27 e 28 marzo 2004 - 3° Congresso regionale SDI – Milano Palazzo delle Stelline - Relazione di Roberto Biscardini
27 marzo 2004
Care compagne e cari compagni, ringrazio tutti i presenti che hanno voluto partecipare a questo 3° Congresso regionale dello SDI che abbiamo voluto dedicare al ruolo che può svolgere il riformismo socialista per il futuro della Lombardia.
1. Le difficoltà della Lombardia
Viviamo in Lombardia, la regione che produce il 20% della ricchezza nazionale con il 15% delle imprese del Paese. E’ la regione più ricca d’Italia ma non è estranea alla crisi e alla recessione economica nazionale.
In Lombardia il sistema economico e produttivo, la realtà del mondo del lavoro, le condizioni di vita ed economiche delle famiglie, il sistema dell’istruzione, il modello assistenziale e sanitario, le questioni infrastrutturali, territoriali e ambientali sono per i cittadini lombardi motivo di crescenti preoccupazioni e rappresentano i segni di una nuova ingiustizia piuttosto che i parametri di un benessere raggiunto.
I cittadini lombardi hanno dovuto misurarsi in questi ultimi anni con un peggioramento complessivo della realtà economica e sociale, ormai resa evidente persino dai dati ufficiali.
L’andamento economico della nostra regione ha un trend di crescita negativo, con un tasso persino inferiore a quello medio nazionale.
In un Paese, unico in occidente con crescita ormai prossima allo zero, in Lombardia abbiamo a che fare con una gravissima crisi del sistema produttivo che si evidenzia con un trasferimento delle imprese fuori dalla regione e con un forte calo delle esportazioni sotto la pressione della concorrenza del mercato asiatico ma anche dei Paesi dell’area Euro.
Gli investimenti fissi non sono accompagnati né da un aumento coerente della produttività industriale né da un maggior utilizzo degli impianti.
Nel 2003 la produzione industriale in regione ha subito una contrazione dell’1,6% e i settori che stanno peggio sono quelli manifatturieri, il cosiddetto made in Italy, ma anche la farmaceutica, la chimica e la metalmeccanica.
Viviamo in una regione in cui le piccolissime imprese, quelle al di sotto di 9 addetti rappresentano in Lombardia il 92,6 % del totale, con il 26 % degli addetti. Quelle al di sopra dei 250 addetti sono solo lo 0,1 % con il 24 % degli addetti complessivi.
Se da un lato le piccole imprese sono in difficoltà, si verifica anche una crisi della grande impresa, così come si è constatato un disimpegno delle multinazionali che non hanno trovato nella nostra regione una corrispondenza con la ricerca e lo sviluppo.
Le imprese vanno là dove ci sono politiche di sostegno e dove sono più semplici le politiche per la ricerca, cosa che in Lombardia non avviene.
Calano insieme alla struttura produttiva i settori dei servizi all’impresa, quello che una volta chiamavano terziario avanzato. Reggono commercianti e artigiani ma nei settori più tradizionali.
A fronte di previsioni relativamente ottimistiche, che non hanno avuto riscontro, purtroppo la Lombardia non sembra destinata anche nei prossimi anni ad uscire dalle sue difficoltà.
La Lombardia incomincia a rappresentare per il paese più un costo che un guadagno, in un clima di delusione del sistema imprenditoriale nei confronti della politica del centrodestra.
Il centro destra ha abbandonato il campo.
Ha coniugato il modello liberista con la teoria che non c’è più bisogno di programmazione, mentre fino agli anni ’90 la forza economica della nostra regione trovava il maggiore sostegno nella programmazione, nella concertazione e nelle politiche di sviluppo. C’era allora una strategia industriale ed economica che ha accompagnato per oltre un decennio i processi di riconversione.
Oggi, c’è solo molta confusione e l’unica iniziativa che ha rilievo, con un peso più propagandistico che sostanziale, è l’attività che la regione fa come piazzista all’estero, ma ciò non ha nulla a che fare con una politica industriale.
Questo stato di crisi ha influito naturalmente sul dato occupazionale e sulla struttura interna dell’occupazione lombarda.
L’occupazione in Lombardia cresce ancora ma cresce meno.
C’è un rallentamento del tasso di crescita ed è in aumento il tasso di disoccupazione. Ma il nodo è la qualità sia dell’occupazione che della disoccupazione.
Anche in Lombardia si è coniugata la flessibilità con la precarietà, anziché sostenere la propensione ad un lavoro flessibile, che non è di per sé un male, ma che deve avere un sistema di tutele adeguate.
Il nodo più delicato dell’occupazione riguarda i giovani, ma anche quel personale maturo e solitamente dotato di alta professionalità che è estromesso dal lavoro ancora troppo giovane e non trova più i modi per rientrarvi.
Una schiera di tanti, troppo giovani per la pensione e troppo vecchi per lavorare, che non trovano più riscontro nell’ impresa che investe più sui giovani perché gli costano meno e in prospettiva durano di più.
E’ un problema occupazionale delicato, da affrontare prima che diventi problema sociale.
Così come è diventato sociale il problema dei pensionati giovani che con la loro pensione pagano la disoccupazione dei loro figli.
Problemi occupazionale che non possono essere affrontati senza il concorso di una politica regionale.
I segni del declino nella nostra regione sono quindi nell’incapacità di utilizzare al meglio tutte le nostre risorse umane, il know how delle loro professionalità e nell’incapacità di sviluppare nuova ricerca e università.
Il declino sta nell’incapacità di utilizzare al meglio le risorse giovanili, che dimostrano di muoversi nel mondo del lavoro con grande autonomia e capacità imprenditoriale.
