14 febbraio 2002 - TANGENTOPOLI: FLOP GIUDIZIARIO, DISASTRO POLITICO - Intervista all'ex Presidente Cossiga - a cura di Arturo Gismondi da Il Giornale
14 febbraio 2002
Dalla esplosione di Tangentopoli, dal famoso arresto di Mario Chiesa del 17 febbraio1992 sono passati dieci anni, si fanno bilanci, e salta agli occhi da una parte la scarsità di risultati giudiziari (con gran numero di inquisiti, di prosciolti di assoluzioni, e con tanti procedimenti perduti per strada, e che palesemente non dovevano mai cominciare); e, dall’altra parte, lo sconvolgimento provocato nel sistema politico, con la scomparsa di interi partiti Quali riflessioni le suggerisce un quadro tanto contraddittorlo?
«Contraddittorio? Niente affatto. Come sa, io non sono un dietrologo, mi sono battuto anche con interventi alla commissione Stragi contro quel monumento alla dietrologia che è stato l’operato di quella commissione. Ma ci sono casi nei quali una serie di circostanze concomitanti fa pensare a una qualche logica capace di muoverle e di tenerleinsieme. E allora intanto, nessuno mi convincerà che tutto quello che è successo ha avuto origine da una modesta mazzetta di sette milioni passata all’amministratore del Pio Albergo Trivulzio in danno. dei vecchietti ivi ricoverati. Comunque, di fronte alla pochezza dei risultati giudiziari, al nessun effetto etico della famosa “rivoluzione giudiziaria” e dinanzi agli effetti politici devastanti che questa ha prodotto non posso non, chiedermi quale sia stata davvero la logica, se una logica c’è, di quegli avvenimenti. L’argomento ha fornito materia di riflessione a molti osservatori, ha ispirato i suoi ultimi due libri, sarebbe strano che non vi avesse riflettuto chi, come me, ha avuto tante responsabilità politiche, e quelle cose le ha viste tanto da vicino».
E a quale conclusione è arrivato?
«Personalmente sono arrivato alla conclusione che non di complotto si tratta, nel senso di una macchinazione a tavolino, ma semmai del punto terminale di una serie di vicende e di spinte che hanno concorso a mettere in moto quella valanga che ha sconvolto gli equilibri politici italiani trasformando fra l’altro gli sconfitti della Storia in vincitori e cancellando. e spingendo nel girone infernale dei criminali coloro che, come Craxi per esempio, avevano visto giusto e si erano collocati da tempo dalla parte della ragione».
Spinte diverse, diceva, e convergenti a un medesimo fine, o a un medesimo risultato.
«Le spinte, mi pare di poter dire, sono state diverse. Direi che dal punto di vista culturale per tutti gli anni ‘80 si sono verificati in modo parallelo due fenomeni: da una parte si è sviluppata la “questione morale” lanciata da Berlinguer all’inizio del decennio anche come risposta alla sconfitta del compromesso storico che era l’unica strategia del Pci degli anni ‘70. I casi dei processi a Donat Cattin, e a me stesso, per la vicenda triste che coinvolse quell’importante uomo politico dc nella persona del figlio, e poi il tentativo col processo Mancini-Landolfi di coinvolgere i socialisti nella vicenda del terrorismo, la questione della P2, che è stata manovrata come un processo a una classe dirigente, e insieme l’attività delle varie commissioni parlamentari, stabili e straordinarie l’intrecciarsi di queste con inchieste giudiziarie prive di risultati ma convergenti nel creare il clima di un grande processo a una intera classe dirigente. E infine, l’esplosione del “caso Gladio”, e la mia messa in stato di accusa per alto tradimento, e per attentato alla Costituzione. Sono queste le tappe di un lungo processo che precede quella che verrà definita, da coloro stessi che ne sostennero l’azione, come la “rivoluzione dei giudici”».
