16 gennaio 2010 - L’INTRODUZIONE DI UGO INTINI AL CONVEGNO "DALLE RIFORME ALLE RIFORME. IL FUTURO

16 gennaio 2010

Oggi leggerò. Per l’emozione che mi provoca il tema di Craxi. E anche per
misurare le parole. Per una esigenza di equilibrio. Perchè tutti ormai dobbiamo
fare un grande sforzo di moderazione,per ricostruire una storia condivisa
dell’Italia. Diciamo la verità. L’Italia è l’unico grande Paese che non ha una
storia condivisa. Non ha mai rimarginato la ferita della guerra civile 1943-45.
Lo shock di Mani Pulite,e della caduta della prima Repubblica,si ripropone in
continuo,come è accaduto in questi giorni con la polemica su Craxi. La divisione
è andata estendendosi addirittura alle radici dello Stato nazionale,perché la
Lega contesta lo stesso Risorgimento e l’unità d’Italia. Ogni passaggio cruciale
della nostra storia costituisce ormai un trauma irrisolto,trasformando la vita
politica in una guerra civile strisciante. Alimentata da chi,per mancanza di
idee e di cultura politica, vive soltanto su di essa. Questa guerra civile deve
finire,perché non c’è futuro senza una radice comune,senza il supporto di un
passato unificante e condiviso. E’ il tema del mio ultimo libro.
Partendo dunque dalle radici,quelle di Craxi hanno sempre guidato tutta la sua
vita politica. Il padre fu un capo della Resistenza,vice prefetto dopo la
Liberazione a Milano,fedelissimo di Pietro Nenni e del suo socialismo
autonomista. Fedelissimo esattamente come Craxi,che seguì Nenni nella buona e
nella cattiva sorte. Ricambiato da altrettanto affetto. In una notte del
dicembre 1979,mentre il segretario Craxi rischiava di essere messo in minoranza
dalla direzione del PSI,nel pieno di un attacco mediatico e scandalistico al
quale ne sarebbero seguiti molti altri,Nenni,ormai vecchio,andò stremato a
dormire. Ma prima di sparire nell’ascensore gli disse:”ricordati,se hai bisogno
del mio voto chiamami a qualunque ora e torno”. Furono le sue ultime parole in
pubblico. Perché morì a casa sua pochi giorni dopo. Questa foto ha un valore
profondo.
Appena diventato segretario del partito, Craxi innanzitutto pose le basi
teoriche del nuovo corso. Ruppe clamorosamente nel 1978 con l’ideologia marxista
leninista in nome non solo di un socialismo democratico,ma di un socialismo
liberale,aperto ai principi del libero mercato e dell’efficienza. Questa idea di
socialismo liberale, che i socialisti italiani sostennero persino prima degli
altri,influenzò profondamente i compagni spagnoli e portoghesi,da poco ritornati
alla libertà,e in grado di leggere l’italiano.
Era un socialista liberale,Craxi. Ma non liberista. Distantissimo dalla nuova
ideologia thatcheriana e reaganiana del libero mercato assoluto, senza freni,che
avrebbe portato all’attuale disastro economico mondiale. E che una sinistra ex
comunista e neofita dell’Occidente ha accettato in Italia senza spirito critico.
Il nuovo corso socialista sfidò l’egemonia culturale comunista(consolidata negli
anni ’70)con una grande battaglia delle idee. Trasformando Mondoperaio e
l’Avanti! in laboratori culturali. Portando per la prima volta nella Assemblea
Nazionale socialista,accanto agli uomini di partito,intellettuali e tecnici:da
Franco Rosi a Lina Wertmuller,da Sergio Zavoli a Mario Soldati,da Francesco
Alberoni a Paolo Portoghesi,da Umberto Veronesi ai tecnici condotti poi a fare i
ministri,come Antonio Ruberti,o Renato Ruggero.
Per i maestri di Craxi,prima della politica veniva l’elaborazione culturale. E
prima veniva,soprattutto per Nenni,il contesto internazionale.