Molti di loro si sentono cittadini del mondo ed anche lo diventano.
Si tratta di creare le condizioni perché la formazione che questi giovani si sono costruiti investendo all’estero, possa essere utilizzata in futuro e al meglio dalla nostra economia.
La crisi economica trova le sue ragioni anche nell’enorme deficit infrastrutturale che penalizza sul terreno dei tempi, dei costi e del disagio sia la mobilità delle persone che delle merci.
In Lombardia si sviluppa il 28% del traffico merci del paese.
Su 132 regioni dei 5 principali paesi europei la Lombardia è al 71esimo posto per dotazione ferroviaria e al 91esimo per dotazione stradale. La rete ferroviaria lombarda è sostanzialmente utilizzata al massimo delle sue potenzialità e anche il sistema delle grandi infrastrutture stradali ha raggiunto livelli di congestione con velocità commerciali talmente basse da rappresentare costi ormai insostenibili.
Oltre 5milioni e mezzo di lombardi su un totale di circa 9 milioni si spostano quotidianamente all’interno del territorio regionale, il 43% degli spostamenti è nell’area della provincia di Milano e di questi l’82% usa l’automobile.
A fronte di un fabbisogno primario di risorse per le infrastrutture pari a 14 miliardi di Euro e con un sistema infrastrutturale molto più debole rispetto a quello di altre regioni policentriche europee, è mancata la capacità della regione di perseguire un disegno strategico per favorire l’accessibilità sia verso l’esterno che all’interno.
Disegno che peraltro aveva sostanzialmente ereditato dalle elaborazioni e dalle intese istituzionali avviate dalla Lombardia tra l’85 e il ’95: Corridoio Europeo 5 compreso, pensato negli uffici della regione e non in quelli di Bruxelles più di dieci anni fa.
Molti altri parametri possono essere utilizzati per descrivere le difficoltà che si incontrano oggi nel vivere in Lombardia.
E’ nota la gravissima questione sociale, la debolezza della nostra capacità di sostenere il mondo della cultura, è noto ormai quanto pesi su larghissime fasce di cittadini il prezzo di un sostanziale impoverimento.
Un figlio in più, un anziano a carico, un malato in famiglia, l’affitto da pagare, una casa che non si trova, ma più semplicemente pagarsi i farmaci, affrontare il carovita e qualsiasi modesto imprevisto, sono la controprova che le nostre tasche sono sempre più vuote e il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi si è fortemente ridimensionato.
Qualche accenno alla politica della casa. Il fabbisogno di alloggi in Lombardia è di circa 60.000 per le famiglie più bisognose e 30.000 a canone sociale.
In un sistema abitativo in cui manca praticamente l’affitto, si costringono le famiglie ad acquistare il bene casa che assorbe fette elevatissime di reddito e il cui valore immobiliare è più che sproporzionato rispetto al suo valore reale.
E’ il dramma del ceto medio che il centrodestra ha completamente abbandonato a se stesso. Esso è obbligato a pagarsi tutto perché è troppo ricco per avere facilitazioni ma è anche troppo povero per stare da solo sul mercato.
Il settore edilizio produce una ricchezza finanziaria enorme, ma è una ricchezza di carta più che reale.
Dove finiscono le plusvalenze del continuo aumento degli alloggi?
Come vengono reinvestiti?
Non dimentichiamo che nelle grandi aree urbane queste valorizzazioni non sono dovute al bene casa in sè ma agli investimenti pagati dalla collettività in infrastrutture in servizi e nel miglioramento della città.
In fondo l’INVIM, oggi abolita, e i vecchi contributi di miglioria specifica consentivano di riportare al sistema pubblico e collettivo una fetta di queste rendite. Ma naturalmente per il centro destra un tema come questo è completamente fuori luogo.
2. I governi di centrodestra
Da circa dieci anni la regione Lombardia, molte grandi e piccole città e molte Province sono amministrate da maggioranze di centrodestra che si sono dimostrate più impegnate ad utilizzare la pubblica amministrazione per difendere e sviluppare le regole liberiste del mercato, che non per promuovere attraverso il governo della cosa pubblica condizioni di sviluppo migliori per le famiglie e le imprese, in quadro di equità sociale.
Dentro questa logica ci stanno le privatizzazione per fare cassa.
Stiamo assistendo in questi anni alla svendita più scandalosa di aziende e di beni costruiti faticosamente dagli enti locali da più di un secolo della loro storia.
Privatizzazioni un po’ ideologiche e un po’ affaristiche che non si giustificano per altro in ragione di una effettiva emergenza finanziaria degli enti locali. O meglio nulla impedirebbe agli enti locali di ricorrere ai metodi più consolidati di indebitamento e di prestito anziché procedere con queste privatizzazioni.
Tra le tante aziende pubbliche andate pressoché perdute, eclatante è il caso dell’AEM alla cui svendita di un’azienda ricca e fortemente attiva, non ha corrisposto per la verità una forte opposizione. E’ stata svenduta per fare cassa quando si poteva utilizzare gli utili come ratei per nuovi investimenti.
Solo lo SDI e Rifondazione Comunista nel 1998 si sono fatti promotori di un referendum contro la vendita di AEM per evitare che quel patrimonio finisse, come è finito, persino nell’asfaltatura delle strade di Milano e adesso bisognerebbe evitare che la seconda tranche, anch’essa ingiustificata, finisca genericamente nel bilancio senza alcuna significativa finalizzazione.
Ma hanno fatto ben di più.