Questo è il processo, il percorso avviato da Berlinguer con la «questione morale». E' stata, però, una delle spinte che si sono avvertite negli anni ‘80. Ma poteva bastare, a tanto risultato, una parola d’ordine politico, moralistico, tendente comunque a trasformare l’avversario in nemico e li nemico in colpevole?
«La “questione morale” di Berlinguer ebbe una lunga incubazione, che fu politica ma anche giudiziaria e che occupò l’intero decennio degli anni 80. Nello stesso periodo di tempo, maturò un altro processo, quello della formazione di una classe di magistrati o meglio di Pm con spiccati caratteri politici. Un processo, questo, documentato nei suoi libri ma anche in quelli di magistrati come Francesco Misiani che ci ha dato la testimonianza di quel libro eccezionale che è la Toga rossa. E i due percorsi, quello della "questione morale" di Berlinguer e dei suoi successori e quello della magistratura politicizzata, dai "Pretori d'assalto" ai Pm di Mani Pulite, e io aggiungerei il parallelo processo di formazione di una generazione di giornalisti anch'essi orientati politicamente, tutto concorre a creare le condizioni del grande rogo di Tangentopoli. E vi concorre il fatto che una parte della sinistra politica, facente capo al Pci, ha visto in questa sorta di grande “processo alla nazione” una via di salvezza o di compensazione per il fallimento sancito dalla caduta del muro di Berlino...».
Mi interessa approfondire un punto, il più difficile per ricostruire li decennio degli anni ‘90 vorrei sapere se ha qualche elemento che faccia luce sull’intervento nel processo dei primi anni ‘90, da parte del cosiddetti «poteri forti», interni e soprattutto stranieri, perché di questi ultimi sappiamo meno.
«Se dovessi scrivere un romanzo di fantapolitica attribuirei il via a quella che è stata definita la rivoluzione dei giudici a una decisione, a un input, a un orientamento che si concretizza in modo fattivo attorno all’azione dei magistrati ma che ha altre ispirazioni fra le quali collocherei taluni ambienti economici e finanziari italiani i quali furono portati a ritenere dopo il crollo del muro di Berlino che fosse possibile un ricambio politico a loro favorevole. «In queste condizioni, i “poteri forti”’ hanno accettato come una rivoluzione quella strana e anomala vicenda che fu la rivoluzione giudiziaria.
D’altra parte l’Italia non ha mal conosciuto una rivoluzione, le rivoluzioni se le è sempre inventate, si è inventato il Risorgimento come fatto popolare, si è Inventato il fascismo come rivoluzione. E poi. l’antifascismo. Se lo è inventato, questo, come grande movimento popolare, e non come atto di generosità di pochi. Ancora di più si è inventata, come movimento popolare fondante della Repubblica, la Resistenza. Non è che non ci sia stata la Resistenza, ma questa fu utilizzata a posteriori, e per così dire trasfusa nei partiti ciellenisti dando ad essa determinata volontà e coloritura politica. Il nostro Paese, se è per questo, come Paese non ha avuto neanche la riforma, e la stessa controriforma, quella vera l’ha vista in Lombardia, con San Carlo Borromeo. Così l’Italia in realtà non ha sentito molto, non ha partecipato in modo attivo (ed era il Paese più vicino all’Est europeo e alla sua realtà politica) a quel grande rivolgimento, a quella grande rivoluzione liberale che è stata la caduta del “muro” di Berlino, e la dissoluzione del sistema dei Paesi di socialismo reale. Non vi ha partecipato in quanto Paese liberato (perché si è contentato della finzione per la quale il Pci non era formalmente al governo), né in quanto liberatore in quanto faceva parte della Nato, al crollo del comunismo, come io amo definirlo, istituzionale, statuale, alla fine dell’Unione Sovietica, del suo impero. Allo stesso modo il Paese ha assistito, ha applaudito alla rivoluzione, o a quella che sembrava una rivoluzione. La quale, poi, non ha prodotto nulla se non la distruzione di un pezzo di classe dirigente, quella che aveva governato, e non senza meriti, mezzo secolo della nostra Storia, e non della peggiore. Se dovessi scrivere un libro di fantapolitica insomma, ma mi chiedo quanto sarebbe di fantapolitica...».