Quando il termine socialdemocratico suonava ancora come una eresia nella
sinistra(e non soltanto nel PCI),Craxi ancorò innanzitutto saldamente il PSI
all’Internazionale socialista e al socialismo europeo, diventandone uno dei
leader riconosciuti. Con Brandt,Schmidt,Palme,Mitterrand,Gonzales,Soares. Tutti
insieme ebbero un ruolo decisivo nel porre le basi dell’attuale Unione europea.
E Craxi ebbe personalmente,come presidente di turno,l’opportunità di lasciare
una impronta nella storia. Nel 1985,quando,al vertice di Milano,isolando la
euroscettica Thatcher,impose il voto a maggioranza per passare al Mercato Unico.
Una forzatura coraggiosa che però i conservatori britannici e i loro giornali,a
cominciare dall’Economist, non gli hanno mai perdonato. Un passo decisivo verso
la realizzazione di un sogno che fu di quanti passarono alla storia come padri
fondatori al tempo stesso dell’Europa e dei partiti democristiani e socialisti
dell’Europa. Come Adenauer e De Gasperi. Come Henry Spaak, Brandt,Nenni e,prima
ancora,Turati,il quale,nel 1929,scriveva al leader socialista
britannico:”abbiamo bisogno degli Stati Uniti d’Europa,altrimenti diventeremo
una colonia di quella nostra ex colonia di un tempo,gli Stati Uniti
d’America”.1929!L’Europa,ricordiamolo,è stata fatta dai Partiti con la P
maiuscola,non dalla antipartitocrazia.
Un’altra impronta Craxi la lasciò quando,sfidando la piazza e i milioni di
manifestanti pacifisti(una campagna di odio,oggi si direbbe)trasse sino in fondo
le conseguenze della scelta Atlantica e consentì il dispiegamento dei missili
Pershing e Cruise per bilanciare gli SS-20 puntati dall’URSS contro
l’Europa,allo scopo di intimidirla e separarla dagli Stati Uniti. Molti anni
dopo,l’allora segretario di Stato americano Brezinski mi disse in sostanza.
L’Italia era l’anello debole dell’Europa,per la presenza dei comunisti, del
pacifismo cattolico e di una grande industria economicamente legata a Mosca,a
cominciare dalla Fiat(Togliattigrad). Se il partito socialista non si fosse
impegnato con coraggio,l’Italia non avrebbe installato i missili. Se l’Italia
non lo avesse fatto,la Germania,e quindi l’Europa si sarebbero tirati
indietro(come preannunciato dal cancelliere Schmidt). Se l’Europa non avesse
installato i missili,la guerra fredda tra Est e Ovest,combattuta a tavolino da
decenni e giunta alla mossa finale,sarebbe stata non vinta,ma persa
dall’Occidente. E’ così. Le circostanze hanno voluto che un piccolo partito
italiano abbia avuto un ruolo storico decisivo.
Craxi portò sino in fondo la scelta Atlantica,si,ma difendendo nel contempo la
autonomia e la sovranità nazionale italiana anche nei confronti dell’alleato
americano(talvolta un alleato imperiale). Come indica la fermezza verso i
marines di Reagan a Sigonella(anch’essa,forse,mai perdonata in alcuni ambienti
americani militari e dell’intelligence).
Per la prima volta a sinistra,manifestò una solidarietà verso i perseguitati
dalla tirannia non a senso unico. Non solo a Ovest(come usava fare il PCI)ma
anche a Est. Aiutò gli oppositori e gli esuli cileni,greci,portoghesi(e
palestinesi,pur nel rispetto dei diritti di Israele). Ma anche quelli russi e
dell’Europa orientale. Sino a fare eleggere parlamentare europeo Jiri Pelikan,
simbolo della primavera di Praga.
Craxi sfidò la piazza,e una campagna di odio,per i missili,ma(e qui veniamo alla
politica interna) anche per la riforma della scala mobile. Che lo portò ad
affrontare nel 1985 il rischio mortale di un referendum. Vincendolo,spezzò un
circolo vizioso tra caro vita e aumenti salariali nato da un accordo tra un
sindacato a egemonia comunista e la Confindustria di Gianni Agnelli. Tra il 1984
e il 1987 ridusse così l’inflazione dal 16 al 6 per cento,mentre nel contempo
l’economia italiana cresceva a tassi superiori alla media degli altri Paesi
industriali. Ma segnò anche una svolta politica. Era finita l’epoca del
sindacato cinghia di trasmissione(secondo la teoria comunista)della volontà del
partito. Era finito il consociativismo,finita la possibilità per il PCI di
esercitare,attraverso il sindacato,un diritto di veto sulle scelte economiche
dei governi. Tutto ciò,però,nel rispetto del ruolo dei sindacati,sempre
considerati da Craxi non un ostacolo,ma una grande risorsa per il Paese.
