19 ottobre 2002 - PROTESTA POLITICA PUNTO E A CAPO - di Pietro Ichino
19 ottobre 2002
Anche molti dei lavoratori che hanno aderito ieri allo sciopero generale proclamato dalla Cgil - persone di sinistra, che non amano per nulla il governo in carica - percepivano che qualche cosa non stava andando per il verso giusto, e non soltanto per l'impatto sull'opinione pubblica dell'ennesima paralisi inflitta al Paese. Lo sciopero di ieri era stato dichiarato, prima dell'estate, come sciopero di tipo, per così dire, politico-sindacale: in opposizione al «Patto per l'Italia» firmato da Cisl e Uil e ai disegni di legge attuativi di quell'accordo; ma nel volgere di poche settimane lo sciopero aveva assunto una connotazione puramente politica: di sindacale era rimasto ben poco. Accantonato per ora dal governo l' intervento sull'articolo 18 in materia di licenziamenti (snobbato, per la sua pochezza, persino dalla Confindustria), non bastava certo la parte residua del disegno di legge sul mercato del lavoro in discussione in Parlamento a costituire motivo per un'astensione generale di un'intera giornata. E infatti l'iniziativa si è trasformata dichiaratamente in un atto di opposizione al governo, alla legge finanziaria, ai provvedimenti su giustizia, scuola e informazione. Con la Cgil che è parsa proporsi come la sola guida efficace dell'opposizione, capace di unirla e condurla al successo; anche al costo di scavare un solco profondissimo tra sé e le altre due confederazioni maggiori, quasi fossero inservibili, almeno a breve e medio termine, per la difesa degli interessi dei lavoratori e del Paese. E anche al costo di squalificare le forze politiche di centrosinistra - Margherita e parte consistente dei Ds - che, nonostante il «Patto per l'Italia», conservano con Cisl e Uil dialogo e legami. Come dire: «Quelli, se si perdono per strada, per l'opposizione è solo un guadagno». Ieri erano in molti, tra gli scioperanti, a non pensarla affatto così. Non la pensava sicuramente così, tra gli altri, Guglielmo Epifani. Il quale, insediato al vertice della Cgil alla fine di settembre, non poteva certo disattivare in quattro e quattr'otto la «macchina da guerra» montata nell'ultimo anno da Sergio Cofferati. Poteva però incominciare a porre le basi per una nuova stagione del movimento sindacale; ed è quello che in questi giorni Epifani ha fatto, in modo discreto, prudente, ma inequivocabile. Pur confermando i motivi di grave preoccupazione e di dissenso netto rispetto alle scelte del governo, nell'ultima settimana il segretario della Cgil non ha perso occasione per indicare i campi nei quali le tre confederazioni possono e devono tornare a cooperare. Tra questi, in particolare, quello della costruzione di un nuovo sistema di rappresentanza dei lavoratori: un sistema nel quale possano anche manifestarsi dissensi netti tra le associazioni sindacali, componibili però sulla base di quel minimo di mutuo rispetto e di unità d'intenti, che consiste nell'impegnarsi reciprocamente a rispettare le decisioni di chi sarà stato investito del consenso d ella maggioranza dei lavoratori. E proprio su questo terreno, già nei giorni scorsi, si sono incominciate a registrare - persino su l'Unità - alcune significative aperture, sia da una parte della Cisl, sia dal vertice della Uil. Se le risposte positive dall'interno di Cisl e Uil aumenteranno, è possibile che nella Cgil questa nuova linea, più moderata, si consolidi e si apra davvero una diversa stagione per il movimento sindacale. Non necessariamente quella della ritrovata unità, ma almeno una stagione nella quale prevalga l'interesse comune delle confederazioni maggiori a costruire un sistema di relazioni industriali moderno, pragmatico e capace di vera autonomia dal sistema politico. Capace insomma di fare il proprio mestiere, e non quello altrui. Il Paese, che anche ieri si è fermato, farebbe un passo avanti.
Corriere della Sera