26.06.03 - FASSINO ALLA DIREZIONE DS

26 giugno 2003

Dalla Direzione nazionale dei DS
riceviamo e volentieri pubblichiamo

ADESSO E' TEMPO DELL'ALTERNATIVA DI GOVERNO

La riflessione della nostra Direzione non può che partire, dall’andamento delle elezioni amministrative e regionali del 25-26 maggio e dell’8-9 giugno.
I risultati delle elezioni sono noti, e in ogni caso ai compagni è stata fornita una documentazione, a cui rinvio.

Il voto segna una svolta: un mutamento di orientamenti nell’elettorato e una nuova geografia politica. Un voto che ha provocato una crisi politica nella maggioranza di cui abbiamo avuto ieri una clamorosa manifestazione nel dibattito in Parlamento sull’immigrazione.

Naturalmente si trattava di un voto amministrativo. Non sfugge, tuttavia, a nessuno che il voto è caratterizzato da altissima omogeneità di tendenze: ovunque il centrosinistra si espande; ovunque il centrodestra conosce una riduzione dei suoi consensi. Dinamica che si manifesta in modo assolutamente analogo dal Friuli alla Provincia di Roma, dalla Valle D’Aosta alla Sicilia, da Brescia a Pescara. E’ una tendenza evidente al Nord, al Centro e al Sud; nei grandi centri come nei piccoli; laddove il centrosinistra ha vinto e anche laddove ha prevalso ancora il centrodestra. Non solo, ma va sottolineato che la comparazione con le precedenti amministrative del ’98 ha poco più che un valore statistico. Se si considera che dopo quel voto, il centrosinistra ha conosciuto tre sconfitte successive – nel ’99, nel 2000 e nel 2001 – non era affatto scontato l’esito. Il voto, dunque, si è caricato anche di una dimensione politica, perché quando un risultato assume un carattere così omogeneo, vuol dire che c’è un’opinione generale, un senso comune largamente diffuso nel Paese.

Peraltro un primo segnale di tali tendenze era già emerso l’anno scorso, anche se allora concentrato soprattutto al Nord.
La novità di quest’anno, è che quell’onda segna adesso un’estensione nazionale.

In primo luogo quest’onda si rafforza e si consolida ancora di più al Nord. Ce lo dice il voto straordinario del Friuli Venezia Giulia su cui tornerò; e il successo del centrosinistra in Valle D’Aosta, sia pure in un sistema elettorale ancora di tipo proporzionale; ce lo dice il voto di Brescia, dove sia al primo che al secondo turno c’è un’espansione forte del centrosinistra e del suo candidato; ce lo dice l’andamento elettorale nei comuni medi del Piemonte, della Liguria, della Lombardia. Ce lo dicono anche città come Vicenza e Treviso dove la destra è ancora riuscita a prevalere, ma con margini assolutamente più esigui rispetto a quelli che aveva conosciuto nelle scorse elezioni o anche solo alle politiche di due anni fa.

Si può dire che nel Nord, davvero, c’è un rovesciamento dei rapporti di forza, fotografato in modo inequivocabile guardando ai capoluoghi di provincia, dove ad oggi il centrosinistra governa 6 capoluoghi su 7 in Piemonte, nell’unico capoluogo in Val d’Aosta, 3 su 4 in Liguria, 5 su 10 in Lombardia, 2 su 2 in Trentino, 3 su 4 in Friuli, 4 su 7 in Veneto, 7 su 9 in Emilia. Cioè in 31 città capoluogo su 44.
Se guardiamo alle amministrazioni provinciali delle stesse regioni il centrosinistra ne governa 26 su 43. E, infine, il centrosinistra governa quattro regioni – Valle d’Aosta, Trentino, Friuli, Emilia – e sulla base dei dati delle elezioni 2002 e 2003 già oggi in Piemonte e Liguria ci sarebbe una maggioranza di centrosinistra.

Il centrodestra non ha più nel Nord quell’insediamento così largo e diffuso che era stato uno degli elementi del suo successo negli anni scorsi. Lì – nella società più forte del Paese – si è prodotto un mutamento radicale di orientamenti dei cittadini. Si è incrinato il rapporto tra centrodestra e ceti produttivi, e il voto del Friuli ne è una chiarissima manifestazione. Si è incrinato, più in generale, il rapporto del centrodestra con quella parte della società più sensibile alla modernizzazione. Ed è uno spostamento che investe tutte le articolazioni sociali, qualcosa di profondo e non episodico.

In tale quadro il voto del Friuli Venezia Giulia è particolarmente importante. Credo non vada mai dimenticato che il Friuli è stata terra di sperimentazione e laboratorio di molte delle forme politiche con cui la destra è cresciuta e ha vinto in Italia: il fenomeno leghista ha la sua culla di nascita in Friuli Venezia Giulia, fin dai tempi della lista per Trieste, forma antesignana della Lega; il Friuli è stato il primo luogo dovela Lega è diventata forza di governo; ed è in Friuli che si sperimentò per la prima volta quell’intesa Lega-Polo che, successivamente, ha dato vita alla Casa delle Libertà.
Aggiungete che, i drammi del dopoguerra, hanno favorito, nella Venezia Giulia in particolare, un insediamento di Alleanza Nazionale particolarmente insidioso.

Il mutamento che si è prodotto in quella regione non è, dunque, di poco conto: un vero terremoto elettorale che ribalta orientamenti di lunghissimo periodo.
Il risultato è tanto più significativo perché il centrosinistra ha vinto con percentuali clamorose, a partire dal successo di Riccardo Illy, il 53%, con un distacco di oltre 10 punti sulla Guerra. Non solo, ma il centrosinistra prevale in 3 province su 4 e anche nella futura provincia dell’Alto Friuli; in tutti e 4 i capoluoghi; e in alleanza con il movimento autonomistico di Cecotti nelle elezioni comunali di Udine.

