25.06.2001- APPUNTI PER UN CONFRONTO POLITICO TRA I MILITANTI DELLO SDI - ROBERTO BISCARDINI
25 giugno 2001
1. SULLA RIORGANIZZAZIONE DEI SOCIALISTI.
Molti di noi hanno operato in questi anni affinché i socialisti potessero ritrovare dopo gli anni della diaspora del 1993/94, una rinnovata unità e una Casa comune. Per questo sono state spese molte energie sia a livello locale che a livello nazionale: alcune hanno dato risultati positivi (l'unità tra SI, Intini e Schietroma ad esempio), altre si sono rilevate dannose e controproducenti con elevati costi politici (Martelli in Europa ad esempio). Questa politica rispondeva all'esigenza di difendere un patrimonio storico e politico che sarebbe andato disperso, nella prospettiva prioritaria di ricostruire anche in Italia un partito socialista e democratico (contro il tentativo perseguito da tutti, da destra come da sinistra, di distruggere i resti del socialismo italiano), ma nello stesso tempo aveva l'obiettivo di mantenere in vita un legame e un collegamento politico tra quanti avevano conosciuto l'esperienza del PSI.
Chi più chi meno in questi anni si è mosso su questi due binari.
Oggi finalmente l'iniziativa perseguita dallo SDI di mantenere in vita una formazione politica autenticamente socialista collocata nell'area di centrosinistra, evitando dapprima l'appiattimento nell'Ulivo e poi la confluenza nei Ds e nella Cosa 2, ci viene riconosciuta da più parti come un grande merito.
Ma adesso le cose sono cambiate e per i socialisti si pongono problemi nuovi:
- alla luce dei risultati del 13 maggio, l'unità dei socialisti è ancora un obiettivo da perseguire, ma dentro un progetto politico ben più grande;
- - i socialisti dello SDI possono svolgere in questa fase di crisi della sinistra italiana un grande compito e un grande ruolo, a condizione che sappiano cogliere le tensioni e le questioni in gioco e sappiano collocare il proprio lavoro dentro un grande progetto e una nuova strategia.
- Infatti, con le elezioni del 13 maggio alcune cose sembrano più chiare:
- - la questione socialista non è affatto chiusa, ma non si risolve dentro l'iniziativa di un unico partito superstite;
- - la sconfitta dei Ds dimostra come questo partito, nonostante la grandissima debolezza dei partiti che in questi anni si sono richiamati ai valori del socialismo riformista italiano, non sia stato in grado e non abbia le carte in regola per diventare l'erede della tradizione socialista e socialdemocratica europea;
- - il fallimento elettorale del Girasole, pur dipendendo da una diversità di ragioni ed errori, fa in qualche modo giustizia della vecchia idea spesso perseguita, ma mai realizzata, di dar vita nel nostro paese dentro al centrosinistra ad una terza forza politica socialista, laica e ambientalista;
- - la mancanza nel nostro paese di una forza di ispirazione socialdemocratica credibile del 30/35% intorno alla quale organizzare uno schieramento alternativo alle forze conservatrici o di destra, come avviene in tutti gli altri paesi europei, pone a tutta la sinistra nuovi problemi di strategia e organizzativi.
Anche da questi dati si può trarre la certezza che per lo SDI è iniziata una fase di transizione che può essere positiva se si muove dentro un progetto più grande e con una nuova organizzazione: d'altra parte la tattica per la sopravvivenza peraltro non interessa quasi più nessuno così come l'esistenza di un piccolo gruppo parlamentare non basta a giustificare un'intera organizzazione politica.
L'organizzazione del partito oggi troppo accentrata e chiusa su se stessa, poco disponibile verso la cosiddetta "periferia", ad imitazione di un vecchio partito burocratico, non solo è inutile e anacronistica, ma impedisce il dispiegarsi di energie e potenzialità esistenti su tutto il territorio nazionale.
Le organizzazioni locali del Partito, quelle comunali, provinciali e regionali, che in tutti questi anni hanno saputo garantire la vita del partito, con enormi sacrifici umani e finanziari, senza mezzi e senza sostegni nazionali, possono rappresentare il punto di riferimento di una nuova organizzazione.
Il punto centrale è quale contributo da lo SDI alla costruzione di un nuovo partito del socialismo italiano in Europa. Se, come dice Amato, il percorso per la nascita di una nuova formazione del socialismo italiano deve avvenire dal basso, allora tutte le forze che si dichiarano disponibili a dar vita a questo progetto devono pensare anche ad una nuova organizzazione che può trovare nel rafforzamento delle realtà regionali e locali un suo vero punto di forza.