Craxi fece eleggere alla Camera a Milano Loris Fortuna,il padre della
legislazione sul divorzio e sull’aborto. Lo appoggiò in modo determinante in
tutte le sue battaglie laiche e libertarie,che contribuirono a rinnovare il
costume,lo portò a fare il ministro. Ma lasciò grande spazio ai cattolici nel
partito socialista e come presidente del Consiglio perseguì il nuovo Concordato
con la Santa Sede,che ebbe l’onore di firmare solennemente nel 1984.
Recuperò per i socialisti e per la sinistra la tradizione risorgimentale che si
era perduta. Il termine “patria” riacquistò per noi il suo significato
profondo,con la musica di“viva l’Italia” di De Gregori ai congressi e con lo
slogan del “socialismo tricolore”. In sintonia profonda con il presidente
Pertini,che contribuì a portare al Quirinale e che poi ebbe a sua volta un
ruolo decisivo nel portare Craxi stesso a palazzo Chigi. In questo contesto
tricolore si iscrive l’operazione mediatica e simbolica realizzata riaccendendo
il mito di Garibaldi.
Figlio della resistenza e dell’antifascismo,immaginò sotto il tricolore un
percorso di pacificazione nazionale,che superasse uno dei traumi ricordati
all’inizio,quello della guerra civile. Per la prima volta,mandò perciò una
delegazione socialista al congresso del MSI di Almirante,perseguendo( una
intuizione che oggi si dimostra lungimirante)il processo di integrazione nella
democrazia di quanti militarono in buona fede dalla parte sbagliata della
storia.
Condusse una battaglia isolata,controcorrente(non certo la sola) per
cercare,durante il sequestro Moro,una via umanitaria per la sua liberazione,in
alternativa alla linea cosiddetta della fermezza. Non mi permetto di dare
giudizi su posizioni tutte rispettabili,comprensibili e basate su ragioni
solide. Non so se Moro potesse essere salvato concedendo qualcosa alle BR. Certo
è tuttavia che, prima e dopo il 1978, in Italia e altrove,fermezza e legalità
furono contraddette più volte. Certo è che un leader democratico insostituibile
non c’è più,mentre i suoi assassini fanno conferenze all’università. Certo è che
il terrorismo rosso è stato definitivamente sconfitto soltanto quando è stata
isolata la sua matrice profonda. Una matrice non sufficientemente sottolineata e
combattuta ai tempi del compromesso storico:il leninismo e lo stalinismo.
Ecco,infine,le questioni sollevate da Craxi che ancora oggi sono al
centro,irrisolte,del dibattito politico.
Lanciò nel 1979 la proposta di una “grande riforma” delle istituzioni. Che desse
più stabilità,rapidità di decisione ed efficienza ai governi. Fu trattato come
un decisionista autoritario(questi erano i termini).Quasi come un eversore.
Tuttavia,se le istituzioni fossero state rinnovate in tempo,attraverso una via
riformista,non sarebbero state travolte attraverso una via traumatica nel 1992-
94. Soprattutto,si sarebbe passati a una Repubblica rinnovata nella continuità e
senza vuoti. Oggi,abbiamo soltanto il vuoto,perché la prima Repubblica è stata
distrutta,ma la seconda non è mai nata.