Un successo di cui hanno beneficiato tutte le forze politiche del centrosinistra, ma in particolare i Democratici di Sinistra che si assestano regionalmente al 16,67%, distribuito su tutta la regione; dal 14% di Trieste al 20% di Gorizia, passando per il 17% di Udine, il 16% di Pordenone e il 15% dell’Alto Friuli.
I DS sono così il secondo partito della regione e primo del centrosinistra. Siamo primo partito nella provincia di Gorizia - dove addirittura torniamo, in molti comuni, a percentuali che si situano tra il 35% e il 40% - e secondi in tutte le altre province.

Il risultato del Friuli non è stato costruito nell’ultimo mese di campagna elettorale. In realtà la vittoria di oggi viene da anni di lavoro intelligente e avveduto, attraverso una progressione di esperienze vincenti.
Si è cominciato dieci anni fa con l’operazione Illy Sindaco a Trieste; si è proseguito due anni fa a Pordenone, città non meno difficile di altre, dove abbiamo vinto con un Sindaco e un’alleanza in cui si erano incontrati forze politiche e società; un ulteriore successo l’abbiamo raccolto l’anno scorso a Gorizia, città altrettanto difficile; e, infine, quest’anno l’intesa con il leghismo autonomista di Cecotti a Udine e la vasta alleanza democratica intorno alla candidatura di Illy alla Regione.

Tra i registi di queste operazioni ci sono stati i Democratici di Sinistra, e credo che la nostra Direzione debba dare adeguato riconoscimento alla saggezza e alla lungimiranza del nostro gruppo dirigente del Friuli Venezia Giulia, che, con discrezione e determinazione, ha perseguito una strategia oggi premiata da questo bellissimo risultato.

Naturalmente questo successo è anche il risultato di una miscela particolarmente efficace: il candidato Illy molto affidabile, a cui si contrapponeva una candidata nettamente meno credibile. Così come ha contato lo schieramento fortemente unitario e coeso, a fronte di una destra che non ha cessato di dividersi, neanche dopo la già lacerante scelta della Guerra.

Ma il dato più significativo è che il centrosinistra ha vinto in Friuli perché la sua campagna elettorale è stata centrata, non solo e non principalmente, sulla denuncia della politica berlusconiana, ma su un progetto per il Friuli e il suo futuro.
Con l’allargamento dell’Unione Europea quella regione infatti, cambia di identità: non è più – come a lungo è stata - confine orientale dell’Italia e dell’Europa, ma diviene crocevia di incontro tra l’Unione Europea e la nuova Europa dell’allargamento. Il che cambia tutte le coordinate entro cui pensare quel territorio e le sue potenzialità.

Il centrosinistra, dunque, ha vinto perché aveva un progetto, un’idea, una visione del Friuli dentro la nuova Europa. E su questo ha costruito un vero “patto per lo sviluppo e per l’autonomia”. Naturalmente, anche nel voto degli elettori friulani ha pesato il giudizio negativo su Berlusconi, ma – insisto – la cifra che ha caratterizzato il profilo di Illy e del centrosinistra è stato l’incontro tra forze politiche, forze sociali, espressioni della società civile su un nuovo progetto per il futuro del Friuli-Venezia-Giulia.
Ricordo tutto perché, fatte salve tutte le specificità, l’esperienza del Friuli è un punto di riferimento anche per il lavoro che il centrosinistra deve fare a livello nazionale.

Come ho già ricordato, l’onda elettorale a favore del centrosinistra si è estesa al Centro. Accanto alla conferma della nostra forza a Pisa e Massa – vinte al primo turno – e a Viareggio, il dato politicamente significativo è quello del Lazio. Al primo turno abbiamo avuto la straordinaria vittoria alla Provincia di Roma, tanto più importante perché realizzata con un notevole distacco di voti a favore di Gasbarra, in particolare nella Capitale dove ha certamente influito l’apprezzamento dei cittadini romani per l’attività della giunta Veltroni. Quel risultato è stato rafforzato dal voto nei Comuni, dove il centrosinistra vince da Formia a Tivoli, da Cerveteri a Marino.
E anche nel voto laziale si segnala un netto successo dei DS, che a Roma raggiungono il 25%.

Il dato, però, più saliente di questo turno elettorale - insieme al voto del Friuli - è l’andamento elettorale del Mezzogiorno. Già al primo turno, i successi alle Province di Foggia, Benevento ed Enna, ci avevano dato il segno di una novità, poi nettamente rafforzato nei ballottaggi.

Di enorme importanza è il voto di Pescara, l’equivalente di quello che è stato il risultato di Verona l’anno scorso nel Nord.
Significativi i risultati nei centri medi della Puglia; a Palmi e Paola in Calabria; a Giugliano e in molte città della Campania.
Ma, soprattutto, di grande rilievo è il voto in Sicilia. Il dato siciliano, più di ogni altro, non va comparato con il ’98. Le schiaccianti vittorie ottenute dalla destra nelle elezioni politiche e regionali del 2001 non davano affatto per scontato che il centrosinistra potesse riconquistare le posizioni del ‘98.
E, invece, in Sicilia noi non solo riconfermiamo le province vinte nel ’98, ma andiamo oltre, conquistando Ragusa, città tradizionalmente moderata, e molti altri comuni.
Quel che più colpisce è che non soltanto il centrosinistra siciliano ottiene questi buoni risultati, ma c’è un vero e proprio tracollo della destra di proporzioni impreviste: nell’isola Forza Italia perde 600 mila voti rispetto alle elezioni politiche del 2001; Alleanza Nazionale ne perde decine di migliaia; un tracollo drenato parzialmente dall’UDC di Cuffaro che si avvantaggia del ruolo di Presidente della Regione e del fatto che anche in Sicilia l’UDC si è caratterizza con profilo autonomo e più moderato rispetto alle altre forze di destra.