Sono stati privatizzati i servizi fondamentali, la sanità e l’assistenza in primo luogo, sostituendo ciò che per noi rappresenta un diritto fondamentale per il cittadino con un bene sempre più vicino alla logica del mercato.
La loro idea è quella della sanità come merce, nella prospettiva di un futuro in cui chi ha più soldi o un’assicurazione privata in tasca se la compra e chi non ne ha rimane senza.
Contemporaneamente, la privatizzazione della sanità e l’allargamento dell’offerta, non per aumentare i servizi, ma per aumentare il business delle strutture accreditate, ha prodotto uno dei più grandi buchi finanziari nella storia della nostra regione.
Nel ’95, con i socialisti al governo e prima della vittoria del centrodestra, il disavanzo della sanità ammontava a 250 miliardi ed il debito pro capite era il più basso rispetto al resto del Paese.
Oggi ha raggiunto i 7000 miliardi di debito di vecchie lire e forse non è finita qui.
Un debito trentuplicato, al quale non ha naturalmente corrisposto un pari miglioramento della qualità del servizio.
Anzi, i disagi sono maggiori, le code non sono diminuite, l’affidabilità dell’intero sistema non è aumentato ed in aggiunta alla fiscalità generale i cittadini lombardi pagano un’addizionale IRPEF e i tickets.
Ma il danno non si ferma qui, le future generazioni fino al 2030 pagheranno mutui e prestiti per sostenere il prezzo di questa politica.
Alla privatizzazione delle aziende pubbliche, della sanità, dell’assistenza, alla tendenziale privatizzazione della scuola, si aggiunge la svendita di altri patrimoni.
La svendita del patrimonio immobiliare (primo fra tutti quello di Milano), di società proprietarie di infrastrutture di trasporto, autostradali, di società erogatrici di servizi, avviene favorendo grandi gruppi finanziari (quasi sempre gli stessi), senza un vero processo di liberalizzazione.
Ciò avviene con metodi discutibili attraverso certificazioni, agenzie di rating, accreditamenti effettuati da un sistema sempre più complesso e meno trasparente di società di advisor, spesso compromesse e in conflitto di interesse con il sistema bancario.
Esse consigliano agli enti locali le emissioni di bond, di boc e altri prodotti finanziari di cui pochi hanno la capacità di controllarne la bontà e la convenienza.
Ma dietro ci sono più interessi finanziari, danni all’erario, che non gli interessi dei cittadini.
Sistemi di indebitamento così ben studiati e sofisticati che il pagamento del debiti potrebbe ricadere persino sulle amministrazioni a venire senza aggravio per chi le e le decide.
Non ci sarebbe da meravigliarsi se anche in Lombardia e dentro le nostre istituzioni scoppiassero presto nuovi casi Parmalat, a dimostrazione che il sistema della finanza locale è andato complessivamente fuori controllo con un tasso di indebitamento che mai si è verificato nel corso della sua storia.
Questo ricorso al mercato finanziario da parte degli enti locali si è sviluppato di pari passo con il processo di esternalizzazione anche verso soggetti non del tutto accreditabili, senza sicure verifiche di efficienza e di convenienza.
Ciò è oggi possibile, anche in virtù di una dirigenza pubblica arruolata con la regola del spoils system, obbediente, meno indipendente, e meno efficiente rispetto all’alta e vecchia burocrazia.
Con una burocrazia debole, non per colpa sua, spesso sostituita e aggirata da un sistema di consulenze e società esterne fortemente interessate a portare in porto l’intrapresa, si è infilato nella pubblica amministrazione un modello gestionale di tipo privatistico che richiederebbe una formazione e una cultura che oggi sostanzialmente mancano.
Quindi, chi è più forte, il sistema finanziario, decide su quello più debole e cioè il sistema politico.
Dopodiché è un gioco da ragazzi, si fanno leggi e leggine di scopo, si inventano procedure complesse a sostegno e a copertura di modelli di governo di corto respiro.
Projet financing usati male, per realizzare iniziative territoriali, infrastrutturali e ambientali discutibili per realizzare ospedali, senza chiarezza dei tempi, delle risorse dei vantaggi e dei danni sulla collettività.
Una Fiera che nasce senza infrastrutture, un centro direzionale, quello di Garibaldi-Repubblica, che regala la rendita posizionale del luogo più accessibile della Lombardia ad un sedicente museo della moda, una Bicocca che è tutto un programma, un’autostrada sbagliata in più e via di questo passo.
Accordi di programma incompleti e persino illegittimi, senza copertura finanziaria solo per avviare, senza possibilità di ritorno, iniziative che non vedrebbero mai la luce se fossero sottoposte preventivamente ad un esame serio e democratico.
Insieme a questi grandi interessi ci sono anche quelli piccoli, quelli che consentono di distribuire a pioggia attraverso esternalizzazioni ai privati, fette consistenti di risorse, quelle destinate all’assistenza, come quelle destinate alla formazione professionale che sono andate a favorire molti soggetti appena accreditati, società e scuole nate da poco e miracolosamente finanziate, in sostituzione di quelle storiche buttate fuori dal sistema; migliaia e migliaia di corsi, 60.000 negli ultimi tre anni, che si spartiscono 60 milioni di euro all’anno.
In questo sistema contorto c’è stata anche la trasformazione di moltissime municipalizzate in SPA, non per assolvere meglio i loro scopi originari, ma per consentire loro di fare dell’altro.
Basta in proposito l’esempio più eclatante. Noi socialisti siamo stati pressoché soli ma continueremo a denunciare il pericolo della trasformazione di ATM in una società immobiliare che anziché migliorare i servizi pubblici gioca in borsa e perde investendo nei bond CIRIO.
