3 febbraio 2006, Fiuggi - Relazione di Enrico Boselli al IV Congresso dello Sdi

03 febbraio 2006

Care compagne e cari compagni,
In apertura del nostro Congresso, desidero innanzitutto rivolgere un saluto affettuoso a Marco Pannella che si è prodigato con grande sacrificio personale per sollecitare tutte le coscienze a difesa del pluralismo, della legalità e della libertà, che sono i fondamenti della democrazia liberale.
Nel dibattito, che si è svolto ieri alla Camera dei Deputati sulla mozione nella quale chiedevamo di riparare alla odiosa condizione di disparità, sancita nelle regole elettorali, il capogruppo della Margherita, Pier Luigi Castagnetti, si è così espresso sulla battaglia condotta da Marco Pannella:
“Non si può non essere colpiti da queste forme di lotta pacifica, che mettono in gioco il patrimonio più prezioso di cui ogni uomo dispone, il proprio corpo, la propria salute, la propria vita, per una causa civile!
Considerate, non per interesse personale, ma per una causa civile”.
Non credo che si possa accusare Castagnetti, di essersi impannellato.
Di fronte a un cinismo dilagante nel mondo politico, Marco è un esempio nobile di generosità, di coraggio civile e di tenacia.
Voglio esprimere un caloroso saluto a Romano Prodi e un ringraziamento per essere qui con noi, oggi.
La Rosa nel Pugno, che è oggi una componente a pieno titolo dell’Unione, non è un problema ma una risorsa per tutto il centro sinistra.
A Romano assicuriamo il nostro convinto sostegno, non solo per vincere la sfida elettorale ma per governare per l’intera legislatura. Noi vogliamo contribuire a rinnovare il centro sinistra per sconfiggere le destre e assicurare il progresso civile ed economico del nostro Paese.
I temi che noi proponiamo sono rivolti a fare dell’Italia un moderno paese europeo. Molte delle questioni che in Italia destano scalpore sono già risolte nelle principali democrazie europee. Siamo un interlocutore che sostiene tenacemente le proprie idee, ma anche una forza leale e trasparente.
Abbiamo detto con enfasi che il nostro programma è Prodi.
E dico a Romano Prodi che tutti lo vogliamo vedere, dopo le prossime elezioni politiche, Presidente del Consiglio di un’Italia che si rinnova.
Voglio infine rivolgere a nome del congresso un saluto al compagno Georges Papandreou che è stato eletto pochi giorni fa ad Atene presidente dell’Internazionale Socialista.
Tra i socialisti italiani e quelli greci c’è stato e continua ad esserci un profondo rapporto di amicizia e di solidarietà che si manifestò con intensità nella lotta contro il regime dei colonnelli.
Noi non abbiamo mai cambiato il nostro giudizio sul fascismo sull’onda di un’ultra-revisionismo storico, nel quale non si riesce più a capire chi ha avuto ragione e chi ha avuto torto.
Abbiamo apprezzato l’impegno che Gianfranco Fini ha profuso nel trasformare un partito fascista in una forza democratica di destra. Abbiamo denunciato a suo tempo dalle colonne dell’Avanti gli atti atroci e ingiusti che furono stati commessi durante e soprattutto dopo la Resistenza.
Tuttavia mai e poi mai potremmo mettere sullo stesso piano gli antifascisti che lottavano contro la dittatura e contro l’occupazione nazista e i fascisti che si allearono con il regime di Hitler, introdussero in Italia le leggi razziali e gettarono il nostro Paese nell’avventura di una guerra rovinosa e tragica.
Con questi sentimenti, che richiamano un comune amore per la libertà, voglio assicurare a George Papandreou il nostro pieno sostegno di compagne e compagni di antica data.
Noi siamo una forza della sinistra che è nata a sinistra ed stata sempre a sinistra e nel centro sinistra.
Nel movimento socialista si è aperta una ferita che con difficoltà cerchiamo di rimarginare. Abbiamo apprezzato la scelta di Bobo Craxi di collocarsi nel centro sinistra. Considereremmo solo un assurdo che non ci ritrovassimo presto non solo nella Rosa nel Pugno alle prossime elezioni politiche ma anche dopo, le elezioni politiche, per costruire insieme il nostro futuro. Ci sono tutte le condizioni perché ciò avvenga e a questo scopo non mancherà certo tutto il nostro impegno.
Non condividiamo, ma neanche demonizziamo l’adesione di Stefania Craxi a Forza Italia.
Seguitiamo a pensare che non si possa interpretare il pensiero e l’opera di Bettino Craxi sulla base delle scelte politiche che fanno liberamente i suoi figli.
Diciamo a Gianni De Michelis, a Stefano Caldoro e a Chiara Moroni, che ci è particolarmente cara, che non è mai troppo tardi per raggiungere la vecchia casa socialista, nella quale saranno sempre accolti non come ospiti ma come padroni di casa.
Non possiamo però ripercorrere la storia a ritroso, vivere di nostalgie e di rancori, costruire il nostro futuro proiettandolo nel passato. L’unità socialista non è una strategia, ma una condizione per rafforzare la nostra prospettiva.
Noi affrontiamo il nostro Congresso come socialisti che sono nella Rosa nel Pugno. Non si tratta solo di realizzare una lista elettorale, ma di costruire un nuovo soggetto politico laico, socialista, liberale e radicale.
La Rosa nel Pugno è l’unica e vera novità che si presenta oggi nella scena politica alla vigilia delle elezioni. Spetta al nostro Congresso dare il via ad un processo che dovrà portarci a creare un nuovo partito federato, nel quale possano ritrovarsi pienamente storia, tradizione e memoria di tutto il movimento socialista italiano.
In appena pochi mesi siamo riusciti non solo a fissare importanti punti programmatici, definiti nella nostra Convenzione sulle libertà dell’ottobre scorso e a realizzare una comune unità di azione tra socialisti e radicali, ma a muoverci nella società italiana, in Parlamento e nei rapporti con gli altri partiti come una vera e propria nuova formazione politica.
