21 aprile 2002 - Genova - 2° Congresso nazionale dei Socialisti Democratici Italiani - Conclusioni di Enrico Boselli
21 aprile 2002
Care compagne e cari compagni delegati, innanzitutto un grazie a tutti i compagni di Genova e della Liguria che ci hanno accolto con affetto in questa straordinaria città. Un ringraziamento altrettanto sincero ai giornalisti della carta stampata e della televisione che ci hanno seguito e ci stanno seguendo con un interesse che ci fa molto piacere anche perché colina un certo deficit di questi anni.
Un grazie a tutti voi delegati che avete preso la parola ed animato i venti congressi regionali ed infine partecipato a questi tre giorni con uno spirito aperto, sincero e con una grande voglia di unità ma non di unanimismo o peggio di conformismo. Noi non abbiamo bisogno di cortesie formali, abbiamo bisogno di un partito che dica apertamente’ e lealmente ciò che pensa anche quando questo può dispiacere a qualcuno.
Lo hanno fatto i compagni di molte regioni a cominciare dalla Lombardia; io li ringrazio, perché le critiche servono a capire gli errori che si fanno e a cambiare direzione.
Un augurio di buon lavoro ai compagni di Genova che fra circa un mese andranno, come tanti altri in molte città italiane, a rinnovare il consiglio comunale e ad eleggere il sindaco. Ad Arcangelo Merella che guiderà la nostra lista un “in bocca al lupo” e anche ovviamente a Giuseppe Pericu, candidato sindaco. I ringraziamenti non sono finiti... Un grazie anche a Giuliano Amato. Ieri ha svolto e non è la prima volta, un discorso molto importante. Questa è anche casa sua e mi fa piacere che ci abbia riconosciuto il sacrificio di questi otto anni, perché tanti sono gli anni trascorsi dalla fine del vecchio partito socialista italiano sino ad oggi.
E’ stato molto difficile, caro Giuliano fare i socialisti in questi otto anni. È stato molto difficile, soprattutto per chi non ha mai rinunciato a chiamarsi socialista, come noi, soprattutto per chi come noi, anzi come voi, non ha mai rinunciato a tenere alta la testa.
Un ringraziamento anche a Francesco Rutelli. Non sempre ci siamo sentiti in questi otto anni a casa perché nella nostra casa - nel centro sinistra, l’Ulivo - non sempre il buon agio c’è stato e sentirei dire, come ha detto ieri, “vi invito ad esistere...” - e io raddoppio, esistere, esistere e ancora esistere! - è stato un gesto molto importante riconosciuto dall’intero congresso con un applauso al leader dell’Ulivo.
Noi arriviamo a questo congresso dopo una sconfitta elettorale; sono assolutamente consapevole di questo - desidero che il congresso lo sappia - perché anche sulle mie spalle ricade la responsabilità di quel voto 13 maggio. È stata una sconfitta elettorale per l’Ulivo, ed una sconfitta elettorale perla coalizione del Girasole che noi avevamo messo in campo. Questa sconfitta si è fatta sentire nei mesi successivi nel partito. Sarei ipocrita se non vi dicessi che nei mesi immediatamente successivi, ho toccato con mano la delusione, l’amarezza, lo smarrimento di molte compagne e compagni, che non avevano capito le ragioni di questo nostro insuccesso. E si è creato un clima che noi abbiamo contrastato con una scelta giusta, con la convocazione del congresso. I compagni hanno cominciato per la prima volta ad interrogarsi sul futuro. Vedete compagni, noi abbiamo nel corso di questi otto anni, prima divisi, poi tutti insieme resistito in una condizione molto difficile. E non penso tanto al tema della diaspora, sì Ottaviano ne ha parlato giustamente, perché la diaspora dei gruppi dirigenti è venuta molto molto tempo dopo la diaspora degli elettori; questa è la drammatica novità della crisi socialista degli anni ‘90, che la rende completamente diversa dalle precedenti.
Il destino dei socialisti
In quelle divisioni a dividersi e a dividere il loro destino erano le classi dirigenti del partito. Agli inizi degli anni ‘90, gli elettori hanno diviso il destino dai socialisti e per questo che noi abbiamo sempre detto, nessuna delle crisi di questo lungo secolo è paragonabile ai drammatici mesi dei primi anni’90 anche se siamo riusciti in queste condizioni, per otto anni fino, a oggi a fare vivere una voce autonoma dei socialisti. Lo abbiamo fatto per una ragione certamente politica.