Questo quadro può apparire impietoso, ma abbiamo la certezza che quando torneremo a governare in Lombardia e nelle maggiori istituzioni della nostra regione, la difficoltà che dovremo affrontare per prima, sarà fare i conti con enti nel frattempo svuotati di risorse umane, di energie, di strutture operative e contemporaneamente indebitati fino al collo.
3. I danni del sistema maggioritario
Ciò è potuto avvenire perché l’arroganza politica e la cultura degli interessi parcellizzati del centrodestra hanno coinciso con modifiche del sistema elettorale e modifiche delle forme di governo che hanno oggettivamente favorito una gestione proprietaria e antidemocratica delle istituzioni.
L’elezione diretta dei Presidenti delle Giunte e dei Sindaci, venduta come una grande conquista, combinata con il premio di maggioranza riconosciuto alla coalizione vincente, in nome di una perversa stabilità, sta stravolgendo le regole di una normale democrazia.
Se un sindaco è per formazione un “dittatorello” che fa, come quello di Milano, il padroncino delle sue aziende pubbliche, dedica tutta la sua giornata a vendere e comprare, a nominare presidenti e a spostare manager, a concentrare nelle mani di amici fidati i nostri beni, nessuno oggi può fermarlo con le sole regole della democrazia istituzionale.
In ragione dell’elezione diretta, sindaci e presidenti, con assessori da loro stessi nominati e licenziabili, con maggioranze che se non ubbidiscono vanno a casa insieme a loro, amministrano senza sostanziali controlli e senza render conto a nessuno. In un recente convegno organizzato dal gruppo regionale dello SDI molti costituzionalisti hanno denunciato questa anomalia per i pericoli di una dittatura delle maggioranze, ormai sostanzialmente in atto.
4. Il nodo del riformismo socialista
Di fronte a questa situazione a livello regionale, come a livello nazionale, diventa essenziale creare le condizioni per battere il centrodestra.
Gli elettori in questi ultimi tempi, sembrano aver già fatto dei passi avanti positivi.
E’ aumentata la loro la sfiducia verso la politica della destra, hanno capito i pericoli di questa politica e, sia a livello nazionale come qui in Lombardia, stanno pentendosi di avere votato per loro.
Bisogna cogliere questo momento favorevole costruendo tutti insieme le condizioni perché il centrosinistra possa essere sempre più credibile superando il più possibile vecchie divisioni interne e dimostrando di essere capace di riorganizzarsi sempre più intorno ad un’area riformista forte, con un programma convincente.
Le prossime settimane, finito il congresso, di Fiuggi, saremo impegnati in una importante scadenza elettorale, quella delle europee e delle amministrative.
Alle europee ci presenteremo con il simbolo “Uniti nell’Ulivo” insieme a DS, Margherita e Repubblicani per l’Europa.
E’ un dato che non può essere sottovalutato, esso rappresenta una grande novità, perché dopo anni di divisioni, quattro partiti dimostrano che almeno sul piano elettorale, in un’occasione significativa come questa, e venendo incontro ad una richiesta di unità molto sentita, sono riusciti a trovare un’intesa importante.
Hanno fatto lo sforzo di incontrarsi e di costruire un nuovo itinerario.
Noi socialisti siamo naturalmente impegnati affinché la lista unitaria abbia un grande successo.
Essa può intercettare il bisogno di unità su un tema straordinario come quello dell’Europa, avendo come punto di riferimento, forse per la prima volta un programma europeo per il quale è stato incaricato il compagno Giuliano Amato.
L’opinione pubblica sente in questo particolar momento che di Europa c’è sempre più bisogno, per affrontare la crisi economica che investe il continente, per gestire positivamente il suo allargamento, ma soprattutto per contare di più sulle grandi questioni internazionali. Si sente il bisogno di un’Europa più forte per ridurre i conflitti, per garantire la pace e per affrontare in modo unitario il grave pericolo del terrorismo. E su questi temi quattro partiti si ritrovano non per contare i propri voti ma per andare in Europa a sostenere una politica comune.
Diversa è la questione su ciò che succederà dopo.
Nessuno può sapere oggi con precisione se la “lista unitaria” sarà il primo passo per la costruzione di un nuovo soggetto politico e se, come sostiene in particolare lo SDI, possa rappresentare il primo passo per la costruzione di un partito riformista come elemento fondamentale della ristrutturazione del centrosinistra e della sinistra.
Non bisogna dimenticare infatti che “la lista unitaria” è nata sulla base di un altro obiettivo, quello proposto da Romano Prodi, di riunire in occasione delle elezioni europee in un’unica lista tutti i partiti dell’Ulivo. E non è un mistero che l’accentuazione della sua caratteristica riformista non appartiene a tutti i partiti che la compongono.
Non bisogna sottovalutare che altri partiti come la Margherita hanno recentemente nel loro congresso escluso l’ipotesi di un nuovo partito unico.
Ma il problema politicamente più delicato è un altro.
Mentre la parola riformista è per noi congeniale e serve ad indicare un’area ben distinta rispetto alla sinistra massimalista (separa una parte dall’altra), il riferimento all’Ulivo si muove in una prospettiva del tutto diversa: quella dell’unità e della ricostruzione dell’unità di tutti i partiti che lo compongono, quelli che sono riformisti e quelli che non lo sono. Il riferimento all’Ulivo punta all’unità di tutti mettendo insieme la sinistra che marcia contro il terrorismo al giovedì e quella pacifista senza se e senza ma, che marcia contro l’America al sabato.
Quella che non è scesa in piazza come noi, quella che è scesa in piazza insieme a Fassino e quella che invece lo ha aggredito.
