22.11.01 - LA REPUBBLICA - ARTICOLO - DEMOCRATICI DI SINISTRA A CHE PUNTO È LA NOTTE? - DI MICHELE SALVATI
22 novembre 2001
Erano tre i problemi espliciti sui quali si è svolto il lungo confronto conclusosi col congresso di Pesaro: il programma per il paese, l’identità del partito, le alleanze politiche. Per complicare le cose, al di sotto ce ne stava un quarto, non dichiarato ma non per questo meno importante: il problema D’Alema. Dopo quattro mesi di dibattiti, dopo un Congresso “vero” (e lo è stato), siamo più vicini ad una soluzione soddisfacente? Per i Ds e la sinistra, in primo luogo, ma soprattutto per garantire al paese un’opposizione efficace al centro-destra?
Partiamo dal programma, e anzitutto dal cuore del programma, dalle politiche economico-sociali. Sapevamo di avere due sinistre, una sinistra di governo e una antagonistica; adesso la sinistra di governo si divide abbastanza limpidamente in due riformismi, quello più tradizionale di Cofferati e quello più liberal di Fassino, con il pungolo di Morando (che ci stia a fare, a questo punto, il partito di Cossutta, proprio non si capisce). E’ lo stato di fatto che troviamo quasi ovunque nei socialismi europei ed è un buon passo verso il paese “normale” che sogna D’Alema. La distinzione tra i due riformismi è ancora un po’ sporcata da incoerenze Interne ai due schieramenti, soprattutto nel “correntone”: non vedo bene il mio amico MauroAgostini, eccellente capogruppo della commissione finanze nella passata legislatura, sotto l’egemonia ideologica della sinistra interna, E non son pochi quelli come lui. Ma, insomma, è pur sempre un passo avanti rispetto al congresso di Torino.
L’identità. Qui ci sono due questioni. La prima. La prima ha a che fare con la difficoltà di “vendere” una posizione come quella di Fassino. Di persuadere i giovani, i militanti, gli operai, le persone col cuore a sinistra - non solo i moderati e i realisti - che si tratta della migliore sinistra possibile:
una sinistra realistica, ma anche entusiasmante, con un grande disegno per il paese. Blair c’è riuscito, attraverso una rivoluzione ideologica vera, una spietata battaglia organizzativa e una efficace campagna mediatica. Ma non è facile: il
rischio di cadere in un modesto migliorismo, di non affrontare di petto i problemi per non urtare suscettibilità e mettere alla prova ll consenso ricevuto, è sempre incombente. La seconda questione è ancor più difficile. Blair è un laburista; Fassino e il gruppo dirigente che ha intorno (quasi) tutti ex-comunisti. Insieme alla revisone ideologico-culturale deve esserci anche una qualche forma di discontinuità organizzativa, immediatamente evidente, e a questo dovrebbe servire il passaggio verso un nuovo partito di socialismo europeo di cui Fassino parla nella sua relazione. L’esito in cui si è caduti con la”Cosa2” la cooptazione subordinata di pur apprezzabili individualità è un rischio sempre presente. Anche perché c’è un secondo processo che dovrebbe svolgersi simultaneamente quello di un forte irrobustimento della coalizione. Che cosa si fa? Ci si mobilita per il nuovo partito e insieme per la coalizione? Cioè per suscitare orgoglio per una identità ridefinita e, allo stesso tempo, per stemperarla nell’Ulivo? L’Ulivo, appunto. Come per la mamma o la Croce Rossa, nessuno è contro l’Ulivo, anche perché è evidente a tutti che con una coalizione non litigiosa, senza un messaggio semplice e un Candidato premier accettato - anzi, fortemente appoggiato - da tutti i partiti, contro Berlusceni non si vince. E chi doveva fare autocritica, l’ha fatta seriamente. Forse è mancato il senso d’urgenza e la convinzione che tutto, ma proprio tutto, dev’essere subordinato alla costruzione di una coalizione vincente. Credo però che peccati di egemonismo da parte dei Ds non ce ne saranno più, al di là di una leale difesa delle proprie idee, e questo è uno dei risultati più confortanti del congresso. Vedremo presto se alle parole (e alle sincere intenzioni) di oggi corrisponderanno i fatti: un Ulivo fatto di partiti, una casa di cui a differenza della Casa delle Libertà nessuno è il reale proprietario, è difficile da gestire, e la cooperazione è sempre a un passo dal trasformarsi in concorrenza.
Infine, il problema non esplicito: il ruolo di Massimo D’Alema. Questo problema ha avuto conseguenze significative sulla dislocazione delle forze in campo durante il congresso (senza di esso non si sarebbe formato il” correntone”) e avrà ripercussioni non piccole in futuro: democratici e popolari - forze essenziali per l’Ulivo - non dimenticano così facilmente i torti che ritengono di aver subito e Fassino farà più fatica ad affermare la sua leadership. Soprattutto noti. si capisce che posto resti libero per Giuliano Amato, il segno di discontinuità più forte e credibile che i Ds potrebbero inviare se volessero seriamente affrontare un nuovo - l’ultimo si spera - processo costituente. Data la decisione di D’Alema di fare solo mezzo passo indietro, dalla segreteria ma non dalla presidenza, e dati i rapporti di forza intemi al partito, meglio che le cose siano andate come sono andate: sarebbe stata una rottura difficilmente rimediabile se D’Alema non avesse ottenuto una maggioranza adeguata.
Riprendiamo la nostra domanda iniziale: con questo congresso, di quanto ci siamo avvicinati ad una soluzione delle difficoltà della sinistra (e del centro-sinistra)? La risposta è che ci siamo avvicinati, ma che la fine delle difficoltà non è ancora in vista. E’ la risposta della sentinella nella profezia di Isaia. “Una voce chiama da Seirin Edom: sentinella quanto durerà la notte? E la sentinella risponde: verrà il mattino, ma è ancor notte. Se volete domandare, tornate un’altra volta”.