14 - 15 novembre 2003 - Napoli - Convenzione nazionale SDI - Relazione di apertura di Enrico Boselli

14 novembre 2003

Care compagne e cari compagni, la nostra Convenzione si svolge in una Italia ancora sotto shock per la tragedia avvenuta in Iraq. L’opinione pubblica del nostro Paese è stata fortemente colpita dalla strage, ma ha risposto con senso di responsabilità. Ciò non deve farci trascurare il fatto che un forte senso di insicurezza, già ampiamente diffuso negli Stati Uniti, si sta rafforzando nei principali paesi europei, Italia compresa. Le forze politiche italiane hanno tutte, o quasi tutte, avvertito la drammatica straordinarietà del momento. Il presidente Ciampi ha saputo ancora una volta esprimere i sentimenti di tutti i cittadini di fronte a questa orrenda strage. Il direttore del “Corriere della Sera”, Stefano Folli, ha così interpretato le reazioni: “…il Paese (…) ha dato il meglio di sé. Ha risposto con sobrietà e compostezza. E la maturità con la quale il Parlamento ha reagito rappresenta un segno positivo di buon auspicio”.L’aspirazione ad una convivenza civile, serena e tranquilla viene sempre più associata alla ricerca della pace e della sicurezza, che sono ormai beni indivisibili a livello internazionale. Di fronte alla nuova e grave situazione che si è creata, abbiamo ritenuto opportuno svolgere ugualmente questa nostra Convenzione, poiché abbiamo sempre creduto che l’esercizio della vita democratica è un modo per contrastare efficacemente il terrorismo. Nella nostra epoca infatti le azioni efferate, predisposte e realizzate da grandi centrali internazionali, si propongono soprattutto di gettare il panico tra la gente e di bloccare così il normale funzionamento della vita sociale, economica ed istituzionale.

E’ in questo contesto che la nostra Convenzione nazionale è chiamata a decidere sulla costruzione di una lista unitaria per le elezioni europee. Questo è il tema che accomuna le assemblee dello SDI, dei DS e della Margherita, riunite in contemporanea a Napoli, a Roma e a Bologna a significare simbolicamente il carattere nazionale della nostra comune iniziativa.Noi siamo qui a Napoli, in questo Mezzogiorno che dal riformismo e dai riformisti tanto ancora si attende. Si tratta per questi tre partiti di assumere una decisione precisa e circoscritta alle prossime elezioni europee che tuttavia ha – per noi dello SDI e non solo per noi – rilevanti implicazioni strategiche.



La lista unitaria

Per quanto ci riguarda, non arriviamo a questo traguardo della lista unitaria all’improvviso. La Convezione nazionale dello SDI si muove su un terreno strategico che non è per noi nuovo e che è stato già ampiamente preparato. Lo abbiamo fatto attraverso la nostra massima assise decisionale, cioè al nostro ultimo congresso di Genova, quando ci ponemmo come obiettivo strategico la Casa dei Riformisti. Da tempo abbiamo avviato al nostro interno, e tra noi dello SDI e le altre forze riformiste, un confronto su come ristrutturare il centrosinistra, in modo tale da porlo nelle migliori condizioni al fine di avere un successo nelle prossime elezioni politiche e, successivamente, di essere in grado di governare. Infatti, il bipolarismo italiano, se ha garantito l’alternanza tra schieramenti antagonisti, non è riuscito finora ad assicurare quel grado di omogeneità che è necessaria alle coalizioni per mantenere la stabilità e per governare: da un lato, per vincere è necessario mettere insieme in un’alleanza elettorale tutti coloro che sono contro l’avversario da sconfiggere; dall’altro lato, una volta che si è conseguito il risultato, le differenze all’interno della nuova maggioranza possono essere tanto grandi da condurre l’azione di governo alla paralisi e, in ultima istanza, alla crisi della coalizione premiata dal voto.Questo stato di cose, portato al paradosso, può significare che con questo sistema è possibile vincere, ma è assai difficile governare. Le esperienze, che sono alle nostre spalle dal 1994 fino ad oggi, sono in proposito abbastanza illuminanti.