L’onda elettorale, dunque, si estende ovunque ed è questo che ci fa dire che il voto indica un mutamento degli orientamenti elettorali della società italiana, con significative conseguenze sul profilo delle coalizioni e delle forze politiche.

Nel centrosinistra il dato più significativo è la forte coesione unitaria, realizzata intorno ai nostri candidati: nella stragrande maggioranza delle realtà chiamate al voto l’Ulivo si è presentato unito; quasi ovunque si è realizzata l’intesa con Rifondazione comunista e l’Italia dei Valori; e in moltissime realtà l’estensione si è allargata a liste civiche locali o liste del candidato. Insomma la tensione unitaria ha pagato. E’ la conferma di quanto già era emerso nel 2002; ed è un’indicazione politica, anche per il futuro.
Una unità, quella del centrosinistra, tanto più importante a fronte di un centrodestra che si è presentato in moltissime realtà con un volto assai meno coeso, solidale e unito.

All’interno del successo del centrosinistra, dato saliente è un ulteriore conferma del nostro ruolo di primo partito dell’alleanza, con una generale crescita dei DS in tutte le realtà chiamate al voto, e incrementi anche cospicui come in Friuli - 7 punti in più - a Brescia, a Viareggio, a Roma.
E’ un risultato importante per noi perché ci rafforza, consolida i nostri consensi e consente al nostro partito di guardare alla propria iniziativa con maggiore serenità e sicurezza di sé; ma è un risultato utile all’intera alleanza alla cui stabilità i DS più forti non possono che contribuire positivamente. Un’alleanza caratterizzata da un equilibrio instabile tra i soggetti che la compongono è un’alleanza più fragile. Un partito dei DS forte e radicato - e che per questo non deve avere presunzioni di autosufficienza – è un elemento essenziale per la stabilità e la stabilizzazione dell’alleanza.

Del risultato del centrosinistra beneficiano tutti i partiti dell’Ulivo. E’ così per la Margherita che mediamente consolida i consensi acquisiti nel 2001, tenuto conto che allora faceva parte della Margherita anche l’UDEUR – che in queste elezioni si è presentato distinto – che nelle politiche c’era un effetto traino di Rutelli, e, che la Margherita ha minore longevità.

Anche il voto di quest’anno - come già l’anno scorso – conferma la consistenza e il radicamento dell’UDEUR. E non solo in Campania, ma anche in Sicilia, in Puglia, in altre aree del Sud, confermandosi partito che intercetta davvero un elettorato più moderato in uscita dal centrodestra.
Confermano le loro consistenze Verdi e Pdci, mentre in non poche aree si manifesta una nuova vitalità di elettorato socialista, sia verso lo SDI, che verso liste socialiste locali.

Il risultato di Rifondazione comunista è statico, con andamenti migliori là dove si è siglata l’intesa con l’Ulivo e risultati, invece, deludenti là dove si è voluta far prevalere l’autosufficienza. Peraltro Rifondazione Comunista non appare essere stata beneficiata della campagna per il “sì” al referendum sull’art.18.

E, infine, quest’anno hanno esteso il successo del centrosinistra liste locali e civiche.

Guardando al Centrodestra, la flessione elettorale riguarda tutti i partiti e coinvolge tutte le aree. Al Nord paga un prezzo molto alto l’asse Bossi-Tremonti, con una Lega che ha perso rilevanti quantità di voti ovunque, a partire dal Friuli.
Forza Italia conosce rilevanti perdite in tutta Italia, ma soprattutto nel Mezzogiorno, dove la riduzione di consensi tocca la sua punta massima in Sicilia, ed è consistente anche nelle altre regioni. E anche Alleanza Nazionale conosce una seria battuta d’arresto dove a Pescara, Brescia, Roma, Ragusa, Foggia, Udine suoi erano i candidati sconfitti con flessioni consistenti anche nel voto di lista.

L’unico dato in controtendenza – peraltro già emerso l’anno scorso - è il voto dell’UDC che drena una parte di quella emorragia grazie ad un profilo volutamente distinto.

Le ragioni elettorali di questo terremoto sono riconducibili, principalmente, a due tendenze: da un lato la nostra maggiore credibilità sul terreno politico-amministrativo.
Ovunque noi ci siamo presentati con candidati più credibili; con uno schieramento più affidabile perché più unito; richiedendo il voto su programmi che si sforzavano di parlare ai cittadini dei problemi della loro comunità.
Noi non abbiamo trasformato il voto amministrativo in un referendum pro o contro Berlusconi. Ovunque abbiamo condotto una campagna elettorale che muoveva dai problemi locali, per saldarsi solo in un secondo momento alle questioni nazionali.

A questa nostra maggiore credibilità si è sommato l’altro fenomeno che ha determinato questo voto: il giudizio severo e critico maturato in una larga parte dell’opinione pubblica nei confronti del governo Berlusconi e del modo in cui il Paese è governato.
Le elezioni, peraltro, si sono collocate a due anni dal rinnovo del Parlamento, in un tempo, dunque, più che sufficiente per trarre un bilancio sulla capacità di governo della destra. E il voto dice che in una parte larga di opinione pubblica è venuta maturando una delusione crescente e un allarme diffuso di fronte a un modo di governare molto lontano dalle aspettative suscitate soltanto due anni fa.

