20.10.1999 - MARKETING E POLITICA. Roberto Biscardini, Business Comunications, Milano
01 gennaio 2000
Ho letto con curiosità l’articolo di Giorgio Mameli pubblicato sul numero 22 della vostra rivista confessando da subito che l’interesse dell’argomento è riuscito a superare la difficoltà incontrata per la lunghezza dell’articolo. Ma si sa, è un vizio o un pregio della politica andare alla ricerca della sintesi.
Da segretario regionale dei Socialisti Democratici Italiani, da anni in crisi di visibilità, mi pongo da tempo la domanda se le nostre iniziative non fanno comunicazione per ragioni intrinseche o se è la comunicazione che non trova o non vuole trovare nei socialisti alcun appeal significativo indipendentemente dalle nostre iniziative e dalle nostre proposte. Il saggio di Mameli offre certamente alcune risposte e consigli positivi per come attrezzarsi meglio e di questo sono certamente interessato.
Primo, è sufficientemente chiaro il concetto che la comunicazione non rappresenta più “un fatto a se stante ed isolato” dalla politica e “non può più essere ritenuta e gestita come componente altra e separata e dubitabile della politica”. Ciò impone ai partiti un atteggiamento diverso dal passato e pone ai partiti ed ai candidati un salto di qualità nell’organizzare un proprio “servizio” di comunicazione articolato per mezzi differenziati, mettendo in conto che questo servizio diventi una vera e propria voce di bilancio tra le proprie spese programmate.
Secondo, questa nuova predisposizione apre una serie di altri problemi a partire da quello principale che riguarda il finanziamento della politica nel suo complesso e quanto questa voce di bilancio debba pesare rispetto all’ammontare complessivo delle spese di un partito o di un candidato.
Ma ci sono le logiche del mercato e partendo dal presupposto che non tutti i partiti possono spendere come il partito più ricco, la questione è come stare nella concorrenza con il più forte a parità di budget molto più contenuti. E’ anche il nostro caso! Ciò richiederebbe al sistema della comunicazione una forte capacità creativa e quindi anche la capacità di ottenere risultati di visibilità e comunicatività attraverso mezzi ad “ampio spettro di audience” ma non necessariamente costosi e massmediologici. Dal vostro punto di vista capisco che sia sbagliato considerare un partito o un candidato un prodotto molto diverso da un normale dentifricio, ma considero importante per l’elettore avere anche una cornice di informazioni di merito maggiore di quella che solitamente viene dedicata alla campagna promozionale di un qualsiasi altro prodotto. Il rapporto fra eletto ed elettore o tra partito ed elettori non èun rapporto facilmente semplificabile, né condivido appieno la tesi secondo la quale gli elettori scelgano oramai solo su base pragmatica e per quel partito che si identifica con la questione che a loro sta più a cuore. Questa condizione è certamente necessaria, ma non è certamente sufficiente, penso che per un elettore predisposto a votare per un partito o per un candidato che già conoscono sia determinante l’identificazione con alcuni fondamenti e “gli umori del momento” pesino molto meno che non per un elettore predisposto a votare per una nuova formazione.
Ho sempre considerato il voto anche parte di un comportamento irrazionale che non trova giustificazione soltanto nella logica utilitarista e di affermazione degli interessi, come peraltro dal vostro articolo appare chiaro. Il problema è invece conoscere quanto pesino i sentimenti rispetto alle attese di vedere col voto risolvibili alcuni problemi concreti.
Dall’esperienza personale potrei dedurre che la stima per la persona, per esempio, così come la conoscenza del candidato possa avere un peso ben maggiore rispetto alla certezza che quel candidato possa risolvere problemi attraverso l’azione di governo. E’ naturale una tendenza dell’elettorato a votare per il più forte, ma dentro delle aree specifiche, di nicchia, di lobbies o persino culturali e politiche, è pensabile che un elettore voti con convinzione anche per un partito o un candidato destinato a svolgere ruoli di minoranza rispetto agli esecutivi.
Rimane un nodo: quanto la comunicazione riesca a vendere, al di là di tutte le analisi sul comportamento degli elettori, prodotti dequalificati e quanto in virtù di una potente comunicazione si possa orientare un voto indipendentemente dalla storia del partito politico, della bontà del candidato, dell’attendibilità dei programmi e della capacità e della possibilità dell’elettore di riconoscersi in un soggetto in grado di risolvere problemi. Non a caso prevale sempre di più, e prevarrà sempre di più se si afferma il sistema bipolare, una tendenza che si manifesta attraverso un voto contro qualcosa, piuttosto che a favore di un partito e di un candidato. (Per la verità l’esistenza nel nostro Paese di diversi sistemi elettorali obbliga anche la comunicazione a programmi differenziati per il sostegno del medesimo partito). Per ritornare al bipolarismo ne consegne paradossalmente, come è già nelle cose, una comunicazione più contro gli avversari che a favore dei partiti e dei candidati a se più vicini. Una sorta di voto per differenza. Un costume negativo che mi sembra peraltro già fortemente entrato nella prassi della comunicazione politica e nei massmedia.