Così come non basta la sommatoria dei due partiti che si richiamano all’internazionale socialista per dar vita al nuovo partito del socialismo italiano, così non basta una sommatoria di vertici e di Direzioni nazionali per dar vita ad una nuova organizzazione politica. Anzi, i personalismi e i verticismi che hanno spesso caratterizzato la vita degli attuali partiti della sinistra costituiscono un limite ed un ostacolo alla nascita di un progetto che ha bisogno non di persone giovani, ma di mentalità nuove.
2. SULLA NASCITA DI UN NUOVO PARTITO SOCIALISTA IN ITALIA
Il risultato elettorale dell'Ulivo, di molto superiore alla somma dei risultati conseguiti dai partiti che lo compongono, è un valore aggiunto oggettivo che non deve andare disperso, ma che non mette in discussione il valore democratico dell'esistenza dei partiti. Infatti se da un lato mette certamente in discussione la credibilità degli attuali partiti, dall'altro non mette in discussione né i partiti come forma di partecipazione democratica dei cittadini, né le ragioni per la nascita di nuovi.
Le cose dette da Giuliano Amato in queste ultime settimane, anche in questo senso, rappresentano finalmente una novità ed una speranza: quella di poter dar vita ad un nuovo partito del socialismo italiano (preferisco chiamarlo così piuttosto che europeo) che potrà contare sull’adesione di quella parte di società che in questi anni non si è riconosciuta né ha votato gli attuali partiti della sinistra.
E’ una proposta che ha una sua validità indipendentemente da tutto e che dovremmo perseguire tenacemente con coraggio e lungimiranza, invitando Amato a proseguire indipendentemente dai sostegni e dagli ostacoli che certamente incontrerà lungo la strada.
La proposta di dar vita ad una "grande forza della sinistra saldamente ancorata al socialismo europeo" infatti non può essere sottovalutata nè può trovare disattenti proprio coloro che in questi anni a questo disegno si sono dedicati più di altri.
D'altra parte anche se non si sono ancora verificate le condizioni politiche, l'esigenza di dar vita, dopo la fine del comunismo, ad un’Unità di tutti i socialisti è sentita da più di un decennio e per primo la pose Bettino Craxi.
Le ragioni che hanno impedito in quegli anni questo un progetto sono molte: lo spirito di conservazione delle organizzazioni storiche, gli antichi conflitti tra i partiti della sinistra, l'incapacità degli ex comunisti di ammettere una sconfitta storica, la cultura antisocialista del partito comunista e le politica di compromesso storico tra DC e PCI. Cosi come negli anni successivi le cose non sono migliorate per altre ragioni: la strumentalizzazione miope delle vicende di tangentopoli da parte del Pds, l'accanimento nei confronti degli ex socialisti (che in alcune realtà locali perdura tuttora), ma soprattutto l'incapacità per gli ex comunisti di riconoscere e di riconoscersi nella storia del socialismo italiano, preferendo persino la parola Cosa alla parola socialista, sono state le cause principali.
Oggi le cose sono cambiate: il risultato elettorale del 13 giugno, il livello dello scontro interno ai Ds ormai insopportabile anche per i suoi iscritti, la presa d'atto che quel partito non è stato in grado di sostituire i socialisti nonostante la debolezza numerica dello SDI, pongono il problema della nascita di una nuova forza della sinistra riformista che si richiami ai valori del socialismo italiano ed europeo come una necessità oggettiva.
Si tratta di ricostruire una forza riformista e socialista, di sinistra e di centrosinistra insieme, con l'obiettivo di riconquistare quel 40% di consensi che la sinistra aveva negli anni '70-'80 (al netto di una componente estrema di derivazione comunista come avviene in molti altri paesi d'Europa), dando una prospettiva a tutti coloro che si riconoscono nei valori della tradizione socialista-riformista unita o alleata a quella cattolica-democratica e laica-liberale.
L'obiettivo è quello di riunire intorno ad un unico progetto tutte le risorse disponibili e tutte quelle che generosamente possono ritrovare in questo progetto un nuovo interesse e nuove motivazioni per un impegno politico.