Sicuramente l’ingegneria istituzionale può inventare diversi rimedi per cercare di superare questa situazione di latente e continua instabilità. Il problema, tuttavia, è politico e alla politica ci si deve affidare per risolverlo. In Italia mancano a sinistra come a destra formazioni politiche che, con percentuali tra il 35-40% e oltre, siano in grado di dare l’impronta alla coalizione di governo, riducendo così la pressione delle ali più radicali. In questo contesto, sarebbe necessaria una spinta verso l’aggregazione, che darebbe più stabilità al sistema sia sul fianco del centro sinistra sia su quello del centro destra. Il nuovo soggetto politico, che dalla lista unitaria dovrebbe avere impulso, dovrà essere in grado di proporre chiare scelte nella politica internazionale, nella politica economica e finanziaria ed in quella per la sicurezza interna.

Assicurare un’impostazione coerente alla politica estera dell’Italia è di certo uno dei principali impegni di una coalizione che vuole governare il Paese. Dopo l’11 settembre 2001, i temi internazionali sono diventati nuovamente centrali. Si è detto – ed è risultato vero – che nulla sarebbe stato più come prima, né a livello planetario né nei singoli Stati. Quindi, una coalizione di centro sinistra, che si propone di governare, deve fare i conti con i nuovi orizzonti che si sono aperti –anche tragicamente- col nuovo secolo.

Dopo quanto era accaduto, L’Italia non poteva pensare di rimanere estranea a quanto stava succedendo nel mondo. Abbiamo sempre detto che per l’Europa l’instabilità nella regione mediorientale costituisce una questione assai rilevante. L’intervento militare degli Stati Uniti in Iraq, avvenuto al di fuori dell’ONU e di una decisione del suo Consiglio di sicurezza che solo poteva dare legittimità ad una iniziativa di polizia internazionale nei confronti di uno Stato sovrano, ha aggravato la tensione internazionale. Al di fuori dell’ONU, infatti vi è solo la legge del più forte. Spettano solo e soltanto alle Nazioni Unite, pur con i limiti che ha questo organismo, compiti di governance al livello planetario ed è all’Onu che bisogna tornare per internazionalizzare la gestione della crisi irachena. Abbiamo, quindi, considerato un atto assai positivo che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU sia riuscito ad assumere con un accordo unanime una posizione sulla questione dell’Iraq. Questa decisione del Consiglio di sicurezza può, infatti, aprire una fase nuova nella quale si potranno fare passi in avanti per un’intesa multilaterale che, sotto l’egida dell’Onu, porti al più presto il governo dell’Iraq nelle mani degli iracheni.

Una guerra sbagliata

Come SDI non abbiamo affatto condiviso la linea seguita dal Governo italiano che ha sposato acriticamente e per intero la causa dell’Amministrazione Bush. Una volta finita la guerra, che sin dall’inizio avevamo auspicato fosse rapida, si è chiaramente capito che i problemi non erano risolti; anzi si erano decisamente complicati. L’unico dato positivo – e non è certo una cosa di poco conto – è stata la caduta del regime sanguinario di Saddam Hussein. Così, quando il Governo italiano ha deciso l’invio di una missione di pace composta dalle nostre forze armate, larga parte dell’opposizione – e noi dello SDI nell’ambito dell’opposizione – non l’ha contrastata. E’ vero che, se il centro sinistra fosse stato al governo, probabilmente non avrebbe deciso in quel contesto e in quelle condizioni l’invio di truppe italiane.

Tuttavia, credo che sia stata una decisione saggia quella che ha portato l’opposizione a manifestare con un voto di astensione la propria solidarietà nei confronti delle forze armate che si impegnavano in un pericoloso e rischiosa scacchiere internazionale, come si è dovuto tragicamente constatare. Tanto più oggi sarebbe stato assurdo che l’opposizione si facesse portavoce di una richiesta di ritiro delle nostre forze armate dall’Iraq. Questa nostra posizione, assai nitida, sulla politica estera del nostro paese deve essere connaturata ad una nuova forza riformista o riformatrice che voglia tornare a governare il paese. Tra i DS, la Margherita e lo SDI – e lo si è visto in più occasioni - vi è stato un filo di ragionamento comune di fronte alla più gravi crisi che si sono aperte, ma non vi è ancora un’impostazione comune, ben chiara e puntuale.