Tra le riforme istituzionali rinviate in eterno,con conseguenze
catastrofiche,Craxi indicava quella della giustizia,perché già alla fine degli
anni ’70 era evidente la sua assoluta inadeguatezza. Si scontrò con quei
magistrati che subito alzarono un muro di conservazione corporativa. Certo. Ma
in un contesto ben diverso da quello attuale. Perché quando poté indicare un
ministro della Giustizia scelse il più grande penalista del dopoguerra,l’uomo
che nel 1944 aveva liberato dal carcere nazifascista due futuri presidenti della
Repubblica,Saragat e Pertini. Scelse un galantuomo indipendente e al di sopra di
ogni sospetto,come Giuliano Vassalli. Da poco scomparso. In un recente
discorso,dopo avere ricordato che Craxi gli chiese una volta di tenere conto di
alcune preoccupazioni espresse dai magistrati sul nuovo codice di procedura
penale,Vassalli ha aggiunto:”non ricordo,in tre anni e mezzo al ministero della
Giustizia,alcun altro suggerimento o invito di Bettino,che pure era il
segretario del mio partito”.
Craxi non era un uomo della destra,come tale in lotta contro i comunisti e
Berlinguer. Al contrario, era un uomo della sinistra che contrastava i comunisti
e Berlinguer perché voleva una sinistra a guida socialista contro la destra. In
una lotta per l’egemonia all’interno della sinistra. In uno schema simile a
quello che il suo amico e compagno Mitterrand era riuscito a rendere vincente in
Francia. L’obbiettivo finale di Craxi era il bipolarismo,una sinistra socialista
democratica e pragmatica civilmente contrapposta a una destra altrettanto
democratica e pragmatica,come in tutta Europa.
Oggi il bipolarismo c’è,ma non quello immaginato da Craxi. Non c’è infatti una
sinistra socialdemocratica,con identità e radici chiare, quindi potenzialmente
vincente, come nel resto d’Europa. Peggio. Ma questa è una opinione
assolutamente personale. Il bipolarismo funziona ovunque perché in ciascuno dei
due poli l’area dell’estremismo e della antipolitica(la chiamerei
dell’impazzimento)è assolutamente ininfluente. Il bipolarismo da noi non
funziona,ed è ormai un male per l’Italia,perché l’area dell’impazzimento,in
ciascuno dei due poli,non è ininfluente. Al contrario,è assolutamente
determinante e a tratti persino egemone. E’ all’origine di quella eterna guerra
civile strisciante ricordata all’inizio.
Craxi fu un rinnovatore della politica e soprattutto della sinistra. Forse a
volte troppo in anticipo rispetto ai tempi. E qui si manifesta un paradosso. Una
parte spesso maggioritaria dell’establishment, dei suoi giornali,della cultura
italiana,anziché sostenerlo,anziché incalzare a sua volta il partito comunista
verso un processo di occidentalizzazione e democratizzazione,fece esattamente il
contrario,ostacolando Craxi e dando per conclusa positivamente sin dai tempi di
Berlinguer una evoluzione del PCI che, come i fatti hanno dimostrato,doveva
ancora affrontare un lungo cammino. Persino sulle battaglie cruciali per la
contestazione del marxismo,per i missili,per la riforma della scala mobile,i
socialisti furono circondati dalla freddezza o addirittura dall’aperta ostilità
di parte di questo establishment. E’ la stessa parte ancora adesso
pregiudizialmente ostile a Craxi. Quella che,come recentemente Giorgio Bocca su
La Repubblica,continua a vedere nella grande storia appena ricordata soltanto
una pagina di cronaca criminale,chiusa da Tangentopoli.
Parliamo allora con franchezza di questo punto. Politique d’abord(la politica
prima di tutto,come diceva Nenni).A la guerre comme a la guerre. Questi erano i
principi seguiti durante la guerra fredda tra Est e Ovest. Durante la
guerra,tutti i partiti,assolutamente tutti, si finanziavano in modo illegale o
border line con la legalità. Consideravano i soldi necessari alla propaganda
come le armi necessarie alla guerra. Ma finita la guerra,non hanno capito in
tempo che per i cittadini la politica non veniva più d’abord,prima di tutto.
Prima,venivano trasparenza e efficienza. Hanno continuato invece come prima e
anzi peggio di prima,perché esaurita la carica ideologica e militante dei
tempi,appunto, di guerra,gli apparati dei partiti cominciarono a diventare
macchine di potere inutilmente pesanti e intrusive,fini a se stesse,spesso
incapaci di impedire il dilagare della corruzione personale. Il partito
socialista fu forse più fragile e più esposto di altri,perché non aveva alle
spalle né la Chiesa e il potere vero,come la Democrazia Cristiana,né una
tradizione di organizzazione e disciplina anch’essa quasi ecclesiale,come il
PCI. Tutto questo va detto.C’è stata,prima di Mani Pulite,una degenerazione
della politica.
