro intere aree regionali
Queste aree urbane europee, non capitali di Stato, si caratterizzano rispetto al resto dei territori nazionali per: posizione centrale rispetto al mercato europeo, marcato policentrismo degli insediamenti, forte caratterizzazione industriale, significativa presenza di piccole e medie imprese, forte crescita del settore terziario nella città principale, significativa presenza nella produzione di alte tecnologie, nel settore della ricerca e della formazione, politiche avanzate nel settore ambientale, reti di trasporto integrate, maggiore uso dei sistemi di telecomunicazione, qualità nella progettazione degli interventi.
Inoltre in queste aeree europee la competizione nello scenario mondiale avviene senza intermediazioni degli stati centrali e mettendo in campo contemporaneamente la capacità di governo della città principale insieme a quella di tutti gli altri soggetti istituzionali che operano a livello regionale, Regione compresa.
Di questo a Milano e in Lombardia bisogna avere maggiore consapevolezza.
3. Anche in Lombardia al policentrismo territoriale corrisponde un particolare pluralismo istituzionale che si è venuto a formare nel corso della storia, esso si articola nel ruolo fondamentale e primario dei comuni e nel ruolo più recente della Regione.
Ad eccezione di casi rari, anche in Europa, le aree urbane più significative non dispongono di istituzioni intermedie autonome fra il livello regionale e quello comunale ed anche in quelle aree il modello metropolitano non è identificabile a livello territoriale, così come non prevale a livello istituzionale.
Le aree urbane d’Europa maggiormente confrontabili con la nostra realtà, dispongono a livello intermedio soltanto di enti di autogoverno che basano la propria azione in modo poco formalizzato su accordi di cooperazione intercomunale.
In questo senso appaiono contraddittori e fuori tempo massimo i continui tentativi sostenuti dal nostro Governo ed in particolar modo dalla Provincia di Milano, a favore della costituzione del cosiddetto ente intermedio metropolitano, peraltro sovraccaricato come vorrebbero alcuni di poteri di governo sovracomunale, così come appaiono contraddittori i tentativi di dar vita ad un ente intermedio di fatto riconosciuto nelle vecchie Province per iniziativa diretta del nostro Governo centrale.
4. Dentro il processo di formazione dell’Europa unita e con le contemporanee spinte per la trasformazione degli stati nazionali in sistemi federali sarà più che sufficiente contare su quattro istituzioni: sull’Europa, sullo Stato centrale, sulla Regione e sui comuni.
Per questo le Province (che la nuova Costituzione non dovrebbe più prevedere tra le istituzioni della nostra Repubblica) non solo non dovranno trasformarsi in istituzioni metropolitane, ma dovrebbero permanere solo se sapranno riorganizzarsi utilmente (in modo molto differenziato a livello nazionale, con poteri e competenze assegnati esclusivamente dalla legislazione regionale e dai comuni che ne fanno parte) come sedi dell’autogoverno e dell’autocoordinamento dei Comuni nella forma consolidata dei consorzi intercomunali.
In un’Europa moderna e federalista, ispirata ai principi di sussidiarietà, ben vengano le Province come associazioni libere di Comuni, ma non hanno più senso le Province come espressioni del vecchio Stato, figlie dei dipartimenti napoleonici (con le loro annesse prefetture), che Cavour consolidò come espressioni dello Stato centrale contro i Comuni.
Sulla base di queste considerazioni la città milanese e lombarda e la sua classe politica, a Bicamerale fortunatamente fallita, potrebbe dare un contributo per la riforma dello Stato e per la nuova Costituzione molto maggiore di quanto non abbia fatto finora.
Potrebbe contribuire contro ogni pericolo centralistico a edificare un’Europa delle città e delle loro aree urbane, anzichè un’Europa degli Stati nazionali o peggio ancora degli Stati regionali.
Per queste ragioni, se si vuole vincere le sfide internazionali a cui la città milanese e lombarda sarà ancora sottoposta, occorre dotarsi di una classe politica più consapevole del proprio ruolo, che operi nei fatti per una riforma dello Stato in senso federale, contro ogni forma di centralismo statale e locale; una classe politica che sappia difendere il ruolo e l’autonomia delle istituzioni che amministra e che non subisca, nonostante le dichiarazioni, le iniziative dei governi centrali, così come il Comune di Milano e la Regione hanno invece recentemente subito. Mi riferisco alla vicenda di Malpensa, ai rinvii sull’apertura del Passante, alla cancellazione di fatto del Servizio Ferroviario Regionale, alla brutta fine dell’Interporto di Lacchiarella, alla decisione di scegliere Rho-Pero come sede della nuova Fiera, alle ingerenze nazionali nella vita di molte istituzioni milanesi.
Al di là dei luoghi comuni, la cultura riformista può ridare a Milano nuovi progetti, nuove idee, nuove realizzazioni e un ruolo politico nazionale che oggi ha perso.