Anzi nelle ultime settimane, anche tra il primo turno ed i ballottaggi, questo giudizio si è aggravato per il modo “infantile” con cui la maggioranza ha cercato di negare la criticità della situazione economica, anche a fronte del discorso del Governatore Fazio; per il modo arrogante con cui la destra ha gestito il grave strappo costituzionale del lodo Berlusconi, dando la netta impressione che l’unico obiettivo fosse non già il rafforzamento delle garanzie per le più alte cariche dello Stato, ma la ricerca a qualsiasi costo dell’impunità per un imputato; per il riacutizzarsi in queste settimane della questione informazione; per il manifestarsi di contraddizioni sociali, dalla grandissima sofferenza che vive il mondo della scuola alle inquietudini sollevate nei cittadini dallo stato della sanità, al vero allarme suscitato in milioni di famiglie dall’annunciata volontà di intervenire sul sistema previdenziale.

Il voto ci dice che è cambiato non solo il rapporto tra paese e governo, ma anche il rapporto tra paese e opposizione. Si è chiusa la fase in cui nostro compito primario è stato la ricostruzione dell’opposizione piegata dalla sconfitta del 2001
E’ una ricostruzione realizzata per tante strade: attraverso la mobilitazione del movimento sindacale, in particolare della CGIL, per la difesa dei diritti del lavoro; attraverso grandi movimenti di massa, il movimento per la pace prima di tutto; attraverso forme di mobilitazione di quella parte della società civile che non si è sentita, a torto o a ragione, rappresentata dalla politica; attraverso una ripresa di iniziativa dei partiti del centrosinistra, a partire dal nostro, che ha rimesso in campo un’iniziativa di cui tutti noi siamo stati protagonisti; attraverso uno sforzo, tutt’altro che esaurito e compiuto, di rimettere in piedi l’Ulivo. Insomma, come ho già detto altre volte, per tanti affluenti il fiume dell’opposizione si è rimesso in movimento.
Oggi l’opposizione c’è. Se a Piazza Navona nel febbraio del 2001 la domanda era: “dov’è l’opposizione?”. Oggi a quella domanda è stata data risposta.

Adesso la questione, è come noi siamo capaci di trasformare questa opposizione in un’alternativa di governo.
In questo sta il mutamento di fase: adesso è tempo dell’alternativa di governo.
Ed il voto è così importante perché ci dice che le condizioni ci sono.

Non è soltanto questione di scrivere un programma, ma di come il centrosinistra si dota di una visione, un progetto, un’idea forte dell’Italia e del suo futuro. Come ha scritto Alfredo Reichlin su “L’Unità”, urge che il centrosinistra dica agli italiani come vuole collocare il nostro Paese in una globalizzazione che muta condizioni e qualità dello sviluppo; in un’integrazione europea che obbliga sempre di più a pensare ogni problema in quella dimensione; in un’economia di mercato che sempre più sollecita a ripensare modi di produrre, di consumare, di vivere.


Questo è il passaggio, il salto, che poi si dovrà tradurre, naturalmente, in un programma, declinando temi e proposte; ma non è la somma di mille proposte che fa un progetto. E’ un’idea forte che costruisce un progetto da cui poi si declina il programma.

Questo è il vero terreno su cui affrontare i tre nodi per un centrosinistra vincente: dare forma e identità all’Ulivo, come coalizione che punta a governare il Paese; perseguire l’intesa di programma tra l’Ulivo e le altre forze di centrosinistra, a partire da Rifondazione comunista e l’Italia dei Valori con cui vanno ricercati non accordi tattici o desistenze, ma un’intesa di programma per il governo; strutturare il rapporto tra Centrosinistra politico e rappresentanza sociale e civile del paese.

In ogni caso, quel che risulta sempre più evidente è che il centrosinistra può raccogliere una maggioranza di consensi se si presenta unito e largo nello schieramento politico e sociale.

E’ un’indicazione che ci viene anche dall’esito del referendum sull’estensione dell’art.18 alle aziende con meno di 16 dipendenti. Non voglio qui ripetere tutte le ragioni che hanno portato la Segreteria del nostro partito a considerare questo referendum uno strumento sbagliato perchè fonte di divisioni sociali e perché inadeguato a dare risposte a problemi che vanno risolti sul terreno legislativo e per la cui soluzione con i nostri alleati dell’Ulivo abbiamo già depositato in Parlamento proposte in materia di diritti, di riforma degli ammortizzatori sociali, di riforma del processo del lavoro.

D’altra parte il fatto stesso che negli ultimi giorni i promotori del referendum abbiano cercato di indurre l’elettorato a votare piegando il referendum a un voto pro o contro Berlusconi è la conferma della scarsa consistenza sostanziale del referendum stesso.

Né può essere ignorato che l’esito del referendum fosse chiaro fin dall’inizio, essendo contrari allo strumento referendario non solo lo schieramento governativo, ma anche gran parte dell’Ulivo, la maggioranza del movimento sindacale, tutte le associazioni di categoria.

Così come non può sfuggire che tra gli obiettivi dei proponenti vi era anche l’ambizione di utilizzare il referendum per ridisegnare confini e identità del centrosinistra. L’esito ci dice che quell’ambizione era una velleità.

Naturalmente, sappiamo bene che gran parte degli 11 milioni di elettori che si sono recati a votare, è stata sollecitata da intenti di riforme: moltissimi elettori di quell’83% che ha votato “si”, hanno inteso così manifestare la loro contrarietà a Berlusconi e ai rischi di precarizzazione del lavoro. E in quel 17% che ha votato “no” prevalente era la preoccupazione di non penalizzare la piccola impresa.
Per questo noi sentiamo la responsabilità di raccogliere e fare nostre le attese di quegli elettori e di farne un punto di forza per il rilancio in Parlamento e nel paese del nostro impegno per il lavoro e la sua tutela.