Si tratta di dar vita ad un nuovo partito con la P maiuscola, non disdegnando l'alto valore civile e democratico di una tale iniziativa, non minimizzando il valore della nascita di una formazione politica, schierandosi subito dalla parte di chi è per una democrazia dei partiti.
Si tratta di farlo in modo nuovo, dal basso, come si detto, non per sommatoria di una classe dirigente che si è resa responsabile di molti ritardi e molti errori, ma non escludendo nessuno, riscoprendo già nel processo costituente la propria caratteristica democratica e non verticistica.
La strada da seguire non è una Cosa 3 per più di una ragione: non si tratta di sommare dirigenti di un partito ai dirigenti di un altro; non si tratta di limitare il proprio spazio politico alla sommatoria di partiti esistenti; non si tratta, come nella Cosa 2, di sommare personalità a partiti senza porsi il problema principale di quale politica perseguire.
Sulla base di ciò che successe in Francia in occasione della nascita del Partito socialista francese è necessario partire dal basso, mettendo insieme comitati regionali e locali diffusi sul territorio, utilizzando la capacità dei militanti e dirigenti locali di partiti e formazioni diverse, spesso più disponibili dei vertici nazionali ad un lavoro unitario. Noi, la dove è più significativo, possiamo dare il nostro contributo e farci carico di promuovere comitati locali per la costituzione del nuovo partito del socialismo riformista, organizzando gruppi di cittadini e gruppi di interesse, circoli, associazioni culturali e sociali, amministratori e gruppi consiliari ben sapendo che la questione di fondo sono i contenuti e il progetto di società che si intende costruire.
3. SULLA RIFORMA ELETTORALE
Il risultato elettorale del 13 maggio è li a dimostrare l'insufficienza e l'incongruenza dell'attuale sistema elettorale, ma lo stesso giudizio non cambierebbe se ci mettessimo ad analizzare i sistemi elettorali in vigore per i comuni, le province e le regioni.
Da un decennio infatti, sulla base di una considerazione per altro del tutto confutabile, secondo la quale il sistema istituzionale italiano non dava più garanzie di efficienza e di stabilità, si sono introdotte, per altro in modo del tutto caotico, sia modifiche istituzionali sia modifiche elettorali.
Si è iniziato con i comuni e le province introducendo l'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti, assoggettando ad essi giunte e assessori, riducendo le competenze dei rispettivi consigli comunali e provinciali e modificando il sistema della loro elezione (proporzionale con premio di maggioranza). Nonostante il favore che sembra incontrare l'elezione diretta dei sindaci e dei presidenti, i risultati di queste riforme, a dieci anni dalla loro entrata in vigore, non sono per nulla positivi. Ormai è provato: il trasferimento delle competenze verso il sindaco, ma lo stesso premio di maggioranza per l’elezione dei Consigli ha ridotto significativamente la rappresentatività e il ruolo politico delle forze di opposizione e dei Gruppi consiliari in generale, ha annullato gli equilibri tra poteri ed organi diversi ed ha ridotto dentro le istituzioni gli spazi di democrazia.
Ad imitazione del modello già in vigore per i comuni e le province, prima con una legge del '95 e poi con la legge di modifica costituzionale, sono state introdotte, pur in via transitoria, modifiche sostanziali all'ordinamento delle Regioni. Con l'elezione dei consigli regionali con metodo proporzionale e premio di maggioranza e con l'elezione diretta dei Presidenti delle giunte si è voluto mettere i consigli regionali di fronte ad fatto compiuto e si è voluto in qualche modo condizionare la scelta sulla forma di governo e sui sistemi elettorali delle regioni pur demandando tali questioni alle competenze degli attuali consigli che sono chiamati ad approvare entro questa legislatura nuovi Statuti e nuove leggi elettorali. Si è introdotto così un ibrido che modifica di fatto per le regioni la precedente forma di governo parlamentare, obbligandole ad una gestione difficile e controversa, introducendo una forma mezza presidenziale (per effetto dell'elezione diretta del presidente) ma senza veri nuovi poteri al Presidente, e mezza parlamentare ma con poteri di sfiducia solo nominali.