Ciò è potuto avvenire perché esiste da tempo una comune sensibilità tra socialisti e radicali, che si è sviluppata nel corso della storia della Repubblica nella battaglia per l’affermazione dei diritti civili, a cominciare da quella sul divorzio e da quella sull’aborto.
È stato il nostro compagno Loris Fortuna ad essere l’antesignano di questa nostra prospettiva, da socialista al cento per cento e da radicale al cento per cento.
Con Marco Pannella, Emma Bonino, Daniele Capezzone e Marco Cappato abbiamo trovato una sintonia politica di fondo.
Emma Bonino, in un mondo nel quale le donne acquistano sempre più una statura da leader, rappresenta per noi tutti una risorsa assai importante. La sua esperienza, la sua competenza e la sua passione politica, sono indispensabili per il successo della Rosa nel Pugno. Non ci sfugge che la nostra sfida principale è nei confronti di Berlusconi e del centro destra.
Non possiamo, però, evitare di affrontare nel nostro Congresso le difficoltà ricorrenti che incontriamo ancora oggi nella coalizione di centro sinistra.
Non si vuole prendere atto sino in fondo che è nata dal contributo di socialisti e radicali una nuova forza politica, la Rosa nel Pugno, destinata a svolgere un ruolo di primo piano nella società e nella politica italiana. Siamo sottovalutati, oscurati e contestati. A essere in prima linea contro la Rosa nel Pugno è Berlusconi che sta facendo di tutto per renderci ancora più difficile l’esistenza.
Si sono persino inventati norme di attuazione della legge elettorale che sembrano fatte apposta per metterci in una condizione di inferiorità. A noi è chiesto, come se fossimo una “lista civetta” o una “lista fai da té”, di raccogliere novantamila firme per presentarci alle elezioni. Non è, però, questo che ci spaventa. Siamo sicuramente in grado di raccoglierle e troveremo al nostro fianco moltissimi cittadini che giudicano quanto sta avvenendo una vera e propria ingiustizia.
Siamo, tuttavia, posti in una situazione di disparità poiché dobbiamo presentare le nostre liste prima di quelle di altre forze politiche. Non si tratta di uno svantaggio da poco, contro il quale ci siamo ribellati in nome della legalità. L’hanno fatto i gruppi parlamentari della Rosa nel Pugno, guidati alla Camera da Ugo Intini e al Senato da Cesare Marini. In questa occasione abbiamo potuto contare sul sostegno di tutto il centro sinistra, ma ci siamo trovati di fronte al muro delle destre.
Ci è apparso particolarmente odioso l’atteggiamento del ministro degli Interni, Giuseppe Pisanu che, da me chiamato più volte in causa non si è peritato di risponderci ma si è rinchiuso in un silenzio davvero riprovevole.
Ricordo che il ministro degli Interni dovrebbe sentire più forte il richiamo del suo ruolo istituzionale rispetto alla sua stessa appartenenza ad uno schieramento politico.
A Pisanu in situazioni assai difficili, non abbiamo fatto mai mancare dal versante dell’opposizione il nostro sostegno. Il suo comportamento di oggi ci ha profondamente deluso e amareggiato.
Noi, comunque, continueremo la nostra battaglia contro il centro destra che vuole occupare tutti gli spazi e soffocare una voce di rinnovamento come è quella della Rosa nel Pugno.
È stato votato a maggioranza dal centro destra un regolamento delle presenze televisive da parte della Commissione di Vigilanza Rai che sembra fatto apposta per mettere il bavaglio alla Rosa nel Pugno e contro il quale ci batteremo con determinazione e tenacia.
Il centro destra non solo utilizza il monopolio politico, che ha Berlusconi sull’informazione televisiva, per limitare la libertà di espressioni ma piega le regole dello svolgimento della campagna elettorale solo suo vantaggio. Ci troviamo, quindi, di fronte ad una concorrenza truccata che restringe l’accesso dei mezzi televisivi al centro sinistra e, per colpirlo meglio, oscura le formazioni cosiddette minori e riduce al minimo anche i nostri spazi.
È quindi aperta nel Paese una grande questione di libertà e di legalità.
Berlusconi aveva condotto la sua campagna elettorale per il 2001 all’insegna dell’avvento di un nuovo miracolo economico e di una rivoluzione liberale. Oggi ci troviamo con una economia reale che stenta a riprendersi e con conti pubblici fuori linea. Oggi siamo di fronte ad una società nella quale le classi dirigenti e comunque i ceti più avvantaggiati sono ancora più arroccati nei propri privilegi con un distacco crescente dalla realtà complessiva del Paese.
L’Italia appare in grave difficoltà ad affrontare la sfida che nasce da un mondo sempre più globalizzato. Il nostro Paese perde in credibilità e in autorevolezza nella scena internazionale.
L’unità europea è il principale pilastro della nostra politica estera. L’europeismo socialista ha una radice profonda, che risale al padre del riformismo, Filippo Turati, il quale già negli anni ’20 sognava gli Stati Uniti d’Europa.
L’europeismo è stato sempre la bussola dei socialisti: da Saragat a Nenni, sino a Craxi. Oggi tuttavia ci troviamo a un bivio: o il processo di costruzione europea va avanti; o rischia di arretrare e disgregarsi. La moneta unica è stata una grande conquista, ma la moneta unica comporta un coordinamento stretto delle politiche economiche e fiscali. Soprattutto, non si è mai vista nella storia una moneta appesa al nulla. Sulle monete, da sempre, sono impresse la corona, la spada, la bilancia: simbolo della sovranità, della difesa militare, della giustizia. La moneta unica ha bisogno di essere sostenuta da una politica estera comune, da una difesa comune, da una comune amministrazione della giustizia. La moneta unica ha bisogno della unità politica dell’Europa. L’Europa è diversa dagli Stati Uniti. Certo. Ma l’Europa unita non deve nascere contro o senza gli Stati Uniti. Deve lavorare per una rinnovata Alleanza Atlantica: una alleanza leale e paritaria, dove la condizione della parità è innanzitutto la credibilità dell’Europa, che consiste oggi nella sua unità politica.