Ciò che conta è che la forte iniziativa dello SDI a favore della nascita di un partito riformista, in una prospettiva che non può escludere la specificità socialista, ha aperto dentro e fuori il partito un dibattito che non può che essere salutare.
Anzi, io penso che potrebbero verificarsi presto delle condizioni esterne che favoriscono l’accelerazione di un processo a favore di un partito riformista come momento della riorganizzazione della sinistra più di quanto non sia stato voluto e al di là delle intenzioni e dei proponimenti.
E penso anche che possano verificarsi presto le condizioni perché il termine riformista possa crescere di pari passo con quello socialista.
Per questa ragione ho presentato, in previsione del congresso nazionale che si terrà a Fiuggi la prossima settimana, in modo del tutto disinteressato, insieme ai compagni Alberto Benzoni e Antonio Landolfi, un documento di riflessione politica.
Non è un documento da votare, non è in contrapposizione al documento nazionale, ma rappresenta solo un contributo per rendere ancora più forte e chiara l’iniziativa dello SDI.
Una cosa è certa, come è ben chiarito dal documento politico nazionale, lo SDI non sta preparando per effetto della lista unitaria il suo autoscioglimento, ma è impegnato a dare un contributo importante e specifico al processo politico che è stato avviato. Non c’è, infatti, contraddizione tra la ricerca di una chiarificazione a sinistra, tra l’area riformista e quella massimalista, e contemporaneamente adoperarsi per salvare l’alleanza elettorale fra tutte le forze che si contrappongono alla destra.
Non c’è contraddizione tra la costituzione di una nuova forza riformista e il rafforzamento al suo interno dell’identità socialista.
Non c’è contraddizione tra l’idea di un partito riformista, anche espressione del socialismo democratico europeo e la ricerca dell’unità dei socialisti che in esso dovrebbero riconoscersi.
Il partito riformista, se nascerà, dovrà nascere intorno ad un progetto forte, a vocazione maggioritaria, nel quale le diverse componenti culturali e politiche, i partiti e i cittadini dovranno identificarsi e ritrovarsi. Ma, da parte nostra, il partito riformista non potrà che essere il contenitore dei contenuti del riformismo socialista e, come ha ben detto Amato, con il socialismo il partito riformista dovrà fare i conti. E tanto più dovrà farlo se si mette al pari con l’Europa.
Non dimentichiamoci che il riformismo è, per la verità, parola vaga che in Europa appartiene peraltro più alla destra che alla sinistra, mentre il riformismo socialista o dei socialisti è qualcosa di molto più concreto. Appartiene alla sinistra e rappresenta lo spazio politico di un partito di tipo europeo.
Il centrosinistra ha bisogno di un partito riformista che non si appiattisca al centro ed ha bisogno di un partito che si riconosca nella sinistra democratica europea.
D’altra parte, tutti sanno, anche se non lo si vuole ammettere, che una sinistra che non trova nel riformismo socialista il suo punto di riferimento, è destinata ad essere debole o a perdere.
Proprio mentre si fa più forte il nostro sentirci europei, bisogna ammettere che non è un generico riformismo, ma quello socialista, che colloca la prospettiva del partito riformista nell’orizzonte della politica europea.
Diversamente sarebbe un altro tassello della famosa anomalia italiana.
Per questo è diverso proporre un partito riformista che si fonda sull’Ulivo, e un partito riformista che si riconosce, anche se non in modo esclusivo, nell’esperienza della socialdemocrazia europea.
In Europa non c’è l’Ulivo, ci sono i partiti, ci sono i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti, con le loro politiche, con i loro alti e bassi, ma nessuno si sogna anche nei momenti di difficoltà di considerare il socialismo o la socialdemocrazia come qualcosa da superare.
In Europa c’è il partito del socialismo europeo, che ci auguriamo possa presto essere presieduto dal compagno Giuliano Amato, e c’è il gruppo del socialismo europeo al quale, come naturale, aderiranno gli euro parlamentari dello SDI e certamente non solo loro.
In tutta Europa, alla destra si contrappone una sinistra riformista, socialista e socialdemocratica e noi vorremmo poter lavorare perché ciò possa accadere anche in Italia.
Quando negli altri Paesi, nelle altre Regioni e Comuni d’Europa, come avvenuto nelle scorse settimane in Spagna e in Francia, i cittadini si stancano del centrodestra perché lo considerano insufficiente, perché condannano la sua politica, perché non accettano le sue falsità e le sue bugie, lì nessuno si spaventa e si vota socialista contro i conservatori.
Vorremmo che un giorno ciò possa accadere anche da noi.
Certo in Italia il percorso è tutto da costruire, oggi dobbiamo rafforzare la coalizione di centrosinistra, oggi sosteniamo la lista unitaria alle europee, ma sarebbe limitativo per un socialista, se non si impegnasse a costruire una prospettiva in cui il futuro partito sia socialista e la sua politica sia il riformismo socialista.
Perché l’identità socialista non è un problema ideologico ma è un problema politico del presente e del futuro.
5. Il riformismo socialista nel futuro della Lombardia
Anche per la Lombardia varrà in futuro la stessa regola.
Vogliamo una regione europea e mondiale? Incominciamo, più di quanto non sia accaduto in questi anni, ad accettare la logica della politica europea, quella che contrappone ai partiti conservatori i partiti socialisti democratici e che costruisce intorno al riformismo alleanze con liberali e tradizioni popolari e cattoliche.