Si poteva però percorrere una via riformista per rinnovare la politica. Da
iniziare dopo un bagno di verità. In fondo era questa la strada indicata da
Craxi nel suo famoso discorso davanti alla Camera. Si imboccò invece la via
rivoluzionaria,ovvero quella di distruggerli. Gli eccessi di una parte della
magistratura furono amplificati e resi devastanti dal sostegno acritico della
Confindustria e di tutta la grande stampa, e ovviamente dei partiti estranei
alla maggioranza del tempo,che speravano di avvantaggiarsene:ex PCI,MSI,Lega.
Mani Pulite trionfò rapidamente insieme alla antipolitica ma la rivoluzione,se
proprio così vogliamo chiamarla,ebbe una caratteristica unica nella storia. Era
infatti una rivoluzione senza progetto(tutte le rivoluzioni,buono o cattivo,ne
hanno sempre avuto uno). Possedeva solo la pars destruens,non la pars costruens.
E infatti ha distrutto la Repubblica dei partiti democratici senza riuscire a
costruire una nuova Repubblica. Condannando il Paese al quasi ventennio di
interminabile transizione. Distrutti i partiti democratici,svuotata e
delegittimata la politica nel suo complesso,l’Italia è diventata un caso da
manuale,a dimostrazione di una nota teoria di Lester Thurow,un grande politologo
liberal del nostro tempo. “Quando si indeboliscono i partiti,crescono tre grandi
mali:localismo,lobbismo,corporativismo”. E infatti l’Italia è oggi il terreno
dove dominano separatismo e xenofobia dei leghisti,il denaro delle lobby,le
corporazioni più forti.
La magistratura di Mani Pulite ha fatto semplicemente e scrupolosamente il suo
dovere? Craxi è condannabile perché è stato latitante rispetto a una giustizia
neutrale e serena,alla quale ci si poteva e doveva affidare? No. La magistratura
di Mani Pulite non era neutrale,aveva il progetto salvifico, esplicitamente
dichiarato, di distruggere il sistema politico per aprire la strada a un felice
ordine nuovo. La prova del nove,a posteriori, della sua politicizzazione è il
fatto che Di Pietro,deposta la toga,è diventato immediatamente,appunto,un leader
politico. Non tra i più equilibrati e sereni. La carcerazione preventiva è stata
trasformata in uno strumento di tortura per estorcere confessioni,provocando una
catena di suicidi. L’avviso di garanzia è stato trasformato in una lettera di
licenziamento dalla vita politica e di consegna al pubblico linciaggio. Il
segreto istruttorio è stato ridicolizzato da un lavoro di equipe tra giornalisti
e magistrati(un circo mediatico giudiziario) rivolto ad alimentare la caccia
alle streghe che tutti ricordano sulle prime pagine di quotidiani fotocopia:una
caccia alle streghe che ha spesso impedito ai tribunali giudizi sereni e che
ancor oggi è una macchia nella storia d’Italia. Una macchia sulla quale,per
riprendere il cammino e tornare finalmente alla normalità,deve essere fatta
un’opera di verità. Anche tutto questo va detto. C’è stata,durante Mani
Pulite,una degenerazione della giustizia e dell’informazione.
In questo contesto,va vista la storia umana di Craxi. E la sua fine in esilio.
Su di essa,per la esigenza di equilibrio ricordata all’inizio,concluderò non con
le mie parole, ma ancora una volta con quelle di un grande giurista e di un
padre della Repubblica,Giuliano Vassalli.”Il pensiero di quanto è accaduto
continua a ferirmi nei miei sentimenti più profondi. Se si fa astrazione dalla
tragica fine di Aldo Moro,occorre riconoscere che nella storia dell’Italia
prefascista e in quella dell’Italia democratica,nessuno che fosse stato
presidente del Consiglio aveva subito una sorte tanto amara”. Tanto amara, e
tanto ingrata. Perché Craxi ha scritto alcune delle pagine più importanti e più
nobili per la sinistra e per l’Italia.

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