Sarebbe forse un modo o l’unico modo, di raccontare quella storia sapendo quel che conta sapere ma non disponendo degli archivi che verranno fuori fra qualche decennio...
«Ecco, diciamo così. Ma lei accennava anche al fatto che questo interesse a mutare le cose nel nostro Paese forse esisteva anche in taluni circoli politici stranieri, accennava agli Stati Uniti d’America. Premetto che nelle grandi decisioni, per gli Stati Uniti non ci sono democratici o repubblicani, per quanto riguarda gli interessi nazionali la visione può essere diversa, ma l’attuazione politica, la politica concreta è la stessa. E vero però che nel 1992-93 c’erano i democratici, c’era Clinton, che i democratici sono stati i primi che hanno cominciato a chiedersi, ma già negli anni ’70 lo fecero, se per caso la sinistra comunista italiana non fosse una forza su cui puntare. Poi ci fu, a dissuaderli, la vicenda dei missili che rivelò i persistenti legami fra Berlinguer e l’Urss. Ma, una volta venuto meno il comunismo Istituzionale, e con esso il pericolo di un grande partito legato ad una potenza straniera e nemica, è legittimo porsi la domanda che lei si pone e mi pone».
Di fatto la vicenda di Mani Pulite è stata accolta con generale favore, In Europa ove il Pci aveva già solidi legami con qualche partito socialista, per esempio la Spd per via della Ost-politik di Willy Brandt, ma anche in certi circoli leftist, o liberal americani. E nel 1992 al potere c’era Clinton, più tardi si parlò di terza via, di un Unkage fra socialdemocrazia europea, Ulivo, democratici americani Un pasticcio dal quale non è sortito se non qualche meeting in luoghi ameni ma un qualche legame c’è stato, si è creato.
«Di una cosa sono certo, e cioè che una volta abbattutasi la bufera sull’Italia, salvo poche eccezioni, i vecchi partiti di governo ma soprattutto la Dc e il Psi che hanno pagato il prezzo maggiore, sono stati abbandonati dai nostri alleati. E per quello che riguarda il Psi, e Bettino Craxi, l’abbandono è stato totale da parte del socialismo europeo, tranne eccezioni che ti dirò. Quanto agli Stati Uniti, un punto forse va messo in rilievo. La struttura giudiziaria e quella investigativa servizi compresi a livello federale degli Stati Uniti è sempre stata molto legata alle strutture giudiziarie e alle diverse strutture di polizia del nostro Paese. Non escludo che per questa via possano esserci stati aiuti concreti, legami con gli inquirenti che si muovevano sul nostro territorio, E parleremo anche di questo. C’è stato, infine, il peso della stampa. E la stampa era influenzata, è vero, da un pregiudizio positivo nei confronti del comunismo italiano proprio degli establishment occidentali (gli Stati Uniti sono li Paese ove nasce il politically correct, non dimentichiamolo). La stampa, dunque, quasi coralmente ha salutato come rigeneratrice la funzione di Mani Pulite e l’azione della magistratura. E anche qui, per la stampa, non vi sono state eccezioni dagli Stati Uniti al mondo anglosassone, e a tanta parte dell’Europa Occidentale».
Mi parlava, prima, di eccezioni in campo Internazionale, e alludeva alla posizione di alcuni partiti socialisti nei confronti di Craxi
«C’è stato l’atteggiamento del socialismo europeo, che paradossalmente ha creduto più ai post-comunisti fattisi socialisti che ai socialisti di sempre. Ma questo perché certi partiti socialisti già prima della caduta del “muro” erano più vicini ai Pci che al Psi Cosi fu per Mitterrand, che si serviva del Pci come esempio “liberale” contro le “rozzezze” del Pcf di Marchais, e cosi fu di Brandt, che per la sua Ost-politik era più vicino a Berlinguer che all’autentico anti-comunismo di Craxi...».
