17 luglio 2002 - Popper cent'anni di solitudine - A un secolo dalla nascita, il filosofo della "Società aperta" ha sconfitto i suoi critici - a cura di Dario ANTISERI
17 luglio 2002
Quando, dopo vane peregrinazioni presso varie case editrici, presentai all’Editore Armando i due volumi di "The open society and its enemies", costui, per porre fine alle mie insistenze, telefonò me presente al filosofo italiano allora più prestigioso, il quale emise la seguente sentenza: «Cosa vuoi, Armando; Popper è un pover’uomo e Antiseri è un ragazzo entusiasta». E così dovettero passare lunghi anni perché Armando prendesse il coraggio a quattro mani e si decidesse a pubblicare l’opera politica di Popper. «Sì e no - confidò Armando a Salvatore Valitutti - se ne venderanno cento copie».
Nel dicembre del 1973 esce, comunque, il primo dei due volumi de La società aperta e i suoi nemici, vale a dire Platone totalitario; e nel gennaio del 1974 il secondo: Hegele e Marx falsi profeti. Ebbene, l’edizione italiana di quest’opera venne considerata dagli intellettuali nostrani di sinistra un atto di “lesa Verita” e dì “lesa Giustizia”. Su «Rinascita» (37, 1974) l’autore de La società aperta venne, subito qualificato come «un dilettante» che «diffonde uno sfiduciato irrazionalismo». Popper, è «un maccartista»: questo veniva fatto presente su «Critica marxista» (4 1977), dove, ancora cinque anni dopo, qualcun altro annotava: «[...] il modello della società aperta si rivela [...] una combinazione irrazionale tra fideisti che assunzioni metafisiche - epistemologiche ed etico-politiche - e incoerenti e/o irrilevanti correlazioni analogiche».
Marxisti ostili, liberali crociani diffidenti. «Razionalismo critico, malattia intellettuale», questo il titolo di un intervento di Antonio Negri su «Il Settimanale». E Rosario Romeo precisava: «Farebbe un assai cattivo affare» chi pensasse di scambiare con quella di Popper la nostra tradizione liberale, «la tradizione storicista illustrata da Benedetto Croce». Più sfumata, ma non molto dissimile da quella di Romeo: la posizione di Renzo De Felice Mentre un altro crociano, Alfredo Parente asseriva con molta sicurezza che sostenere, come fa Popper, che «la conoscenza scientifica non è se non congetturale e ipotetica equivale ad una negazione della conoscenza». E concludeva: «Popper non ha capito niente».
Marxisti ostili; liberali crociani; diffidenti; cattolici sostanzialmente indifferenti, ma con una vistosa eccezione: «L’Osservatore romano», che all’opera epistemologica e soprattutto politica di Popper dedicava in quegli anni tutta una serie di commenti favorevoli e un'attenzione che Popper gradì molto, come mi fece sapere in una lettera speditami da Penn il 4 febbraio del 1973. E, a proposito di lettere, nell’ultima che egli mi inviò il 25 luglio del 1994, dunque poche settimane prima della sua morte, esprimeva viva soddisfazione per il successo che stava avendo la versione russa (1992) de La società aperta e i suoi nemici.
La storia della ricezione del pensiero politico di Popper in Italia non si riduce, ovviamente, a quanto sopra si è fatto cenno.
Le ragioni epistemologiche, logiche ed economiche della libertà poste in evidenza da Popper vennero infatti ben comprese e difese dai "laici" come Barone, Pera, Petroni, Cubeddu, Pellicani, dai “crociani” Cotroneo e Brescia, da “cattolici” come Baldini, Todisco, Infantino e Bellino. E’ una storia passata. Sono ormai lontanissimi gli anni in cui uno studioso del valore di Giulio Preti definiva Popper «un neopositivista deteriore» e lontani gli anni in cui Ludovico Geymonat si dichiarava sorpreso nel constatare che alcuni pensatori prossimi al marxismo «dimostrassero tanta simpatia» per il pensiero di Popper.
Certo, la liberazione dall’ergastolo del dogmatismo non è sempre facile. Ma, in ogni caso, lo scardinamento del dogmatismo epistemologico è il primo presupposto dello scardinamento del dogmatismo ideologico.
Una “mente aperta” quale presupposto della “società aperta”.
E’ qui che troviamo il senso profondo dell’opera di Popper. «Razionale è una persona a cui importa più di imparare che di aver ragione». E razionale è «l’atteggiamento di chi è disposto ad ammettere che «io posso aver torto e tu puoi aver ragione, ma per mezzo di uno sforzo comune possiamo avvicinarci alla verità».
Corriere della Sera