Abbiamo considerato un errore l’invasione militare dell’Iraq. Abbiamo considerato un errore la delegittimazione in Palestina di Arafat e di Al Fatah. Purtroppo, in queste settimane, ne vediamo nuove conseguenze.
L’Iraq è stato attaccato perché accusato di avere programmi nucleari.
L’Iraq non li aveva, ma l’Iran sì. E adesso l’Iran vede moltiplicato il suo potere, proprio mentre le tendenze estremiste vi si rafforzano. Adesso, l’Iran può contare sul sostegno degli sciiti in Iraq e di Hamas in Palestina. L’Iran ha lanciato una odiosa campagna antisemita contro Israele, che tutta la Comunità civile deve respingere con fermezza. A maggior ragione, di fronte a questi nuovi pericoli, bisogna non guardare al passato, ai contrasti sull’invasione dell’Iraq, che ha diviso l’Occidente, bensì al futuro. Bisogna stabilizzare e democratizzare l’Iraq. Bisogna trovare la pace in Palestina, rispettando i diritti di Israele e quelli dei palestinesi. Per tutti questi obiettivi si richiedono solidarietà occidentale, azione comune con i paesi arabi interessati a evitare guerre di civiltà, azione comune delle alleanze e delle istituzioni internazionali, a cominciare dalle Nazioni Unite.
Non l’unilateralismo di una potenza, per quanto grande, ma il multilateralismo che è la chiave per la risoluzione dei conflitti. L’europeismo è la bussola della Rosa nel Pugno, ma oggi dobbiamo guardare ancora più avanti.
La globalizzazione dell’economia è una realtà. Non va ostacolata, ma va accompagnata dalla globalizzazione della politica.
Ovvero dalla costruzione di istituzioni internazionali efficaci, capaci di lavorare per la pace nel mondo, per il riequilibrio economico, per l’intervento nelle emergenze, per la tutela dell’ambiente, per la lotta alla malattia, alla fame, alla violazione dei diritti umani. Il mondo è diventato troppo piccolo e interdipendente per fare a meno di una politica sopranazionale.
Da sempre, i socialisti hanno avuto chiaro questo obiettivo, anche quando poteva apparire un sogno avveniristico. L’Internazionale Socialista stessa è nata su questa base. E i socialisti italiani sono stati sempre partecipi con entusiasmo alle sue elaborazioni. Oggi, l’Internazionale Socialista deve diventare meno eurocentrica, meno legata alle ideologie e alle storie nate nell’800. Deve guardare al nuovo secolo, allargandosi a tutte le culture liberaldemocratiche e progressiste, innanzitutto al Partito Democratico americano. Per questo, all’inizio degli anni ’80, avevamo proposto che l’Internazionale Socialista si chiamasse Internazionale Democratica. Oggi, lo riproponiamo a maggior ragione. Abbiamo bisogno di una Internazionale che integri i valori migliori della tradizione liberale e quelli della tradizione socialista, che diventi una moderna internazionale liberalsocialista.
L’Italia, socio fondatore dell’Unione Europea, è sempre stata in prima fila nella costruzione dell’unità europea. Per la prima volta, contro l’interesse nazionale, il governo Berlusconi si è posto invece spesso in ultima fila, nella inutile ricerca di un rapporto privilegiato con l’amministrazione Bush.
La Rosa nel Pugno darà il suo contributo per voltare pagina e per tornare a una strategia che nello stesso tempo risponda ai principi ideali e all’interesse nazionale.
La Rosa nel Pugno deve proporre all’Unione una politica estera che sia fondata sulla pace, sulla sicurezza e sulla libertà. Solo un’Italia che ritrovi a livello internazionale il suo ruolo può affrontare le grandi sfide dell’economia.
La Rosa nel Pugno si propone di contribuire a dare alla società italiana una robusta iniezioni di libertà. La questione sociale e la questione democratica sono state sempre profondamente intrecciate. La lotta sul piano economico e sociale non è mai stata separata da quella per la democrazia e per la libertà.
Questa posizione si ritrova pienamente espressa da Nenni che imposta la lotta per la Repubblica, come obiettivo centrale del movimento operaio e socialista. Nenni, con uno slogan efficace: “La Repubblica o il caos” porta lo schieramento antifascista, nel quale non mancavano dissensi, dubbi e incertezze, alla vittoria contro la monarchia.
Questa è stata la nostra posizione quando con Marco Pannella e Loris Fortuna ci siamo battuti per introdurre e, poi, difendere nel referendum il divorzio. Noi siamo stati accusati di porre in secondo piano la questione sociale rispetto alla nostra iniziativa per la difesa della laicità dello Stato, per la legalità e per la libertà.
Noi diciamo che oggi queste nostre battaglie, tuttora in corso, non sono affatto secondarie rispetto alla questione sociale.
La laicità è una questione essenziale per la modernizzazione del nostro paese. Il clericalismo conservatore, per utilizzare una definizione di Barbara Spinelli, rischia di ricacciare l’Italia in una condizione di arretratezza rispetto a tutti gli altri paesi europei e non solo nel campo del costume, degli stili di vita, della cultura ma anche rispetto alla politica, all’innovazione ed allo sviluppo.
Vi è un rapporto assai stretto tra la laicità dello Stato, la legalità, la libertà e il progresso civile e lo sviluppo economico. L’Italia sembra essere avviata ad un lento e inesorabile declino. Questa situazione non è riconducibile solo alle responsabilità del Governo Berlusconi che indubbiamente ha contribuito ad aggravare la situazione. La crisi attuale va fatta risalire a caratteristiche strutturali del nostro Paese. Condizioni, che sono state vantaggiose in passato, come l’esistenza di una fitta rete di piccole e medie imprese, oggi di fronte ad un mondo globalizzato rappresentano sempre più un forte handicap, per di più aggravato dall’impossibilità di avere una boccata d’ossigeno con svalutazioni competitive.