La passione politica ci ha animato tutti poiché’ ad essa noi abbiamo dedicato gran parte della nostra vita sottraendola molto spesso a tante altre cose: alla famiglia, agli affetti, al lavoro. Noi siamo riusciti a farlo per qualcosa di più rispetto al dovere politico. Lo abbiamo fatto per un dovere morale, ed è stata questa la ragione dell’incredibile tenacia per impedire che una delle più belle pagine della storia politica del Paese finisse nel fango.
Questa è stata la chiave del nostro esistere. Il congresso si è aperto con un bellissimo filmato. In quei tre minuti ci sono centodieci anni di storia. Noi abbiamo dedicato il nostro lavoro a questa storia ed è stata la ragione per la quale siamo ancora tutti qui.
Voi dovete essere orgogliosi di quello che avete fatto, dovete provare orgoglio come lo sto provando io questa mattina perché non era assolutamente scontato questo risultato.
Allora interroghiamoci sulla nostra missione, ragioniamo sull’obiettivo di questa missione e cerchiamo di capire se questa missione è finita o no. Io lo dico con sincerità, e lo dice uno che penso tra tutti voi ha sempre difeso con le unghie e con i denti, la storia, il passato, ho sempre rigettato l’idea che di questi anni, come ha ricordato bene Ugo Intini, si è voluta dare, Ma io non ho mai pensato - lo dico
con sincerità - che la nostra missione fosse quella di rifare il Psi uguale e identico a prima, perché sono trascorsi trent’anni e in questi trent’anni l’Italia è profondamente cambiata. Se a tanti giovani noi oggi dovessimo chiedere che cosa accadeva nei mesi del 1976 in quell’albergo romano il Midas penso che molti non sarebbero in grado di risponderci.
La nostra missione è sempre stata un’altra: salvare questo germoglio socialista che rischiava di morire nel grande gelo degli anni ‘90 e trasmetterlo con i suoi principi, i suoi valori, la sua storia, ad una grande pianta in grado di dare nuovi frutti; per questo abbiamo combattuto otto anni.
Voi mi avete chiesto - anzi insieme ci siamo chiesti - la missione dunque è finita? Io credo di no; guardate lo dico con un tono di voce che corrisponde al mio sentimento, purtroppo questa missione non è finita, perché io penso che sarà un bel giorno, quello in cui noi nusciremo a far sì che questo nuovo germoglio socialista fiorisca in una nuova e grande pianta.
Ma io non credo che sia arrivato ancora questo giorno, che la nostra missione si sia conclusa, e che si sia conclusa la nostra e vostra fatica.
È vero, ho .immaginato questo congresso come una novità. Se voi vi ricordate all’Assemblea Costituente di Fiuggi - un compagno, un militante di una bella Federazione del Mezzogiorno, disse: “Noi avremo superato la crisi, quando la più grande parte del tempo che dedicheremo al nostro dibattito , non sarà dedicato a discutere del passato, di come siamo stati, di cosa abbiamo fatto, dei torti che abbiamo subito, delle responsabilità, ma quando saremo in grado in un congresso di discutere del futuro”.
Ecco in questi tre giorni, ve ne siete accorti tutti, abbiamo discusso del futuro, del nostro futuro, del futuro della sinistra italiana, dell’Ulivo, e del futuro del Paese.
È una grande conquista, che dobbiamo a tutti noi ed anche alla nostra tenacia, ed è anche, visto che siamo tornati a Genova tanto tempo dopo, una dimostrazione della g vitalità del socialismo italiano; la capacità del nostro movimento di adattarsi ai tempi.
Riformismo-massimalismo
Il congresso ha affrontato alcuni punti di grande importanza. È vero, ha detto Amato, è possibile fare un parallelo fra il 1892 ed oggi. Anche allora i socialisti combattevano con le armi della politica, la lunga stagione dello scontro fra riformismo e massimalismo, che ha sempre contraddistinto la nostra storia in Italia, perché il riformismo in Italia ha sempre avuto vita difficile, e in molti casi nel partito socialista - non dimentichiamocelo - finì ed ha finito col prevalere la corrente massimalista non quella riformista. Oggi si può fare un parallelo perché anche ora il centro sinistra è di fronte, ad un anno dalla sconfitta elettorale, al dilemma su quale strada imboccare; è vero non è un paragone sbagliato, sono cambiate tante cose, più di un secolo è trascorso, ma- ancora oggi il dilemma c’è. Vedete, io penso che la differenza tra riformismo e massimalismo non è sul tono della voce o sul grado di aggressività: i riformisti conducono e devono condurre battaglie severe, dure, nette nei confronti di questo governo - di centro destra. Non è su questo che si misura il nostro essere gradualisti. Il punto è un altro: se l’opposizione al governo del avviene combattendo battaglie riformiste e liberali, oppure se si imboccano scontri e battaglie che non ci appartengono.