Craxi era forse più che un socialista un italiano diverso, non si presentava come un leader facile da trattare.
«E però non tutti i socialisti rinnegarono Craxi.. Ci sono state alcune eccezioni Una è costituita da Mario Soares, e dietro di lui dai partito socialista portoghese. Soares, sfidando l’opinione pubblica europea, volle vedere Craxi quando questi era già ad Hammamet, e per la giustizia italiana era latitante. E lo stesso Soares ogni volta che lo vidi, quando io avevo già lasciato la presidenza della Repubblica, fosse a Roma o a Lisbona o altrove, non mancava mai di chiedermi “che cosa sai e che notizie abbiamo del nostro amico”. Cosi come gli sono rimasti amici i movimenti socialisti diciamo di liberazione, quelli africani, o del Sud America che lui aveva aiutato moltissimo dal Cile al Perù al Paraguay, anche finanziariamente. Allo stesso modo, e anzi molto di più, gli rimase sempre vicino il movimento di liberazione palestinese con Arafat, e Paesi come la Tunisia, l’Algeria».
La Tunisia. fu l’unico investimento in amicizia di Bettino Craxi...
«E vero, quando io andai da Craxi ad Hammamet, prima di ripartire andai a trovare Ben All, che conoscevo bene.. lui fu molto cordiale, sapendo perché mi trovavo li, e si espresse con grande affetto nei confronti di Bettino... e mi disse una cosa che io ora riferisco a lei come allora riferii al governo: è inutile che il tuo governo, mi disse, insista per l’estradizione diBettino Craxi. Noi in Tunisia, né alcun Paese arabo glielo consegneremo mai».
Craxi sapeva che non avrebbe mai lasciato laTunisia. Disse non tornerò in Italia né da vivo né da morto, solo da uomo libero.
«Be’, vede, quello che le sto per dire è il frutto di una sensazione, e di mezze parole più che di conoscenza diretta. Quando Bettino si aggravò, si prese in considerazione, come ricorderà, di farlo venire in Italia, con una specie di salvacondotto. Io fui interpellato, direi più come esperto in questioni di giustizia che non come politico. Risposi che se Borrelli e soprattutto D’Ambrosio avessero dato la loro parola non ci sarebbe stato problema, ma che con l’ordinamento confuso e caotico che c'era in Italia avremmo potuto avere un qualunque sostituto, di una qualunque Procura, che si sarebbe inventato un nuovo reato per farlo arrestare, o solo per farsi notare, per finire sui giornali. «So che poi si pensò di farlo ricoverare in Francia, e questa volta non mi fu chiesto nessun parere, ma seppi che cosi si pensò di fare. Ma parlando non con la famiglia ma con qualcuno dei vecchi amici e collaboratori che allora Craxi sentiva di più seppi che il governo socialista francese non si era mostrato molto propenso. In pratica Craxi poteva andare con una specie di salvacondotto, ma nella clinica ove fosse stato ricoverato avrebbe potuto essere piantonato dalla polizia. E io che non conoscevo di persona l’uomo, ma sapevo chi era Jospin, dissi melanconicamente che se Craxi fosse stato un mio familiare lo avrei tenuto lontano da lui...».
Ma parliamo anche dell’altro grande Inquisito italiano, e colpito dalle accuse più gravi, come quelle di mafia, cioè di Andreotti.
«Gli uomini, che potevano raccogliere attorno a loro una resistenza, in quegli anni erano in effetti due, Craxi e Andreotti. E non meraviglia che su di loro ci si sia accanito con le accuse più gravi, e tali da metterli fuori gioco. Ebbene quel che so è che ci fu sempre verso Andreotti, negli Stati Uniti, parlo sempre dell’amministrazione centrale, grande freddezza. Degli Stati Uniti - Paese che io amo peraltro - si può dire quello che Churchill disse a Indro Montanelli dell’Inghilterra. Montanelli me lo confidò una delle ultime volte che lo vidi. Mi raccontò che, recatosi da Churchill dopo che questi era stato battuto alle elezioni, lui, cioè Montanelli, osservò che l’Inghilterra era stata ingrata nei suoi confronti. E Churchill gli rispose che un Paese, per essere grande, non deve essere grato e deve anzi avere la capacità dell’ingratitudine».