Quel che serve, insomma, è un salto in avanti del centrosinistra nel proporre al Paese una credibile alternativa di governo alla destra.
Per farlo abbiamo bisogno dell’Ulivo. Ed è per questo che – anche grazie alla spinta che viene dal successo elettorale – proponiamo ai nostri alleati di rimetterci in cammino, lasciandoci definitivamente alle spalle le incertezze e le oscillazioni che la coalizione e il suo gruppo dirigente hanno avuto nei mesi precedenti al voto.
Per questo avanziamo sei proposte che fin dalle prossime settimane potrebbero dare nuovo slancio alla iniziativa della dell’Ulivo e del centrosinistra:
1. Avviare la redazione di un Manifesto per l’Europa che indichi la comune visione europeista dei partiti dell’Ulivo e costituisca una piattaforma comune pur in una consultazione europea che – per la legge elettorale proporzionale – vedrà una pluralità di liste e candidati;
2. rafforzare la costituzione dell’Ulivo in tutti i collegi, con l’istituzione dell’ “Albo degli elettori” proposto in queste settimane dall’Assemblea dei cittadini dell’Ulivo;
3. avviare la preparazione delle elezioni amministrative 2004 perseguendo larghe intese politiche e applicando modalità di largo coinvolgimento dei cittadini nella individuazione e selezione dei candidati;
4. promuovere entro il 2003 una Assemblea nazionale dell’Ulivo che lanci il Manifesto per l’Europa e indichi le prime linee di un progetto di governo per l’Italia;
5. avviare un Forum programmatico aperto a tutte le forze politiche del centrosinistra e di opposizione, ai movimenti e alle diverse articolazioni della società italiana per la elaborazione di un “progetto di governo per l’Italia”;
6. dare ulteriore efficacia all’opposizione parlamentare sia con una più frequente e regolare attività dell’Assemblea dei parlamentari dell’Ulivo, costituita nell’ottobre scorso, sia con iniziative comuni di tutte le opposizioni.
Sono proposte – che senza incagliare ancora l’Ulivo in formule organizzative – possono dotare il centrosinistra di una griglia di appuntamenti e di modalità di azione caratterizzatosi da una forte tensione unitaria e il più ampio incontro con la società italiana.

La preparazione e la realizzazione di questi appuntamenti sarà tanto più efficace in quanto si intrecci con una forte iniziativa politica sull’agenda del paese.

Sta, in primo luogo, di fronte all’Italia la responsabilità di guidare, dal 1° luglio, l’Unione Europea, in un passaggio di straordinaria importanza per l’Europa e il suo processo di integrazione.
Precipiteranno nei prossimi mesi questioni cruciali su cui chiediamo alla Presidenza italiana scelte precise: assicurare che la Conferenza Intergovernativa, che dovrà portare a conclusione il nuovo disegno istituzionale e costituzionale dell’UE, recepisce le proposte della Convenzione, evitando che siano annacquate o ridimensionate; accompagnare la preparazione dell’allargamento a 10 nuovi paesi 1° maggio 2004 con la definizione del percorso dei successivi allargamenti a Bulgaria e Romania nel 2007, alla Turchia e ai paesi dei Balcani; rilanciare la strategia di Lisbona per una nuova fase di crescita economica in un’Europa che conosce stagnazione e basso sviluppo; accelerare la realizzazione dello spazio europeo di giustizia, dimensione essenziale per la sicurezza dei cittadini; dare nuovo slancio al dialogo euromediterraneo e fare giocare un ruolo centrale all’Europa nel dopoguerra irakeno e nella realizzazione della road map per la pace in Medio Oriente; ricostruire i rapporti transatlantici, dopo le lacerazioni della crisi irakena, sulla base di una forte intesa con gli altri partner dell’UE.

Appuntamenti che richiedono tutti un’Italia che creda fortemente nell’Unione Europea.
Non è scontato che sia così se solo si pensa alle molte manifestazioni di freddezza e di diffidenza di questa maggioranza di destra verso l’Europa: da Bossi che ritiene Bruxelles “forcolandia” a Tremonti che non perde occasione per manifestare la sua avversità all’euro e al Patto di stabilità, a Castelli che blocca ogni recepimento delle norme sullo spazio europeo di giustizia, allo stesso Presidente del Consiglio per il quale l’Unione Europea è poco più che un fondale scenografico.

Per questo noi, in Parlamento e nel Paese, incalzeremo – con le proposte che anche in questi giorni abboiamo avanzato – il Governo perché assolva nel modo più compiuto alle proprie responsabilità. Il fatto di essere all’opposizione non ci spinge affatto a sperare in una Presidenza di basso profilo. Al contrario vogliamo una Presidenza italiana forte e autorevole che contribuisca con convinzione a questa fase così impegnativa di costruzione della “nuova Europa”.

Appuntamento altrettanto significativo è la presentazione nelle prossime settimane del DPEF, in una situazione economica del Paese, caratterizzata da una stagnazione della produzione e dei consumi e dal rischio che il 2003 sia un anno di crescita zero. Non voglio tornare sui ripetuti allarmi che in questi mesi abbiamo lanciato, indicando tempestivamente quei rischi di declino evocati da più parti.
Nella nostra Convenzione programmatica a Milano abbiamo avanzato proposte che mettiamo a disposizione del confronto con le parti sociali e con il Governo, ribadendo l’opportunità e l’utilità – come hanno richiesto i gruppi parlamentari dell’Ulivo – di una sessione straordinaria in Parlamento sulla situazione economica del Paese, prima che si vari il DPEF.