Il nostro sistema produttivo non regge di fronte alle grandi concentrazioni internazionali, non riesce a fare forti innovazioni tecnologiche e di prodotto, a sviluppare le nuove frontiere della ricerca, ad essere presente efficacemente nel mercato pubblicitario, salvo alcune eccezioni limitate spesso ai settori maturi. Noi assistiamo ad una vera e propria crisi del nostro sistema industriale, ad un elevato grado di inefficienza e di costi elevati nei servizi (mi riferisco alla rete distributiva, come alle prestazioni sociali), ad una vera e propria crisi della scuola, della formazione professionale e dell’università e della ricerca, proprio quando la qualità, la qualificazione e l’innovazione, sono diventati i pilastri della nuova economia.
È in questo contesto che si sono accentuate le disuguaglianze sociali e gli squilibri territoriali. Con il passaggio all’euro, in mancanza di qualsiasi intervento da parte del governo nel campo della liberalizzazione dei servizi delle professioni e dei controlli fiscali, vi è stato un eccezionale spostamento di ricchezza da coloro che hanno un reddito fisso a coloro che hanno potuto dettare i propri prezzi o le proprie tariffe. Questo stato di cose è ancora più svantaggioso per le nuove generazioni che premono per entrare nel mondo del lavoro. Molte sono le barriere che i giovani incontrano di fronte alle quali devono rassegnarsi molto spesso a ruoli precari e marginali.
Ci troviamo in una situazione paradossale: ad essere stati messi sul mercato sono solo i lavoratori dipendenti. Sono invece a riparo dal mercato i monopoli nel campo delle utilities (telecomunicazioni, acqua, gas, elettricità), gli oligopoli in quello delle assicurazioni, gli ordini professionali.
Mancanza di concorrenza, e di oligopoli, chiusure corporative, economia sommersa, evasione fiscale e contributiva sono i nodi strutturali della nostra economia.
Il lavoro più è flessibile e meno è pagato. Dovrebbe invece accadere l’esatto contrario: più il lavoro è flessibile e più dovrebbe essere pagato.
Questa situazione deve essere affrontata con riforme strutturali che modifichino a fondo la situazione del Paese, nel senso della libertà e della legalità.
Noi dobbiamo recuperare il senso forte delle riforme che devono modificare profondamente una società quasi immobile, stanca, sfiancata e scoraggiata. L’esigenza di rafforzare il mercato, è assai diffusa e condivisibile. Il mercato non deve essere inteso come una sorta di calcolatore elettronico che serve ad allocare le risorse. Il mercato, come ha scritto l’economista Alessandro Roncaglia nel suo recente saggio: “Il mito della mano invisibile”, è istituzioni e regole. Esempi straordinari di un mercato che non funziona sono stati gli scandali che sono scoppiati nel mondo bancario. La crisi di credibilità e di autorevolezza della Banca d’Italia ha sicuramente aggravato una situazione, nella quale si erano già prodotti guasti di notevole portata. L’intervento della magistratura, che dovrebbe essere solo di ultima istanza, dimostra chiaramente il cattivo funzionamento del sistema dei controlli. Noi abbiamo un mercato ammalato che non riesce ad assicurare una reale competizione.
Prima dei casi bancari, come quello della Unipol e della Antonveneta, si erano verificati quelli della Cirio e della Parmalat. L’impressione complessiva, che si trae da queste vicende, assai diverse tra di loro, è di una crisi grave e profonda dei nostri assetti di potere economico. Nel nostro sistema i “furbetti del quartierino” sono molto più numerosi di quanto appare a prima vista. È desolante che qualsiasi movimentazione di un sistema economico e di potere del tutto statico avvenga solo sotto la spinta di persone dedite all’avventura, senza rispetto delle regole e con l’adozione di sistemi al limite o addirittura oltre la legalità.
Questo stato di cose deve far considerare innanzitutto da parte del mondo del lavoro e da parte delle nuove generazioni essenziali le battaglie per la libertà e per la legalità.
Noi abbiamo svolto un convegno a Napoli nel quale, abbiamo affermato che si deve affrontare la questione del Sud sotto una nuova lente. Sulla questione meridionale sono stati versati fiumi d’inchiostro, sono state pronunciate parole di fuoco, sono lanciate le idee più diverse. Il Sud, è cresciuto, si è rinnovato, non è più quello di una volta. Resta, però, un grande divario rispetto al Nord del nostro Paese, che nessuna politica ha fino ad oggi colmato.
Alle soglie del nuovo secolo e nonostante si sia persino arrivati ad affermare l'inesistenza oramai della questione meridionale, i dati di fondo fanno capire come il problema esiste tutt'ora.
Il Mezzogiorno rimane una grande questione economica e sociale della nostra Italia.
La lettura delle ultime rilevazioni sull'aumento della povertà che colpisce in modo particolare il mezzogiorno; la grave carenza di infrastrutture e servizi; il perdurare di una disoccupazione a due cifre; la condizione di grave malessere delle donne e dei giovani per la mancanza di opportunità di lavoro; il deficit della bilancia commerciale delle regioni meridionali rispetto al resto del paese; il reddito procapite che si aggira intorno al 60% di quello del Centro Nord; la mancanza di sicurezza per la violenza non repressa delle grandi organizzazioni delinquenziali e la debolezza delle istituzioni, che rende fragile l'esercizio democratico della vita pubblica, ripropongono la centralità della questione meridionale.
Le politiche di intervento pubblico non possono essere soppresse, anche se i trasferimenti dovranno essere improntati a rigorose logiche di promozione dello sviluppo, evitando tutte le forme assistenziali e di esclusivo sostegno ai consumi.
Il concerto con gli organi elettivi locali, ad iniziare dalle Regioni, è indispensabile nel definire le finalizzazioni degli interventi e gli strumenti rapidi di attuazione.
Infrastrutture, servizi moderni, autostrade informatiche, utilizzazione delle risorse idriche, recupero del patrimonio edilizio, incentivi per le nuove iniziative e formazione sono le direttrici per la riproposizione di un meridionalismo più consapevole.
Le risorse umane e territoriali sono due elementi di forza che, come ha affermato il Presidente della Repubblica Ciampi, fanno del Mezzogiorno una straordinaria opportunità per il Paese.
Le opportunità, però, vanno promosse e ciò sarà possibile solo se vi sarà coerenza nelle politiche governative e capacità di autodeterminazione.