Le battaglie per difendere la scuola pubblica, il sistema sanitario pubblico, per difendere il diritto al lavoro, che è anche nell’articolo 18 dello Statuto, per difendere il pluralismo informativo, sono tutte nella storia di un riformismo solidale, moderno, liberale e di libertà.
Nella mia relazione non ci sta invece questa ventata giustizialista da cui dobbiamo liberarci. Dobbiamo liberarci da un decennio nero, buio, triste, della vita pubblica del nostro Paese.
Il secondo punto che abbiamo affrontato ha riguardato diciamo la geografia politica con cui il centro sinistra pensa di affrontare questo lungo cammino di oltre quattro anni, sino al prossimo appuntamento elettorale.
L’idea che noi ci siamo fatti è semplice e lo dico con grande rispetto:
non penso che possiamo discutere di questi argomenti senza rispetto verso gli altri, quello che noi chiediamo per noi stessi.
Penso che i Democratici di sinistra
- un grande partito - eredi anch’essi di una tradizione importante per la vita democratica italiana; e dall’altra parte la Margherita, non siano in grado da soli, e soprattutto nelle condizioni in cui si trovano di mettere in circuito tutte le energie di cui l’Ulivo ha bisogno per poter immaginare e pensare di vincere la prossima campagna elettorale. Questo è il punto: l’equilibrio in cui si trova il centro sinistra è precario, perché il bipolarismo Ds Margherita ci ha fatto rischiare soltanto qualche mese fa, il collasso con lo scontro sulla leadership e il doppio incarico. E dall’altra parte il bipolarismo fra Ds e Margherita non è in grado di rappresentare una vocazione maggioritaria che l’Ulivo deve avere per poter vincere la partita elettorale. E dentro a questo le condizioni della sinistra riformista - lo ha detto Villetti, giustamente - sono se è possibile ancora più gravi.
Vedete, ogni tanto qualcuno sorride quando noi parliamo di questo. Purtroppo i risultati elettorali valgono sia per noi che per gli altri e valgono per tutti. Nel 1992 la sinistra italiana tutta insieme superava abbondantemente il quaranta per cento dei voti. Sono trascorsi dieci anni e nelle ultime elezioni di maggio la sinistra riformista non arriva al venti per cento dei voti, e mettendo insieme anche quella parte antagonista, si arriva al venticinque per cento. In dieci anni abbiamo perso metà dei nostri elettori. Questa è la dura lezione che ci viene dal 13 di maggio e noi abbiamo il dovere, prima di altri, di prenderne atto e di capire come mettere rimedio ad un declino che rischia di cancellare le tracce della sinistra riformista dalla vita italiana.
Milano, che è stata per decine e decine di anni dopo la ricostruzione la capitale morale del riformismo, è ridotta nelle condizioni che conosciamo; quando le va bene, elegge un sindaco del Polo, quando le va male elegge un sindaco leghista. Questa è la realtà con la quale oggi facciamo in conti. Allora, occorre prendere un’iniziativa che sia forte e che parte dalla consapevolezza che una nuova grande forza riformista in Italia, non può nascere dalla pura e semplice unità della sinistra storica, perché si tratta in effetti di due debolezze. Oggi noi e i Ds rappresentiamo per tante ragioni due debolezze:
una più grande e una meno grande ma questa è la realtà. E immaginare che solo dal ceppo della sinistra storica italiana, possa nascere una grande forza riformista, è un errore. Noi dobbiamo avere il coraggio di allargare i confini in tutte le direzioni, nelle direzioni in cui abbiamo discusso in questi tre giorni e anche nelle direzioni che ci sono state indicate. La casa dei riformisti deve diventare questo, e nel suo orizzonte di fronte ad un bipolarismo europeo che non lascia molti margini, deve incontrare ad un certo punto la grande storia del riformismo socialista europeo.