Un punto in particolare ci preme ribadire: è ormai evidente che una più forte competitività delle imprese e del sistema non può essere affidato alla sola riduzione dei costi o, peggio ancora, a una manomissione dei diritti e un peggioramento delle condizioni di reddito e di lavoro dei cittadini.
Il rilancio dello sviluppo non può avvenire che con un forte investimento in ricerca, innovazione, sapere e formazione. Così come servono forti politiche pubbliche a sostegno di una forte modernizzazione infrastrutturale e di un più qualificato welfare sociale.

E, in questo ambito, ribadiamo il nostro impegno contro la legge delega in materia ambientale, che rappresenta un vero e proprio strappo controriformatore, quando invece oggi appare sempre più evidente la necessità di fondare lo sviluppo su una modernizzazione ecologica.

Si colloca in questa direzione l’intesa siglata da Cgil-Cisl-Uil con la Confindustria, accordo che salutiamo con particolare favore, nella speranza che costituisca la ripresa sia di una politica di concertazione tra le parti sociali,sia di un irrinunciabile e indispensabile cammino di unità sindacale. E chiediamo al Governo di recepire fin dal prossimo DPEF e nella successiva legge finanziaria le indicazioni e le scelte proposte in quella intesa.


Politiche tanto più strategiche per il Mezzogiorno, ove l’assenza di strategie da parte del governo e delle Regioni guidate dal centrodestra rischia di compromettere i molti segnali di crescita e di dinamismo registrati in questi anni. Sempre più il cardine di una nuova proposta per il Mezzogiorno deve essere la formulazione di una politica per il Sud come parte organica di un progetto di sviluppo unitario del paese e non come esaltazione di interventi settoriali che rischierebbero – soprattutto nel nuovo contesto del regionalismo e del federalismo – di non incidere sulle strozzature strutturali che soffocano il Mezzogiorno d’Italia.

Ho richiamato prima questioni sociali che stanno sul tappeto, alcune delle quali anche con carattere esplosivo immediato. Nelle ultime settimane, come accade sempre nella stagione estiva, il fenomeno dell’immigrazione torna a prodursi in modo acuto, con sbarchi clandestini che suscitano preoccupazione nei cittadini, e a cui la legge Bossi-Fini non è in grado di offrire risposte adeguate.
Anzi, si conferma sempre più il carattere demagogico di molte norme di quella legge, con rilevanti conseguenze negative, come ad esempio la maggiore difficoltà ad assumere legalmente non solo lavoratori stabilizzati, ma perfino quelli stagionali.

La paura non è una politica. E non si governa un grande tema come l’immigrazione, evocandola solo e sempre come rischio e come angoscia.
Ed è significativo che la maggioranza dell’opinione pubblica – che pure giustamente richiede di essere resa sicura – rifiuti le volgarità demagogiche con cui Bossi e alcuni esponenti della Lega affrontano un tema così delicato.

Proprio perché l’immigrazione è fenomeno strutturale che c’è e ci sarà – chiunque governi l’Italia – è necessario darsi delle politiche: per favorire lo sviluppo e la crescita dei paesi poveri, e così contenere la spinta a emigrare; per realizzare con quei paesi accordi di comune impegno contro la clandestinità e il suo traffico; per realizzare politiche di accoglienza e integrazione e anche così rendere sicuri i cittadini; per rendere più efficaci misure di contrasto di ogni forma di illegalità e microcriminalità.

Sono le politiche che hanno ispirato la legge Turco-Napolitano e l’azione del centrosinistra. Ed è significativo che oggi anche i settori più responsabili del governo – e anche il Ministro degli Interni dell’attuale governo – riconoscano che altra politica non c’è.

Credo che dobbiamo riprendere questo che è un tema di grande rilievo, insieme alle altre questioni sociali non risolte su cui il centrodestra ha pagato un forte prezzo elettorale.
Lo ha pagato sulle pensioni, sui ticket sanitari, sulla scuola. E tuttavia il fatto che il centrodestra abbia appannato la propria immagine con politiche sociali impopolari non autorizza a pensare che quelle politiche stiano per essere abbandonate. Al contrario, negli annunci di molti ministri emerge una linea il cui esito è la riduzione dell’universalità dei diritti, un minore grado di protezione sociale per i settori più deboli, la messa in causa della funzione pubblica di servizi essenziali quali la sanità e la scuola. Non solo, ma l’incapacità di tenere sotto controllo capitoli essenziali della spesa sociale – quale la sanità e la previdenza – può facilmente essere utilizzata come varco per una riduzione di impegno pubblico nelle politiche di coesione. Di qui la necessità che il centrosinistra sia capace di prospettare ai cittadini un’idea di welfare che tenga insieme tutela e innovazione e dia risposte a questioni – gli anziani, l’infanzia, le persone non autosufficienti – che incidono sulla vita di milioni di famiglie.

Così come mantiene una particolare acutezza critica le condizione della scuola, alla vigilia di un anno scolastico che si annuncia problematico per la entrata in vigore del nuovo ordinamento voluto dalla Moratti e su cui abbiamo espresso ampie e documentate riserve.

Torna a prodursi – ne ho già fatto cenno – con un’accentuazione molto acuta, il tema dell’informazione e del suo assetto pluralista, reso più critico dall’irrisolto conflitto di interessi del Presidente del Consiglio. Ribadiamo qui la assoluta necessità di una sostanziale modifica della legge Gasparri, rendendola coerente – cosa che oggi non è – con il messaggio inviato alle Camere nel luglio dello scorso anno dal Presidente Ciampi, di cui – voglio ribadirlo qui – apprezziamo la discreta e autorevole azione di garante dei principi costituzionali e della stabilità istituzionale del Paese.