Il Mezzogiorno di domani non potrà subire la beffa del passato, umiliato da un potere centrale che con una mano ha dato i trasferimenti dell'intervento straordinario e con l'altra ha tolto quelli ordinari.
Questa è stata la linea tenuta dal governo Berlusconi.
Il nostro impegno per le libertà, che ha avuto illustri antenati in Giacomo Mancini, per la sua azione diretta a trasformare la realtà meridionale, e in Gaetano Salvemini, predicatore della moralizzazione della vita pubblica quale premessa dell'autorigenerazione locale, coniuga in un giusto equilibrio, l'espansione dei diritti individuali e giustizia sociale.
La Rosa nel Pugno fa della giustizia sociale e delle libertà un concreto impegno di azione politica. Fondamentale resta la necessità di affermare la legalità. Non si tratta solo di contrastare con sempre maggiore vigore le grandi organizzazioni criminali, la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra e la nuova corona unita, ma di diffondere una nuova cultura che faccia della responsabilità individuale e del rispetto delle regole la base per un nuovo processo civile ed economico.
Non è sufficiente quindi sconfiggere Berlusconi, ma è necessario avviare un cambiamento – ed è stato Romano Prodi a definirlo così – radicale.
Si tratta di ridare flessibilità e competitività al nostro sistema. In Italia esiste una sorta di mondo microsovietico fatto di concessioni, di autorizzazioni, di licenze, di tariffe, di corporazioni e di sussidi. Si è creato un groviglio di interessi che spinge molto spesso i sindacati a difendere lo status quo solo al fine di tutelare il posto di lavoro. Solo spezzando questo intreccio si può ridare concorrenzialità al sistema.
Questo stato di cose deve indurre ad una radicale riforma degli ammortizzatori sociali, che sganci il sostegno al reddito individuale da ogni forma di sussidio indiretto alle imprese, come avviene oggi con la cassa integrazione.
Si tratta, quindi, di ridisegnare con gradualità tutto il sistema, trovando le risorse necessarie.
Il “reddito di cittadinanza” è la risposta che può assicurare una rete di protezione, che non generi inefficienze nel mercato. Più elevata è la flessibilità, più forte deve essere la tutela sociale. Le critiche all’introduzione del reddito di cittadinanza sono le stesse che si possono fare a qualsiasi altro ammortizzatore sociale: 1) incentiva il lavoro nero che può essere svolto contemporaneamente al godimento del sussidio; 2) incoraggia la disoccupazione perché vi possono essere persone che si accontentano del sussidio e, quindi, non cercano il lavoro; 3) ha un costo che grava interamente nelle casse dello Stato. Inoltre, è del tutto evidente che tanto più il reddito di cittadinanza è elevato, tanto più deve esserne ridotta l’estensione; tanto più è basso, tanto più può essere esteso.
Per rispondere a queste critiche si può proporre che il reddito di cittadinanza possa essere utilizzato solo se non si trova lavoro o nel mentre si svolgono corsi di riqualificazione professionale.
Questa nostra proposta vuole essere un adattamento graduale alle condizioni italiane del modello danese della flexsecurity, sostenuto anche recentemente dal professor Giavazzi.
Così la proposta del reddito di cittadinanza può essere seriamente adottata in Italia.
La costruzione di un nuovo sistema di sicurezza sociale deve essere strettamente collegato con la scuola e con la formazione professionale.
La qualità è essenziale per lo sviluppo. Ma cosa significa innanzitutto qualità ?
Se si vuole davvero dare alla crescita un’impronta basata sull’innovazione e sulla ricerca allora bisogna avere ben chiaro che il tema principale e’ costituito dalla scuola. Parafrasando uno slogan di Tony Blair, potremmo dare una semplice indicazione per il programma che stiamo elaborando come centrosinistra.
A chi ci chiede quale è la prima priorità rispondiamo: la scuola pubblica, la seconda la scuola pubblica, la terza la scuola pubblica.
La scuola rappresenta oggi una chiave fondamentale per dare impulso allo sviluppo.
Noi siamo per la difesa della scuola pubblica. Siamo contrari al finanziamento delle scuole private, paritarie o no che siano, rispettando rigorosamente il dettato della Costituzione, secondo la quale esiste libertà di scuola, senza oneri per lo Stato.
Chiediamo che nel programma dell’Unione ci sia scritto nella forma più chiara e esplicita che rispetteremo alla lettera le norme costituzionali sulla scuola.
Dobbiamo dare un messaggio agli insegnanti ed agli studenti che vivono in uno stato di profondo disagio e di ormai permanente agitazione: noi siamo per dislocare nella scuola nuove ed ulteriori risorse, rispetto ad un governo che ha fatto tanti piani tutti sulla carta, senza aggiungere neanche un soldo per rinnovare, migliorare ed innovare il nostro sistema di istruzione.
In condizioni di assoluta ristrettezza, in cui versa la scuola pubblica, il nostro bilancio si permette di elargire piu’ di un miliardo e mezzo di euro per l’insegnamento di religione gestito dalla curia e per le scuole private.
Si e’ arrivati persino a creare una sorta di cassa integrazione per il Vaticano che accoglie quegli insegnanti di religione, licenziati dalle gerarchie ecclesiastiche, affidando loro altre materie di insegnamento nella scuola pubblica.
Si può chiedere al centro sinistra di impegnarsi ad eliminare un caso come questo unico al mondo?
Noi siamo decisamente contrari ad introdurre elementi di formazione professionale nei primi dieci anni d’istruzione.
Questo è quello che abbiamo sempre sostenuto fin da quando riuscimmo a far approvare la fondamentale riforma della scuola media unica nel primo governo di centrosinistra.

Non c’è infatti cosa più odiosa che imporre ai nostri giovani il destino in un’età nella quale deve valere il principio delle pari opportunità. Già sono tante le discriminazioni di reddito, di status, di ambiente famigliare e sociale che condizionano la vita e il futuro delle persone, che occorre fare di tutto per rimuovere le disuguaglianze che ci sono ed evitare di introdurne di nuove.
Noi siamo per portare tutti i giovani a completare un ciclo di istruzione dai 5 ai 18 anni.