Il problema è che il partito del socialismo europeo, come ha fatto l’Internazionale negli anni che abbiamo alle spalle, capisca in fretta e cambi; che sia in grado di accogliere queste altre tradizioni, questi riformismi diversi che sì incontrano con noi oggi, di fronte alla scelta conservatrice dell’altra grande famiglia rappresentata dal Partito Popolare Europeo.
Questo deve essere l’obbiettivo, non quello di cancellare la prospettiva di una grande forza socialdemocratica in Italia, ma di farla vivere e di. renderla concreta. Questa è la via con la quale una grande forza socialdemocratica in Italia può crescere. Molti compagni hanno detto: “Ma tra questo obbiettivo e i prossimi mesi che c’è in mezzo?”.
Da opposizione a proposta
Questo problema riguarda innanzitutto il Parlamento, perché dobbiamo essere consapevoli che il Parlamento diventa il luogo nel quale la nostra opposizione si trasforma in una proposta politica e programmatica di governo, ed è inconcepibile che a undici mesi dal voto politico, di fronte ad un risultato elettorale - come ha ricordato Rutelli -che ha visto l’Ulivo prendere quasi quattro milioni di voti in più, rispetto alla somma dei partiti de1 centro sinistra, in Parlamento questo stesso Ulivo non sia in grado di parlare con un’unica voce, nei momenti fondamentali della battaglia parlamentare, quando sono in gioco le grandi questioni.
Noi abbiamo sostenuto in questa settimane l’iniziativa di quel gruppo di deputati, di senatori, che ha preso il nome dall’albergo Artemide in cui si riunì la prima volta. Abbiamo sperato e condiviso l’idea di dare all’Ulivo gruppi federati in Parlamento; da molti mesi aspettiamo - vista che questa prospettiva dei gruppi federati non è all’ordine del giorno - che almeno i deputati e i senatori con un voto segreto eleggano i propri portavoce. Lo aspettiamo da sette mesi. Io mi auguro che domani l’incontro che ci sarà con Francesco Rutelli e Piero Fassino, apra questa possibilità.
Se questo non accadrà e se verrà presa un’iniziativa parlamentare di fronte al silenzio delle forze politiche principali, noi diciamo sin d’ora che la sosterremo e vi parteciperanno tutti i nostri deputati e senatori, perché c’è bisogno di questo per dare all’Ulivo forza nelle difficili battaglie parlamentari che verranno.
Noi non abbiamo intenzione di mettere il cappello su questa iniziativa. Per questo dico che se un’iniziativa verrà presa, come immagino e penso, noi la sosterremo e vi parteciperemo.
Infine il partito.
Voi sapete che io ho sempre dedicato all’organizzazione del nostro partito molto impegno, forse è la cosa che mi riesce meglio, lo dico con molta sincerità.., d’altra parte non ho vinto un concorso per fare il presidente del partito, l'ho fatto perché ero rimasto l’ultimo e forse l’unico.... Noi lavoriamo perché il nostro partito mantenga viva la propria capacità di iniziativa e superi la crisi che si è aperta dopo la sconfitta elettorale perché c’è bisogno di una forza socialista viva in grado di dare a questi processi politici, che abbiamo indicato anche in questo Congresso, spinta e impulso.
Non considerate la vita del partito, la sua organizzazione, il suo lavoro, come qualcosa di poco importante o poco influente; siamo riusciti a sopravvivere in questi otto anni anche perché abbiamo mantenuta viva questa grande rete di migliaia e migliaia di donne e uomini socialisti in ogni angolo d’Italia. In ogni comune, in ogni città, in ogni luogo di lavoro, c‘è il socialista che non ha rinunciato a chiamarsi tale. Qui c’è il segreto della nostra unità e c’è anche il segreto della nostra fierezza. Il nuovo gruppo dirigente deve saperlo e capirlo, deve innanzitutto capire che c'è un problema di allargamento, di apertura; ci sono energie disponibili in tutto il partito, in ogni regione che chiedono solo di impegnarsi accanto a noi, in questo lavoro.
Penso che il congresso, da questo punto di vista, abbia dato un buon contributo, abbia reso un servizio alla nostra missione, al nostro ideale. Abbiamo dato al nostro lavoro, ai sacrifici compiuti, una prospettiva politica; io di questo vi ringrazio e vi ringrazio per quello che avete fatto in questo lungo cammino per il socialismo democratico italiano. Vi ringrazio anche per quello che farete nei prossimi mesi. Non sarà facile e non sarà semplice ma ad aiutarci sarà l’orgoglio di sempre. Grazie.