Anche le ultime settimane sono state segnate da un nuovo, più grave, strappo sui temi della giustizia. Riconfermiamo la nostra convinzione che il lodo Berlusconi avrebbe richiesto una norma costituzionale. E il fatto che già oggi penda di fronte alla suprema Corte una eccezione di incostituzionalità, conferma la fondatezza della nostra impostazione, su cui intendiamo continuare a batterci.
Verificheremo con le altre forze politiche dell’Ulivo e con gli stessi promotori di ipotesi referendarie, quali siano le iniziative più efficaci e più opportune per la tutela della legalità costituzionale e con quali tempi e modalità darvi corso.

Nello stesso spirito alla Camera dei Deputati abbiamo lavorato a una proposta dell’Ulivo che confermando l’attuale regime di immunità – che a nostro avviso non deve subire alterazioni – ne riformi l’autorità di applicazione, prevedendo per la giunta per l’autorizzazione a procedere – e anche per la giunta per le elezioni – una composizione paritaria, condizione minima perché quegli strumenti ritrovino la loro funzione imparziale oggi stravolta.

L’insieme di queste priorità di iniziativa politica si congiungerà, fin da settembre, con la preparazione di impegnativi turni elettorali.

Già nell’autunno del 2003 si svolgeranno le elezioni in Trentino-Alto Adige/Sud Tirol, e dove il centrosinistra – che ha vinto anche a Riva del Garda – governa entrambe le provincie, i capoluoghi, molti comuni.

Nel 2004 poi si svolgeranno le elezioni amministrative ordinarie, che riguarderanno 4.436 comuni, 63 province – tra cui quella di Milano dove potrebbe ripetersi l’exploit di Roma - e significative città capoluogo di regione come Firenze, Ancona, Perugia, Bari, Potenza, Cagliari e Bologna dove il centrosinistra si presenterà con la prestigiosa candidatura di Sergio Cofferati.
E, infine, ci saranno le elezioni europee, tanto più significative in un passaggio così storico per l’Unione Europea.

Chiunque capisce che se dovessero confermarsi anche nel 2004 le tendenze registrate nel 2002 e nel 2003, l’intero scenario politico sarebbe ridisegnato e lo stesso calendario dei successivi appuntamenti elettorali del 2005 e del 2006 potrebbe cambiare. E questo ci deve ammonire a non dare per scontati esiti elettorali che invece vanno riconfermati con la forte azione politica. Anche perché la destra cercherà in ogni modo di ottenere un risultato di ripresa. Dobbiamo perciò prepararci adeguatamente da subito, avviando l’opera di prima selezione delle candidature, di elaborazione programmatica e di costruzione degli schieramenti unitari sulla base di larghe alleanze tra Ulivo, Rifondazione Comunista, Italia dei Valori e liste civiche e locali.

Al tempo stesso occorre che il centrosinistra sia mosso da tensione unitaria anche per le elezioni europee, sia con un Manifesto comune, sia – è una proposta che avanziamo ai nostri alleati – introducendo un comune riferimento all’Ulivo nei simboli di tutti i partiti del Centrosinistra che presenteranno liste elettorali per il Parlamento Europeo.

Tutto questo richiede un partito attivo e fortemente motivato. Anche per noi questi due anni non sono passati invano. Ricordiamo tutti lo stato di angoscia, smarrimento e incertezza che percorreva le nostre fila all’indomani di una sconfitta elettorale che seguiva ad altre pesanti sconfitte.

Tutti insieme abbiamo lavorato per restituire al partito sicurezza di sé, della sua funzione, del suo ruolo e della sua politica.
Ciascuno per la parte che gli competeva e con le posizioni che ha ritenuto più giuste, e tutti – maggioranza e minoranze - abbiamo lavorato perché questo partito ricostruisse un suo profilo credibile di sinistra riformista e di governo, condizione essenziale di ogni altro passaggio.

Il voto ci dice che questo risultato l’abbiamo conseguito, perché l’espansione elettorale è la certificazione di un partito che torna a raccogliere consensi e voti, riconquista fiducia, ricostruisce rapporti con la società. Un partito che torna a essere percepito come una forza sicura a cui ci si può affidare.
Il nostro partito si conferma il primo partito dell’alleanza, registra consistenti incrementi in molte regioni italiane e la nostra forza traina la coalizione. I nostri consensi crescono non solo nelle aree di storico insediamento, ma anche in territori e settori sociali “sensibili”. E cresce significativamente il voto femminile – di cui avevamo avuto un segnale significativo nella vivacità delle Assisi nazionali delle donne DS – e cresce il voto giovanile, come peraltro è confermato dal successo ottenuto dalla Sinistra Giovanile nelle elezioni universitarie.

Si conferma così ciò che non ci siamo stancati di ripetere nei mesi scorsi e cioè quanto fosse sbagliato pensare che il centrosinistra potesse trovare una nuova vitalità solo in quanto si ridimensionasse il peso e il ruolo della sinistra. Non è così. E’ esattamente vero il contrario: i dati ci dicono che una sinistra riformista più forte è una delle condizioni essenziali per un centrosinistra vincente. Naturalmente una sinistra animata – come noi siamo stati e siamo – da spirito unitario. Una sinistra che metta la sua forza e il suo radicamento al servizio di un’alleanza più grande. E’ quello che abbiamo fatto e il voto ha premiato sia il nostro partito, sia l’alleanza.

E, anche quest’anno – come pure l’anno scorso – andremo alla campagna delle Feste dell’Unità non dovendo spiegare sconfitte, divisioni e delusioni. Andremo a parlare alla nostra gente e agli italiani avendo alle spalle un successo elettorale e un clima di fiducia che non è aspetto insignificante per la vita e l’attività di un partito e per la stessa vita della coalizione. Non era scontato che ciò accadesse. Per questo desidero ringraziare i nostri elettori e soprattutto ringraziare i nostri dirigenti, i nostri militanti che hanno rilanciato iniziative, ripreso rapporti con la società, rimotivato iscritti ed elettori, costruendo così – con un lavoro faticoso e troppo spesso non adeguatamente riconosciuto – il successo di queste settimane.
E’ importante, e lo ripeto, non solo per noi, ma per il centrosinistra, perché noi questa nostra maggiore forza la vogliamo utilizzare per l’alleanza e nell’alleanza di centrosinistra.