È un’utopia?
No, non lo è!
Basta guardarci intorno, basta guardare negli altri Paesi europei.
È comunque se fosse un’utopia, noi dobbiamo avere il coraggio di perseguire questa utopia.
Del resto è proprio sul terreno della scuola, dell’istruzione dei nostri giovani che si misura la netta differenza che esiste tra destra e sinistra, tra riformatori e conservatori, in Italia, in Europa e in tutto il mondo.
È questa la differenza che ci rende diversi. Nettamente diversi.
Noi da loro.

È con questa idea della centralità della scuola pubblica che ci rivolgiamo ai giovani, alle loro famiglie e a tutti gli insegnanti italiani.

Troppo spesso, di fronte alla crisi del nostro sistema di istruzione, si tende a far ricadere tutte le colpe sugli insegnanti, sulla loro insufficiente preparazione, sul loro numero troppo elevato, sulla inefficienza del loro impiego. Noi respingiamo con forza questa autentica denigrazione che è fatta giorno dopo giorno nei confronti degli insegnanti a tutti i livelli. Anzi siamo convinti che, se non vi fosse un impegno attento e generoso di persone che hanno doti e qualità intellettuali spesso di ottimo livello e che sono assolutamente malpagati e privi degli strumenti necessari per aggiornarsi, non solo la scuola italiana sarebbe al collasso ma tutto il Paese si troverebbe in condizioni assai peggiori. Noi abbiamo piena fiducia nei nostri insegnanti che si occupano e si preoccupano in condizioni difficilissime, del bene più prezioso: l’educazione dei nostri figli. Scaricare sugli insegnanti la responsabilità delle disfunzioni, che affliggono il nostro sistema di istruzione, è solo un odioso alibi di classi dirigenti che hanno abbandonato alla deriva la scuola italiana. Noi facciamo un vero e proprio appello agli insegnanti italiani, di cui vogliamo tutelare e valorizzare la dignità professionale, perché ci sostengano noi siamo assolutamente determinati a difendere la centralità della scuola pubblica.
Dagli insegnanti italiani ci attendiamo, poiché ne hanno tutte le capacità intellettuali, un contributo per modernizzare l’Italia, affermare una nuova etica pubblica e difendere la laicità dello Stato.
Noi pensiamo che il rinnovamento della cultura, del costume e della morale sia fortemente collegato allo sviluppo economico. Il fondamentalismo affronta la sfida della globalizzazione con l’intolleranza, la volontà di sopraffazione e, nei casi estremi, con il terrorismo. La laicità diventa quindi un terreno fondamentale per poter affrontare e risolvere i problemi del mondo moderno. Noi abbiamo sempre rispettato e continuiamo a rispettare il sentimento religioso.
Nel nostro partito, tra i nostri iscritti, tra i nostri dirigenti. tra i nostri parlamentari vi sono credenti e non credenti, cattolici e aderenti ad altre confessioni religiose. Descrivere oggi la Rosa nel Pugno, di cui lo Sdi fa parte, come un manipolo anticristiano non è solo una caricatura ma una completa falsificazione.
Noi abbiamo un profondo rispetto per la Chiesa cattolica, come per qualsiasi altra confessione religiosa o visione del mondo. Per quanto ci riguarda, la Chiesa può fare politica come vuole, dire ciò che vuole e agire come meglio intende fare. Ciò a cui noi ci opponiamo è che le gerarchie ecclesiastiche possano godere di privilegi che nell’epoca moderna e in una democrazia liberale sono del tutto assurdi.
Mi è arrivata una pioggia di critiche da parte di quasi tutti i leader dei partiti perché mi sono permesso di osservare che l’entrata a gamba tesa del cardinale Camillo Ruini, presidente della Cei, nella vita politica italiana poneva le premesse per il superamento del Concordato, poiché ne violava apertamente lo spirito. Mi è stato ricordato che i socialisti sono stati protagonisti con Craxi, presidente del Consiglio, della revisione del Concordato.
I socialisti sono stati, però, anche i protagonisti con Pietro Nenni della battaglia contro l’articolo 7 che costituzionalizzava il Concordato..
Tra la scelta di Nenni e quella di Craxi non vi è stata una contraddizione, ma solo una evoluzione.
Con la revisione del Concordato del 1984 si è raggiunto un obiettivo fondamentale: il cattolicesimo non è stato più religione di Stato, ponendo così le premessa fondamentale e necessaria per il completo superamento del regime concordatario. Craxi era perfettamente consapevole di questa svolta. Infatti, nel suo discorso al Senato del 3 agosto 1984 affermò testualmente: “La peculiarità delle concrete situazione storico-sociali non consente, allo stato attuale, una sistemazione dei rapporti Stato-Chiesa che superi le forme pattizie, come è apparso chiaro, del resto, da tutti i dibattiti parlamentari sull’argomento. Ma l’Accordo del 18 febbraio contiene segni importanti, nuove e più duttili modalità tecnico-giuridiche di raccordo tra le due società che consentiranno di sperimentare, nell’articolato sistema di intese che dovrà instaurarsi, la tendenza verso la sostituzione integrale dei meccanismi concordatari classici”.
Ebbene io ho tratto, come conseguenza dell’intervento attivo delle gerarchie ecclesiastiche che è stato rivolto a far astenere elettrici ed elettori dal voto nel referendum sulla fecondazione assistita, la necessità di porre il tema del superamento del Concordato.
Noi non abbiamo mai fatto una campagna per togliere i crocefissi dalla scuola e dagli edifici pubblici per non essere accusati di voler imporre una sorta di agnosticismo di Stato. Resta, però, il fatto che la presenza di simboli religiosi costituisce una evidente condizione di privilegio che pone chi crede in un’altra visione del mondo o in un’altra fede religiosa in una evidente condizione d’inferiorità.
L’istruzione religiosa nelle scuole costituisce ancora oggi, così come è fatta, una assoluta anomalia.