Senza questo livello di laboratorio politico, senza un grande disegno che consenta al centrosinistra lombardo di dar vita proprio dalla Lombardia ad una nuova prospettiva, si può alle prossime elezioni battere il centrodestra, ma sarà difficile esprimere una politica di cambiamento veramente efficace.
Dire ai lombardi che devono stare dalla parte del riformismo e con esso identificarsi, non è impossibile e significa far riscoprire i valori di una cultura politica che non sta nel ricordo del passato ma nella prospettiva del futuro.
Significa dire ai cittadini lombardi, magari facendo leva in modo particolare sulle giovani generazioni, che stare con il riformismo socialista è stare dalla parte delle grandi tradizioni culturali che si sono consolidate a livello internazionale sui valori di giustizia e libertà, dalla parte dei più deboli.
Si tratta di far capire ai lombardi che stanno nel centrosinistra, che se abitassero in Inghilterra, in Francia, in Germania, in Spagna e nelle regioni di quei paesi starebbero dalla parte del socialismo e del riformismo.
Anche in Lombardia e soprattutto in Lombardia per la sua storia, il riformismo socialista appartiene alla sinistra, implica un progetto di cambiamento, implica un metodo progressivo, democratico e partecipato del governo della cosa pubblica, contiene il principio fondamentale della politica e dell’amministrazione pubblica come bene comune.
Dobbiamo anche da noi mettere un freno alla cultura dell’antipolitica che ha consentito al denaro e non agli ideali e alle proposte, di diventare il discriminante del successo politico.
6. I socialisti si candidano a governare la Lombardia
E’ con questo spirito che ci candidiamo a governare la Lombardia nel 2005, insieme alle altre forze politiche del centrosinistra nella consapevolezza che già passi importanti, in pochi anni, sono stati fatti.
Nel centrosinistra c’è una coscienza sempre più forte del bisogno di unità che tutti dovrebbero sentirsi impegnati a realizzare.
Ciò non toglie nulla alle diverse identità e non elimina il diritto di ciascuno di arricchire, con spirito costruttivo e con proprie proposte, l’iniziativa politica di tutti.
Non elimina il diritto di marcare le differenze quando occorre, così come anche noi socialisti non dobbiamo rinunciare a marcare le differenze, se occorre, non solo nei confronti di una sinistra che talvolta è talmente radicale da essere distruttiva e autolesionista, ma anche nei confronti delle forze che con noi condividono l’esperienza della lista unitaria.
Ma con senso di responsabilità e con spirito costruttivo perché anche in Lombardia per vincere il centrosinistra deve darsi una politica costruttiva.
Deve intercettare i bisogni, deve saper rendere semplici e chiare le proprie proposte.
Si tratta di riannodare nella società milanese e lombarda nuovi legami con la cultura laica, liberale, radicale, con il movimento repubblicano e con tutte quelle aree democratiche e deluse che fino ad oggi non sono riuscite a costruire con il centrosinistra un rapporto politico positivo.
Su questo punto noi socialisti possiamo fare molto di più. Questa area laica e libertaria è quella che più si è tenuta fuori dal conflitto politico imposto dal modello bipolare negli ultimi dieci anni. E’ l’area che ha rifiutato la logica dello scontro e della pura contrapposizione ed è infastidita da una politica sempre più squalificata e dalla politica del muro contro muro. Essa è andata negli anni scorsi ad ingrossare il partito dell’astensione e con ciò ha favorito la destra, oggi possiamo e dobbiamo recuperarla.
7. Il carattere del programma.
Sul programma.
Due anni fa in occasione del congresso regionale avevamo tutti insieme dedicato buona parte delle nostre elaborazioni al tema del partito ed alla necessità di contribuire dalla Lombardia alla costituzione di un nuova forza riformista, socialista e socialdemocratica nel nostro Paese.
Tutti insieme indicammo tre questioni che erano e che sono tuttora alla base di un grande progetto riformista.
La questione internazionale alla luce delle grandi tensioni in molte aree di crisi, di fronte ad un terrorismo dai risvolti ancora molto oscuro, indicando quanto fosse necessario per i socialisti riconoscersi in una politica internazionale più forte per garantire nel mondo più pace, più sviluppo e democrazia.
La seconda questione era ed è quella sociale, per il venire meno di quel sistema di sicurezze sul fronte del lavoro, della previdenza, dei servizi e dei diritti fondamentali, minati dalla politica liberista dei governi di centrodestra.
Come terza indicammo la questione democratica e morale, sintetizzata dall'analisi degli effetti prodotti da una politica che, movendosi contro i partiti, ci ha regalato contemporaneamente Berluconi e il giustizialismo.
Ma oggi vogliamo restare alla Lombardia dando risposte concrete ai problemi della nostra regione, dove la situazione, come abbiamo già sottolineato, è per certi versi più grave e dove è più urgente concentrare gli sforzi per una vittoria del centrosinistra.
Per questo vogliamo con questo congresso sottoporre all’attenzione delle altre forze politiche e sociali alcuni temi che potrebbero essere la base di un programma da discutere insieme per consolidare l’alleanza tra tutte le forze del centrosinistra.
L’esigenza di un programma e di messaggi chiari è un’esigenza da non sottovalutare, perchè l’opinione pubblica non ha ancora capito del tutto quale sono le nostre proposte e qual’è il contenuto della nostra opposizione.
Un’opposizione che è apparsa talvolta pregiudizialmente contro e talvolta troppo acquiescente.
Anche noi, abbiamo dovuto far presente più di una volta come non fosse opportuno dire sempre e solo no, ma anche quanto non fosse opportuno troppo moderatismo che nella sinistra è presente come eredità di un vecchio metodo consociativo.