Credo che ci siano anche le condizioni perché nel nostro partito si possa vivere una maggiore unità.
Non è senza significato che questo consolidamento della nostra forza, questo rafforzamento del nostro partito e la sua espansione elettorale sia avvenuta con il concorso di tutti e contestualmente al fatto che in moltissime realtà periferiche, regionali e provinciali, siamo andati a guide unitarie del partito.

La Convenzione programmatica, peraltro, di Milano ci ha consentito l’individuazione di una piattaforma largamente condivisa, su cui ora vogliamo aprire un ampio confronto in tutto il partito, con le altre forze politiche e nella società italiana.

Così come ha certamente concorso al buon esito del nostro partito un clima più sereno e disteso, favorito da una conduzione della campagna elettorale che ci ha visto tutti fortemente impegnati. E lo stesso referendum – nel quale pure si sono manifestate tra noi posizioni diverse e legittime – è stato gestito in ragione tale da evitare che le diversità divenissero elemento di lacerazione.

Non dobbiamo smarrire questo nuovo clima e lavorare perchè il pluralismo interno – che è un valore e una ricchezza – si accompagni sempre a una tensione unitaria e a una forte comune assunzione di responsabilità.

D’altra parte proprio il triennio elettorale particolarmente impegnativo che sta di fronte a noi ci deve sollecitare ad essere uniti e solidali.

In questi due anni sia nella direzione politica del partito nei vari territori, sia nelle esperienze amministrative sta crescendo una nuova generazione di quadri e dirigenti – tra cui molte compagne – che abbiamo il dovere di valorizzare perché la forza di un gruppo dirigente sta nella sua capacità di rinnovarsi, di promuovere nuove leve e nuove energie.

E lo dovremo fare sia nel partito, sia nelle candidature delle prossime consultazioni elettorali.

Penso che dobbiamo raccogliere e consolidare da subito il lavoro di questi mesi, in primo luogo con la campagna delle Feste dell’Unità, che sono – come sappiamo tutti – il più grande appuntamento di massa che un partito realizza in Italia. Dobbiamo utilizzarle sia con un forte sviluppo del tesseramento, cogliendo tutte le opportunità confermate dal fatto che siamo più avanti rispetto alla stessa data dell’anno scorso di ben 70.000 iscritti, sia in termini di autofinanziamento per avere le risorse necessarie ad affrontare la impegnativa campagna elettorale 2004 e proseguire al tempo stesso l’opera di risanamento finanziario.

Abbiamo davanti a noi appuntamenti politici significativi in una fase in cui le diverse forze del riformismo – e tra esse le forze della sinistra riformista – si interrogano sulle loro prospettive politiche, sui caratteri e i contenuti di un riformismo capace di fare i conti con la società di oggi e con i grandi cambiamenti che hanno ridisegnato il profilo e il volto della nostra società e del mondo. Anche noi dobbiamo collocarci in questo orizzonte, sapendo che davvero non è sufficiente guardare a quel che fin qui abbiamo fatto per sapere quel che dobbiamo fare oggi e domani. I tanti mutamenti che hanno investito le nostre vite ci sollecitano a una ridefinizione di identità, di cultura politica, di contenuti programmatici.

Siamo di fronte ad un mondo nuovo, i cui confini ignoti generano grandi insicurezze e anche paura di poter perdere qualcosa e retrocedere dalle condizioni di vita acquisite. La risposta della destra è il liberismo, una società priva di regole in aggiunta ad un’economia liberista: la fine della solidarietà e della coesione sociale. Ma l’Europa ha paura, e non desiderio, di questo modello sociale.
E nella condizione di solitudine che è generata da una società priva di solidarietà e di coscienza sociale, si aprono varchi inquietanti al populismo e alla sua demagogia falsamente rassicurante.

La destra insomma riempie un vuoto, ma non immagina un mondo nuovo.

E’ questa la nuova frontiera per una sinistra che non consideri esaurita la propria funzione. E in effetti i valori e gli ideali per cui la sinistra è nata ed è vissuta – la libertà, l’uguaglianza, la democrazia, la dignità della persona, la solidarietà, le pari opportunità – non hanno perso la loro attualità e il loro valore. Basterebbe soltanto alzare il nostro sguardo dalla nostra dimensione di europei ricchi e opulenti verso le condizioni di esistenza di milioni di donne e uomini in altri continenti, per avere conferma di quanto quei valori siano ancora necessari per consentire ad ognuno di guardare al proprio futuro con speranza.
Ma certo cambiano le forme e le modalità con cui quei valori vengono rappresentati e organizzati. Ed è precisamente questo il terreno della ricerca, dell’innovazione e della sfida.

Un “nuovo riformismo” che sia cosmopolita, sovranazionale, neomutualistico; capace di coniugare modernità e diritti; un riformismo portatore di una nuova concezione della libertà e della responsabilità verso sé stessi e la società, egualitario e al tempo stesso competitivo per opportunità e per le sicurezze sociali che offre alla crescita della persona singola e dei cittadini associati.

Sono questi temi cruciali per la politica e l’identità dei Democratici di Sinistra e noi li vogliamo affrontare con la consapevolezza che oggi nel mondo e in Europa c’è bisogno della sinistra, di una sinistra riformista che sappia vivere il proprio tempo, lo sappia interpretare, lo sappia rappresentare corrispondendo alle domande e alle aspettative degli italiani.

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