Si era trovato il modo di finanziare la Chiesa con l’otto per mille, che doveva corrispondere a un contributo consapevole e volontario da parte dei cittadini. Invece, oggi anche i finanziamenti dei cittadini, che non hanno scelto a chi darli, sono ripartiti secondo la proporzione di chi invece ha scelto a chi darli. Si tratta di un vero e proprio trucco che tradisce lo spirito di questo meccanismo di finanziamento.
Noi siamo invece del parere che le risorse che i cittadini non hanno consapevolmente destinato, vadano alla ricerca scientifica che è la chiave di volta del progresso civile ed economico del paese.
Noi non siamo indifferenti all’offensiva politica che le gerarchie ecclesiastiche stanno conducendo in Italia, a partire dal referendum sulla fecondazione assistita, contro i diritti civili, la modernizzazione del costume e il rispetto della morale individuale, liberalmente scelta.
È in atto una campagna appoggiata dalle destre per scardinare la legge sull’aborto. Noi abbiamo sempre detto che l’aborto è un dramma. Non abbiamo mai affermato che l’aborto è un diritto. Abbiamo invece sempre sostenuto che è un diritto della donna avere una maternità consapevole. Chiediamo all’Unione di scrivere a chiare lettere nel suo programma che è del tutto inaccettabile che si vogliano far saltare i meccanismi della legge sull’aborto attraverso l’intervento di veri e propri gruppi d’assalto nei consultori, con la pretesa di trasformarli in una sorta di tribunali ecclesiastici nei confronti delle donne, come è stato giustamente osservato dal professor Carlo Flamigni.
Mi stupisce che in Italia, vi siano ancora tanti ostacoli all’introduzione dei Pacs. È davvero un sintomo di quanto sia ancora arretrata l’Italia sul piano del costume. Bill Clinton, che non è un pericoloso laicista, ha inviato un messaggio al famoso cantante Elton John, per il suo matrimonio con il suo compagno, nel quale si afferma: “Se ci fossero più persone come te, il mondo sarebbe migliore”.
Tony Blair, che è un uomo di fede, ha mandato un messaggio altrettanto caloroso. Solo in Italia si considera ancora l’omosessualità una malattia dalla quale guarire e gli omosessuali persone alle quali non va concesso il diritto di creare delle unioni stabili e riconosciute. Noi chiediamo che nel programma dell’Unione vi sia un riconoscimento delle unioni di fatto che possa effettivamente rappresentare un nuovo istituto giuridico, capace di dare ad una convivenza di qualsiasi tipo una cornice di sicurezza. Sappiamo bene che l’avanzamento nel campo dei diritti civili si scontra con profonde resistenze. Vi sono chiusure che appaiono inspiegabili. Vi è un arretramento generale sul piano del costume e su quello della tolleranza civile. Ne è un esempio di straordinaria negatività la nuova legge avanzata dal centro destra che criminalizza i consumatori di qualsiasi droga, leggera o pesante che sia.
Siamo convinti che bisognerebbe liberalizzare il consumo delle droghe leggere, mettendo fine ad una vera e propria persecuzione che ha spinto a confessare, come se fosse un peccato, autorevoli esponenti delle nostre istituzioni di aver fumato almeno uno spinello. In questo campo, come in quello dell’unità della famiglia, si consumano le più clamorose ipocrisie. Rispettare nei limiti del lecito la privacy dei cittadini e delle cittadine dovrebbe essere un principio fondamentale della nostra democrazia liberale. Al contrario ci troviamo di fronte a campagne che vorrebbero dettarci tutti i nostri comportamenti in ogni campo, compreso quello sessuale.
Le gerarchie ecclesiastiche si sono contraddistinte in un tentativo di ridare al nostro Paese una identità cattolica che dovrebbe essere assunta, almeno in alcuni valori fondamentali, da tutti.
Questa offensiva della Chiesa ha avuto, a nostro giudizio, una fortissima influenza nelle vicende politiche del nostro Paese. Come tutti sanno, come Sdi, ci siamo impegnati in ben due congressi nel perseguire l’obiettivo della costruzione di un nuovo partito riformista che mettesse insieme differenti riformisti socialdemocratici, liberali riformatori, ambientalisti non fondamentalisti e cattolici democratici. Questo percorso è stato interrotto dalla decisione di Rutelli, appoggiata da una larga maggioranza della Margherita, di bloccare la presentazioni della lista “Uniti nell’Ulivo”
Nello stesso tempo Rutelli, in occasione del referendum sulla fecondazione assistita, ha sostenuto con molta decisione le posizioni del Cardinale Ruini.
A questo proposito scrive un osservatore attento come Sergio Romano in un suo recente libro dal titolo “libera chiesa in libero stato”: “quando il cardinal Ruini volle evitare che il numero dei votanti raggiungesse il quorum necessario alla validità della votazione ed esortò gli italiani a disertare le urne, gli uomini politici italiani di destra e di sinistra avrebbero dovuto ricordare che la Chiesa ha certamente il diritto di segnalare le sue preferenze ed esporre le sue ragioni, ma non quello di impartire, come un partito politico istruzioni elettorali. Qualcuno parlò, ma la maggioranza tacque, o adirittura approvo’ la linea della Cei e si conformò ai suoi desideri. Nulla del genere sta accadendo nelle altre maggiori società europee.”
Queste due scelte sono le facce di una stessa medaglia: la Margherita così si è trasformata da prototipo dell’Ulivo a partito a netta prevalenza cattolica.
L’Ulivo che è una creatura laica per definizione non poteva sopravvivere alla scelta integralista di una delle sue componenti fondamentali.
Noi abbiamo interpretato questa scelta come una svolta strategica.
Non è possibile a nostro giudizio costruire un partito riformista o democratico, comunque lo si voglia chiamare, con all’interno un partito che sceglie questa sintonia con le posizioni piu’ conservatrici delle gerarchie ecclesiastiche.
Siamo decisamente preoccupati della piega che sta prendendo questa ipotetica costruzione politica che vuole continuare a chiamarsi partito democratico.