Non è solo questione di gratitudine, o di ingratitudine. L’impressione è che non abbia contato alcuna preoccupazione politica per il ruolo che, dopo l’esperienza Italiana, la magistratura può giocare In altri Paesi democratici Insomma, le nostre vicende hanno insegnato a noi che il confine che presidia i rapporti fra potere politico e legislativo può essere debole nel caso di una magistratura politicizzata, o motivata da spinte politiche, o ideologiche.
<‘Be’, qui non va sottovalutato un fenomeno. Esiste in molti Paesi, quelli democratici più vicini a noi, una totale incredulità sulla situazione italiana, e sull’atteggiamento della magistratura italiana. «E c’è da tener conto di una circostanza che è anche alla base dei guai e delle critiche aBerlusconi. Per cui non so se Berlusconi riuscirà a superare la barriera di diffidenza dell’America e dell’Europa, e che non riguarda le sinistre ma soprattutto forse i ceti conservatori. C’è, da questa parte, la assoluta incapacità di comprendere il mal funzionamento della giustizia italiana. E c’è una assoluta incapacità di comprendere i mali patologici della giustizia italiana. Gli attacchi che da parte di certi Paesi sono stati fatti, dall’Inghilterra e dalla stessa Francia che su certe cose è assai più disinvolta, nascono anche di qui oltre che da interessi nazionali e anzi imperiali. Nascono dal fatto che in questi Paesi non è concepibile che i giudici abbiano, come è successo da noi, la possibilità di fare quello che pure hanno fatto, che vengano dominati da passioni politiche e ideologiche al punto in cui lo sono stati in Italia. Non si può pensare in questi Paesi che succedano le cose che succedono da noi, che i Pubblici Ministeri possano fare certe cose senza risponderne dal punto di vista disciplinare, senza pagare, perché li pagano anche i giudici. Un Pm che avesse mandato una convocazione giudiziaria come quella mandata a Berlusconi, un avviso a comparire durante una conferenza mondiale sulla criminalità, anche sette anni dopo quando tutto si è sciolto come neve al sole avrebbe pagato, sarebbe stato costretto a dimettersi, sarebbe successo qualche cosa. Era capo di un governo eletto! E dunque, così come è stato per Andreotti o per Craxi, c’è assoluta incredulità fuori d’Italia dinanzi alla possibilità che questi siano stati, come sono stati, dei perseguitati politici. E dunque la magistratura italiana è coperta dalla stessa enormità dei suoi comportamenti. in Italia sono successe cose incredibili. li finanziamento illecito ai partiti è proprio di ogni democrazia. Pensiamo al caso Kohl. Anche a lui è stato riconosciuto un reato di finanziamento illecito. Ma nei confronti di Kohl, che è successo? Gli è stata fatta pagare una multa, e non l’ha neanche pagata lui, ci mancherebbe anche che fosse stato costretto a pagare una multa l’uomo che ha fatto l’unificazione tedesca. Verso Kohl c’è un grande rispetto, e all’ultimo congresso del Partito Popolare Europeo tenutosi a Berlino è stato salutato da una grande ovazione. La giustizia tedesca ha voluto accertare i fatti, ha dichiarato che vi era stata una violazione delle leggi ma si è ben guardata dall’assumere un atteggiamento persecutorio e nessuno, compresi i suoi avversari (e in Germania non vi sono avversari politici, vi sono nemici politici) si è sognato di additare Kohl al pubblico ludibrio. Dunque, siamo dinanzi a una realtà nazionale della quale dobbiamo tenere conto. La giustizia, certo, ma anche la politica che ne utilizza le anomalie, e una generale arretratezza che investe in fatto di giustizia l’opinione pubblica, e la stampa».