Un moderatismo qualche volta fuori dalle regole istituzionali, senza risultati significativi sul terreno politico ed elettorale.
Abbiamo sottolineato la necessità di una opposizione di governo che deve essere costruttiva, esplicita e contemporaneamente forte e radicale dove occorre per chiarire a tutti ciò che faremmo se fossimo in maggioranza dall’altra parte.
Questo significa essere riformisti.
8. I contenuti del riformismo socialista in Lombardia.
Sul versante delle cose che vogliamo realizzare e sul come vogliamo realizzarle, proponiamo quattro grandi progetti per migliorare la qualità della vita di tutti i cittadini lombardi.
a) la Lombardia può ritornare ad essere non solo la più importante regione del Paese, ma anche una delle regioni più importanti dell’occidente europeo.
La Lombardia è sempre stata una grande città policentrica e mondiale e può ritornare ad esserlo se il suo policentrismo si qualificherà nuovamente come realtà produttiva.
Occorre una politica industriale ed economica fondata sull’innovazione e sulla ricerca, occorre per questo una politica attiva del governo regionale che sappia assumersi le sue responsabilità coniugando nuovi modelli di sviluppo con il tema della competitività del sistema e delle imprese, per creare nuove opportunità localizzative e lavorative.
Una regione che avvia politiche di sostegno anche attraverso forme diverse di agevolazioni alle imprese, che sa dare ruolo agli enti bilaterali e di concertazione, che sa rilanciare in modo finalizzato la formazione e sa rimettere in circolo i know how professionali che rischiano di andare perduti.
Con l’ideologia del liberismo o peggio ancora con gli intenti protezionistici o autarchici della Lega non si va da nessuna parte e non si esce dalla crisi.
Una cosa è chiara, la nostra concezione socialista dello Stato non è lo statalismo, ma implica l’intervento delle istituzioni nell’economia e noi a questo ruolo non vogliamo rinunciare.
b) Il secondo tema riguarda l’welfare regionale, con l’obiettivo di ridurre le aree del disagio che attraversano ceti diversi su versanti tra loro molto differenti.
La sinistra non può non considerare il fatto che continuare a finanziare attraverso il prelievo fiscale una spesa sociale crescente in un contesto di limiti nazionali e sopranazionali, non è un problema semplice.
Però, senza alcuna demagogia, guardando ai diversi modelli di comportamento nel resto d’Europa, possiamo dire con assoluta certezza che i servizi primari, che noi vogliamo garantire a tutti, non solo possono crescere e migliorare, ma possono trovare un corretto riscontro con una politica di bilancio che non ha bisogno di fare ulteriori debiti.
Si possono trovare i modi concreti per affrontare e diminuire le sacche di disagio crescente della nostra società, avendo un’attenzione particolare al problema degli anziani, per garantire a tutti il diritto alla salute, prima ancora che pensare alla sanità, per garantire un’assistenza dignitosa ed una scuola che innalzi sempre di più il livello di istruzione delle giovani generazioni.
Non si tratta di riproporre un modello statalistico ma di trovare forme per finanziare con responsabilità ed in modo appropriato, sanità, assistenza e scuola, senza proseguire nelle politiche di privatizzazione e di elargizione di inutili buoni e waucher alle singole famiglie, così come è accaduto in questi anni con il governo di centrodestra.
Contributi insufficienti per chi ha veramente bisogno e vergognosi regali per chi non ne ha.
c) La terza questione riguarda l’area dei diritti e delle libertà.
La Lombardia, patria della difesa dei diritti, non può stare al passo con l’arretratezza del Paese e può prima degli altri mettersi invece al passo con l’Europa.
Rispetto all’impegno che ci siamo presi due anni fa, noi socialisti in Lombardia siamo stati i promotori di tre progetti di legge fortemente innovativi che hanno ottenuto molti consensi, per la regolarizzazione degli stranieri che lavorano in nero nel nostro Paese, per il riconoscimento delle coppie di fatto e per regolare diversamente la prostituzione.
Ma non ci si può fermare qui, bisogna riaprire nella regione un grande movimento per allargare l’area delle libertà contro ogni forma di discriminazione di etnia, di sesso, di religione e cultura.
Tutelare il diritto di cittadinanza per tutti coloro che, in regola con le leggi, vivono e lavorano nella nostra regione, è una questione prioritaria.
Si tratta di riconoscere i diritti di cittadinanza a tutti coloro che, per il fatto di provenire da altri Paesi non possono essere considerati diversi, o peggio ancora minoranze da tollerare.
Insieme a tante forme di ingiustizia, quella della limitazione delle libertà individuali, che non consente la crescita dei diritti civili, è ancora la più pericolosa.
d) La quarta riguarda la democrazia rappresentativa e lo sfascio del sistema istituzionale.
La regione sta perdendo l’opportunità, offerta dalla Costituzione, di darsi un nuovo Statuto per definire autonomamente forma di governo e sistema elettorale.
Ciò avviene non perché le cose vanno bene così, ma perché al centrodestra conviene continuare ad amministrare con una legislazione che, dopo l’elezione diretta del Presidente, non solo ha ridotto i poteri del Consiglio, ma consente alla maggioranza di governare senza controlli.
Un governo democratico delle istituzioni presuppone secondo noi alcune cose molto semplici:
- abolire l'elezione diretta dei presidenti delle regioni, di quelli delle province e dei sindaci.
- dare alle regioni una forma di governo di tipo parlamentare (sul modello di quello tedesco), abolire il premio di maggioranza alle coalizioni vincenti che hanno introdotto nelle nostre istituzioni quella che ormai si chiama "dittatura delle maggioranze".
- rafforzare il voto proporzionale.