Su alcuni temi, come quelli della giustizia, noi abbiamo registrato una sostanziale arretratezza di tutta l’Unione, rispetto alla necessità di adeguare il nostro ordinamento giudiziario ai modelli europei, nei quali vi è una netta separazione delle carriere tra pubblica accusa e giudice terzo. Tuttavia avevamo notato una riflessione di tipo nuovo che cominciava a rendersi conto come la giustizia italiana, per essere effettivamente indipendente e autonoma, non solo dovesse essere posta a riparo dalle incursioni corsare del Governo, ma anche tenersi ben distante dalla politica. Non era stato però certo un buon segno l’ostilità manifestata dalle principali forze dell’Unione nei confronti dell’amnistia che era stata sostenuta dall’iniziativa di Marco Pannella. Non si è valutata nel suo effettivo peso la necessità di intervenire per rimettere in carreggiata la macchina giudiziaria con misure che eliminassero un vero e proprio ingorgo di milioni e milioni di piccoli processi, la cui celebrazione è comunque assai dubbia nel tempo. Non si sono neppure prese in considerazione le condizioni spesso inumane delle nostre carceri, ormai affollate in larga parte di immigrati, tossicodipendenti e poveri. Su tutto il capitolo della giustizia non si può dire certo che né l’Unione, né l’Ulivo formato Margherita-Ds, abbiamo una posizione liberale, libertaria e progressista.
Ora assistiamo alla candidatura del dottor Gerardo D’Ambrosio che è stato protagonista del Pool di “Mani pulite”.
Si tratta di una scelta che io considero profondamente sbagliata. Il dottor Francesco Saverio Borrelli, che è stato il capo della Procura di Milano pur dichiarando che è pronto a votare il dottor D’Ambrosio, ha però fatto alcune osservazioni sulle quali i Ds dovrebbero attentamente riflettere.
Borrelli ha detto: “Personalmente non approvo i magistrati che usano la popolarità raggiunta a causa delle loro attività per scendere in politica ed ottenere consensi, ma questa è una mia idea”. Aggiungo da parte mia che è anche la mia idea.
Borrelli, non si ferma però a questa considerazione, ma aggiunge: “Certo mi dispiacerebbe se il centro sinistra dovesse attingere a piene mani nella magistratura per dieci, cento candidature. In questo modo potrebbe apparire fondata l’accusa di politicizzazione rivolta dal Presidente del Consiglio alla Magistratura”.
A buon intenditore poche parole.

Questo lo diciamo noi che abbiamo apertamente contrastato il tentativi strumentali che sta portando avanti Berlusconi per mettere alla sbarra i Ds con il caso Unipol e che abbiamo espresso in maniera chiara e fin dal primo momento la nostra solidarietà nei confronti di Piero Fassino e del suo partito.

Se il centro sinistra vuole efficacemente contrastare Berlusconi, deve sposare in pieno i principi della democrazia liberale, fugando qualsiasi sospetto che possa portare ad una rivisitazione storica, nella quale si consideri il pool di “Mani Pulite” teleguidato dai Ds.
Se non si capisce questa verità elementare, allora le nostre preoccupazioni aumentano notevolmente.
Non ci convince proprio un partito democratico che fa affiorare una sorta di asse tra il clericalismo dei seguaci del Cardinale Ruini, e il giustizialismo dei simpatizzanti del dottor D’Ambrosio. Emerge così del tutto chiaro che il progetto del partito democratico, così come si sta definendo, è ben lontano da quel big bang tra diversi riformismi che ricorrentemente viene evocato da Arturo Parisi e da Michele Salvati e che, e lo ribadiamo, ci trova d’accordo.
Assomiglia molto di più ad un compromesso tra due partiti che insieme, invece di rinnovarsi, sono istintivamente attratti a riconfermare le proprie identità e quindi, ad essere incapaci di produrre una forza politica davvero nuova.
Noi abbiamo immediatamente avvertito la necessità di assumere una iniziativa politica che intervenisse nella breccia creatasi nel processo di costituzione dell’Ulivo.
Qualcuno ha scritto per i socialisti la rosa nel pugno è stata una ritirata strategica dopo il fallimento dell’ulivo a cui avevano tanto creduto: no è stata una scelta strategica.
Era del tutto naturale che sulla strada della difesa della laicità dello Stato e dei diritti civili c’incontrassimo con i radicali, con i quali abbiamo combattuto battaglie fondamentali. Così è nata la Rosa nel Pugno che corrisponde innanzitutto ad una richiesta assai diffusa di contrastare l’offensiva integralista in atto da parte delle gerarchie ecclesiastiche.
Noi socialisti, come componenti della Rosa nel Pugno, non abbandoniamo nulla di ciò che siamo stati nella nostra storia. Se lavoreremo tutti, radicali e socialisti, con impegno e se avremo consensi consistenti da parte di elettrici e di elettori, potremo dare un forte impulso al rinnovamento del centro sinistra e così porlo nelle condizioni migliori per governare il Paese.
Nella Rosa nel Pugno porteremo tutta intere la tradizione dei socialisti e quella dei radicali. Tuttavia la Rosa nel Pugno non sarà la pura e semplice somma dei socialisti e dei radicali. Noi facciamo appello a tutti quei cittadini che vogliono più libertà e più diritti, più competizione e più cooperazione, più responsabilità individuale e più solidarietà sociale, per fare della Rosa nel Pugno il motore politico della modernizzazione dell’Italia.

I radicali vengono da una lunga storia fatta di lotte non violente, di impegno nei referendum, nei sit-in.
I socialisti fin dall’inizio dell’industrializzazione del Paese hanno alle loro spalle lotte operaie e bracciantili, scioperi e manifestazioni di piazza. Oggi la politica sta assumendo forme e modi diversi. Oggi come alle nostre origini, abbiamo scarsi mezzi. Siamo circondati da profonde diffidenze, oscurati dal grande monopolio televisivo di Berlusconi.
Non c’è più il padrone del vapore ma c’è il padrone delle tv.
Ieri come oggi abbiamo però assieme ai compagni radicali, una grande e preziosa risorsa che può sormontare le più gravi difficoltà. È la passione politica, il nostro amore per la libertà e per l’uguaglianza, e solo con la passione politica riusciremo a fare della Rosa nel Pugno un protagonista della nuova Italia.

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