Quel che appare Incomprensibile è che il caso Italiano non ha creato il dubbio, un sospetto che qualcosa di anomalo era successo. Eppure, qui sì è assistito alla cancellazione di tutti I partiti che erano stati al governo per 50 anni, creando alla fine un panorama nel quale solo i post-comunisti sembravano destinati a restare sulla scena politica. E questo rivolgimento è avvenuto a seguito dell’Intervento di un potere dello Stato. È un fatto nuovo, certo, ma anche il fascismo lo era. Possibile che quello che è successo non abbia fatto scattare qualche cosa, magari il timore che una cosa del genere possa avvenire altrove I francesi hanno avuto un primo ministro suicida, Bérégovoy...
«SI, ed era un galantuomo, Bérégovoy. Ma tenga presente che il fenomeno in Francia è stato fermato, Chiraé ha potuto dire: io non vado a deporre, era una richiesta grave, e la sua è stata una risposta ferma. E non c’è stato un partito politico che si è schierato a favore del magistrato che chiedeva di sottoporre a interrogatorio il Presidente della Repubblica. Qui in Italia c’è stato l’atteggiamento del Pds, ma c’è stata anche la totale miopia della Dc, la responsabilità di Mani Pulite è in parte nella cecità e nell’opportunismo di parte della classe dirigente Dc.
Disse una volta Craxi. li PSI viene distrutto pezzo a pezzo, comune per comune, saltano per via giudiziaria le sezioni, I quadri dirigenti, le amministrazioni socialiste. La Dc, Invece, disse Craxi, si sta suicidando...
«Si certo, è stato un po’ così. Tenga presente che quando ero Capo dello Stato compresi dove si andava scivolando, e tentai di fare un’azione di raddrizzamento di istituzioni che hanno usurpato poi poteri dello Stato come il Csm. Ebbene, io fui sostenuto da Craxi, dai liberali, dai socialdemocratici, e adesso posso dirlo magari in forme non eclatanti ma fui sostenuto da qualche dirigente comunista. Per la Dc, salva l’eccezione di Giuseppe Gargani, di Zamberletti, per il resto il partito era diviso fra una sorta di purismo, di angelismo, di stupore, ma guarda un po’ che succede, e in qualche caso ci fu dell’opportunismo vero e proprio, all’insegna del motto: teniamoceli buoni, ce l’hanno coi socialisti, ne può venir fuori qualche cosa di buono. Ricordo il comportamento di Rosa Russo lervolino, di Cabras, di Galloni, di altri. Nello scontro fra me e il Csm, quando come Presidente della Repubblica tentai di affermare il principio della non ingerenza in campo politico dopo le critiche rivolte da Craxi a una sentenza, il duo Mancino-Elia presentò un disegno di legge per disconoscere al Capo dello Stato questa facoltà. E quando il ministro della Giustizia Martelli negò il consenso alla designazione di un magistrato a una certa carica, sempre il duo Mancino Elia si schierò con il Csm contro Martelli. Il Csm ebbe l'impudenza di sollevare conflitto di competenza alla Corte Costituzionale, la Corte dette ragione a Martelli, e torto al Csm. Ma il duo Mancino-Elia era sempre schierato da una parte. E poi non diciamo dell’atteggiamento di tanti che per paura o per odio nei confronti del Psi e di Craxi rinnegavano anni di collaborazione e cli amicizia nella speranza che qualcuno, fossero pure i magistrati, risolvessero il problema politico rappresentato dal Psi. L’accanimento della magistratura di Milano fu sottovalutato e da una parte non indifferente della Dc fu visto come cosa utile. Quando ci fu il suicidio di Sergio Moroni, ci fu grande emozione, tutti capirono che succedeva qualcosa di grave. Io mi recai alla sede del Psi, di democristiani vidi Gargani e Zamberletti, e basta».