- separare nettamente i poteri legislativi e di controllo da quelli esecutivi.
I pericoli, che si stanno correndo a Roma con le recenti proposte di modifica costituzionale votate dai giorni scorsi dal Senato, sono pericoli che nei comuni e nelle regioni conosciamo già e purtroppo a causa di leggi non volute dalla destra ma volute dal centrosinistra.
Sul terreno istituzionale la regione è assente su molti altri fronti.
Noi crediamo che sia arrivato il momento di sostenere la nascita della città metropolitana, che non può corrispondere però all’intero territorio provinciale ma solo a quello di Milano e il suo più immediato intorno.
Ciò presuppone due importanti conseguenze, il comune di Milano potrà essere diviso in più comuni, sul modello degli arrondissements parigini e si potrà accelerare la costituzione della provincia di Monza e dell’alto milanese.
9. Le elezioni amministrative.
Cari compagni, nelle prossime settimane, terminata la nostra stagione congressuale dovremo affrontare in Lombardia, insieme alle europee, la scadenza delle elezioni amministrative. Esse coinvolgono nella nostra regione, sette province e più di mille comuni.
Per quanto ci riguarda nei comuni al di sopra che 15.000 abitanti ci presenteremo con il simbolo dello SDI e in qualche caso presenteremo liste unitarie o liste civiche laiche e riformiste.
In ogni comune e in ogni provincia abbiamo l’obiettivo di aumentare le nostre presenze e in particolare nelle province, a partire da quella di Milano, nella quale a causa della nostra debolezza, cinque anni fa non riuscimmo a conseguire un risultato positivo, cercheremo con ogni sforzo, con sempre maggiore unità e chiedendo a tutti di impegnarsi in prima persona, di rendere possibile l’elezione dei nostri rappresentanti.
Nei mesi scorsi l’esecutivo regionale del partito, tenendo conto della coincidenza elettorale tra europee ed amministrative, ha avanzato agli altri partiti, uniti con noi alle europee, di presentare lo stesso simbolo e le stesse liste unitarie anche alle elezioni amministrative.
Purtroppo questo obiettivo non è stato raggiunto, forse perché fra i partiti maggiori della lista unitaria non è venuto meno il bisogno di contarsi, almeno alle amministrative, per sapere chi è più forte.
Oggi rinnoviamo questa proposta e proponiamo che sia valutata almeno per quelle realtà dove le intese non state ancora chiuse.
Questo renderebbe più forte la lista unitaria alle europee e faciliterebbe la campagna elettorale in sede locale.
Faciliterebbe la comprensione dei simboli e aiuterebbe a ridurre le tensioni che ci sono ancora in alcune realtà per la scelta dei candidati presidenti e dei candidati sindaci. Su questo tema dobbiamo con amarezza constatare come lo SDI non riesca quasi mai ad ottenere il diritto di rappresentare l’intera coalizione, almeno in misura proporzionale alla sua forza, nonostante le capacità e le qualità dei nostri esponenti.
Per questo anche in questa sede, rivendichiamo, con spirito costruttivo, il diritto di poter contare di più.
10. Il partito.
Ho cercato con questa relazione di indicare una prospettiva per il partito, proiettata nello spazio temporale dei prossimi due anni, quello che contiene la scadenza delle regionali del 2005 e le prossime elezioni amministrative e politiche del 2006, se non saranno anticipate.
Ho cercato di evitare la logica celebrativa e preelettorale, puntando sull’aspetto politico e programmatico.
Il comitato direttivo che domani verrà eletto, appena terminata la fase elettorale, dovrà affrontare insieme alle federazioni tutto ciò che occorre sul piano organizzativo per affrontare le prossime scadenze, per organizzarsi sempre meglio, per estendere l’area della nostra influenza e per aumentare l’area dei nostri consensi.
Per ottenere, attraverso un proselitismo che non viene purtroppo praticato con la stessa intensità ovunque, sempre maggiori nuove adesioni.
Negli ultimi tempi si sono avvicinati al partito alcuni giovani ai quali dobbiamo consentire di partecipare a tutti gli effetti alla vita dello SDI, mettendo alla prova il loro impegno ma anche la loro creatività. A loro dobbiamo dare spazio e dare fiducia.
Su di loro dovremo presto contare. Insieme ai compagni più anziani, essi rappresentano il nostro patrimonio più importante e la ragione del nostro lavoro.
Dobbiamo impegnarli subito nell’attività politica e nelle sfide elettorali, dobbiamo candidarli nelle nostre liste perché possano fare da subito esperienza.
Un punto di debolezza lo abbiamo ancora nei confronti della partecipazione femminile, nonostante siamo il partito che più di altri si sta impegnando per facilitare l’accesso delle donne alle cariche elettive.
Già dalle prossime elezioni, dovremo essere capaci di candidare di più le nostre iscritte e le nostre simpatizzanti e, se saremo lungimiranti, cercheremo anche di aiutare la loro elezione.
11. Conclusione
Per concludere. Sento sempre più frequentemente dire che un grande partito socialista o rinasce a Milano e in Lombardia o non rinasce più.
Questa è la nostra questione irrisolta ed è parte della questione socialista.
Proprio qui, dove insieme al vecchio sistema politico è andata dispersa la forza del partito socialista, qui, a Milano e in Lombardia, la sinistra democratica e socialista deve porsi il problema di ritornare a vincere e a riaffermarsi.
Senza questo passaggio sarà impossibile modificare sostanzialmente gli equilibri politici nazionali.
Dopo dieci anni di lavoro, il nostro lavoro non è finito e i nostri valori non sono venuti meno.