- A livello nazionale non c'è stata una modifica delle forma di governo ma solo modifica del sistema elettorale, sostituendo il proporzionale con il maggioritario ad un turno con quota proporzionale, partendo dal presupposto che il sistema maggioritario dia di per sé maggiori garanzie di stabilità del sistema proporzionale. Alla prova dei fatti si è dimostrato l'esatto contrario: questo sistema non ha garantito maggiore stabilità di governo e non ha ridotto il numero dei partiti, ha alimentato a dismisura i fenomeni di trasformismo parlamentare e ha rafforzato il peso delle oligarchie dei partiti nella predeterminazione delle candidature e degli eletti in parlamento riducendo il peso e le possibilità di scelta degli elettori.
Il primo grande errore commesso è stato quello di tenere separato il sistema elettorale dalla forma di governo che si voleva introdurre e da qua bisogna ripartire per mettere ordine in questa matassa ormai aggrovigliata.
Evitando la confusione introdotta in questi anni, si tratta di aprire ormai una vera e propria vertenza per la modifica delle leggi elettorali nazionale, regionale e locali, evitando la confusione introdotta in questi anni.
A livello nazionale non essendo del tutto in discussione la forma di governo parlamentare, cioè quella che si fonda sul rapporto di fiducia tra parlamento e capo del governo, bisogna introdurre per l'elezione del parlamento il sistema proporzionale corretto con quota di sbarramento al 4-5% scegliendo tra due possibilità: proporzionale classico per lista e voto di preferenza o il sistema misto di tipo tedesco (che loro chiamano persino "maggioritario personalizzato") nel quale metà dei parlamentari vengono eletti su collegio uninominale a maggioranza relativa, l'altra metà viene eletta su lista con sistema proporzionale, ma con la quota proporzionale, (che incide anche sulla parte uninominale), si determina la composizione dell'intero parlamento.
Bisogna prendere atto che nelle democrazie occidentali europee, al di là dell'Inghilterra che per altro sta passando dal maggioritario al proporzionale, tutti paesi adottano sistemi elettorali di tipo proporzionale ed hanno forma di governo di tipo parlamentare con o senza elezione diretta del Presidente della Repubblica (fatta eccezione del complicato sistema politico francese di tipo semipresidenziale da cui discende in parte anche il particolare sistema elettorale maggioritario a doppio turno che consente bipolarismo senza bisogno di ridurre al sistema politico al bipartitismo).
Per quanto riguarda le Regioni, se si vuole imparare dall'estero bisogna partire dalla considerazione di fondo che solo in casi rari i sistemi elettorali e le forme di governo degli Stati federati sono diversi dal sistema di governo ed elettorale dello stato federale In questo senso la prima scelta da compiere riguarda la conferma o meno dell'elezione diretta del Presidente delle giunta e il peso sostanziale che ad esso si intende attribuire (presidente eletto ma debole o presidente eletto ma forte) in rapporto alla forma di governo che per analogia con quella nazionale dovrebbe essere di tipo parlamentare.
Comunque, se la forma di governo è quella parlamentare, nella quale c'è forte rapporto tra legislativo ed esecutivo, tra Parlamento e Governo, sancito dall'esistenza formale del rapporto di fiducia, allora la via naturale è l'elezione proporzionale dei parlamenti regionali sullo stesso schema delineato per il quadro nazionale: proporzionale su lista con quota di sbarramento o proporzionale misto con quota di eletti sull'uninominale, tipo tedesco.
Attenzione: non è assolutamente vera la tesi secondo la quale le forme di governo parlamentari sono destinate alla paralisi, anzi essendo il governo espressione della maggioranza parlamentare può fare moltissimo, in qualche misura può fare persino troppo.
Se la forma scelta dovesse essere quella presidenziale, non bisogna fare confusione, i poteri tra legislativo ed esecutivo sono separati, non esiste il rapporto di fiducia, i membri del governo non sono consiglieri, il Presidente non ha potere di iniziativa legislativa, l'elezione del Presidente e quella del Consiglio sono fortemente separate (in alcuni casi vedi America persino temporalmente) e possono esistere (anzi è auspicabile) stante la netta separazione delle competenze, anche maggioranze diverse tra Parlamento ed esecutivo (vedi sempre America). Anche nel sistema presidenziale, come in quello parlamentare l'unica cosa che non si giustifica sono i cosiddetti premi di maggioranza che non hanno ne sostanza costituzionale né aiutano a rafforzare gli esecutivi.
Si apra infine il dibattito sul funzionamento dei comuni e delle province e sulla validità dei sistemi elettorali oggi in vigore per l'elezione dei sindaci, dei presidenti e dei rispettivi consigli e contemporaneamente quello sulla democrazia delle nostre istituzioni.