Eppure la Dc non poteva pensare che la cosa non la riguardasse.
«Certo, se si deve fare una presuntiva statistica, non v’ha dubbio che dal sistema complessivo delle tangenti si sia locupletata più di altri la Dc. Però tutto fu dimenticato, anche perché nella Dc l’odio per Craxi non era minore a quello che esisteva nel Pci. C’erano profonde questioni politiche, e non fa meraviglia se pensiamo al rigorismo morale e calvinista esibito in quella occasione da personaggi come Rosa Russo Jervolino, passata da Andreotti a Fanfani alla estrema sinistra. Fu una pagina bruttissima della storia della Dc il trattamento riservato dalla Rosa Russo Jervolino a Citaristi, ad Andreotti, la campagna, che risultò funzionale al Pds, di escludere dalle liste alle future elezioni politiche chiunque avesse avuto non una condanna, intendiamoci, ma un “avviso di garanzia”. E con questa arma si esclusero dal Parlamento tanti galantuomini che aspetteranno anni prima di essere assolti, ma ai quali nessuno restituì il ruolo politico che avevano avuto e che proprio in quel momento di crisi, quando il loro partito veniva distrutto, non poterono esercitare. Brutta, bruttissima pagina…
Vorrei tornare un momento a Mani Pulite e ai rapporti fra l'ondata giustizialista che si era abbattuta sull'Italia nel biennio 1992-93 e Il quadro Internazionale. Se Buscetta e Di Maggio, per dirne una, inseriti ambeduenei programmi di protezione del governo federale si decidono a testimoniare contro Andreotti è legittimo pensare che le Autorità federali c'entrino per qualcosa, quanto meno sapevano, resero possibile quel processo che fu un colpo duro per la Dc.
«Davvero sembra difficile negarlo. Quel chi posso dire, è riferire un episodio del quale fui testimone. Mi trovavo a New York per una lezione presso la Columbia University. Alla fine della conferenza, seppi che le Tv Usa, e quelli italiane, avevano dato notizia che Buscetta aveva accusato non solo Andreotti ma anche Piersanti Mattarella di mafia, che quest’ultimo, aveva detto Buscetta, era stato ucciso perché non aveva rispettato non so che patto criminale. E poiché si chiese la mia opinione io affermai indignato, che avrei magari potuto stringere la mano come era già accaduto a un brigatista rosso, ma non avrei mai stretto le mani insanguinate di un assassino trafficante di droga e di morte. Non passarono 24 ore che Buscetta, che era appunto sotto la protezione del governo federale, fece una dichiarazione violentissima contro di me adombrando la mia responsabilità nell’uccisione di Aldo Moro. E questo, per come io conosco le maglie strette dei programmi di protezione americani, Buscetta non poteva averlo fatto senza il permesso del Dipartimento di Giustizia. Poi Di Maggio rivolse altre accuse nei confronti di Piersanti Mattarella, e mi accusò di aver protetto la mafia durante il terrorismo, o qualcosa del genere. Dopo di che io contattai le autorità americane, dissi che questo doveva cessare, altrimenti io tornato in Patria avrei fatto una interrogazione al governo italiano per conoscere la parte che i servizi segreti Usa, a proposito di mafia, avevano avuto per esempio, ma solo per esempio, per assicurarsi il silenzio e la copertura negli espropri dei terreni perla base missilistica di Comiso. Da quel momento io non sono stato più disturbato».
Buscetta era protetto da un programma del governo federale, o dell’Fbi..
«Buscetta era in un programma di protezione del Dipartimento di Giustizia che agiva attraverso un corpo speciale che si chiamava U.S. Marsball Corps. E li, non si scherzava come da noi... Tenga presente quel che ho già detto. Fra le amministrazioni americane e quella italiana, in materia di sicurezza, e di giustizia, i rapporti sono’ stati sempre stretti. E certe cose sono venute fuori allorché un certo processo politico apparve avviato...».