Il ruolo dell’IS

L’approfondimento dei temi della politica estera, che inevitabilmente occupano molto dello spazio del nostro confronto oggi, è importante per lo stesso processo di costruzione di una lista riformista, sul quale questa nostra Convenzione è chiamata a pronunciarsi. Del resto, le politiche nazionali non possono più essere sviluppate con risultati soddisfacenti se non si tiene conto di un contesto internazionale più vasto. Questo è lo spirito che è stato sempre presente nel movimento socialista. Non a caso i socialisti sono stati i primi a dotarsi di organizzazioni internazionali, capaci di assicurare una efficace cooperazione politica. L’Internazionale Socialista su scala mondiale e il partito socialista europeo su quella continentale, nelle quali i socialisti operano, connettono insieme esperienze, idee e programmi. Noi abbiamo sempre tenuto alla nostra appartenenza alla grande famiglia del socialismo europeo ed internazionale.

Per questo, motivo ci ha fatto particolarmente piacere che al vertice delle donne dell’Internazionale sia stata eletta la nostra cara compagna, Pia Locatelli. Questo testimonia come lo SDI sia sul piano italiano, tenendo ben salde le radici nella sinistra, e sia su quello internazionale, rafforzando i legami con gli altri partiti socialisti, abbia saputo operare in continuità con la storia del Psi e con quella del Psdi. Questo respiro internazionale nella impostazione strategica da dare alla lista unitaria riguarda innanzitutto l’Europa. E’ l’Unione Europea il principale riferimento al quale dobbiamo guardare. Romano Prodi nel suo manifesto ci ha fornito una cornice europea nella quale affrontare anche i nostri problemi italiani. Sul testo del suo manifesto si è riconosciuto tutto l’Ulivo, comprese quelle forze che non aderiscono alla lista unitaria, come l’Udeur, i Verdi e i Comunisti Italiani. E’ con l’Europa che dobbiamo misurarci politicamente. E’in occasione delle elezioni europee che dobbiamo creare una lista unitaria. La nostra azione, che è rivolta a mettere insieme diversi riformismi e differenti riformisti in un’unica lista, tende a rafforzare il versante progressista contro quello conservatore. Si tratta di un’operazione che parte dal fatto che in Italia non è possibile una semplificazione tra conservatori e socialdemocratici. Noi socialisti facciamo da tempo i conti con la storia d’Italia nella quale i riformisti e il riformismo sono stati sempre deboli in generale nella politica italiana e in particolare nella sinistra. Ciò è avvenuto per ragioni specifiche che riguardano il nostro paese, la nostra storia risorgimentale e il ruolo della Chiesa, il forte municipalismo, il diffuso familismo e il ribellismo congenito delle masse rurali e di quelle urbane, la debolezza storica della grande borghesia industriale e finanziaria.

Il “caso” italiano

La pianta socialdemocratica, che è cresciuta rigogliosa nella maggior parte dei paesi europei, non ha ben attecchito in Italia. In larga parte la sinistra storica è stata caratterizzata da grandi lotte dall’opposizione e in opposizione ma spesso con nessuna capacità di fare proposte di governo e per andare al governo. Grandi figure di riformisti, come Filippo Turati, Giacomo Matteotti o Giuseppe Saragat sono state assai spesso voci isolate che sono rimaste altrettanto spesso inascoltate. La divisione tra il nascente movimento operaio socialista e il movimento dei lavoratori cattolici, dovuto alle vicende che hanno accompagnato la nascita del nostro Stato unitario, è una delle cause profonde della debolezza del riformismo. In un movimento socialista, che era privo dell’ala più riformista com’era la sinistra cattolica, fece più presa il massimalismo e, dopo la rivoluzione d’ottobre, il comunismo. Come abbiamo spesso ricordato, questione socialista, questione cattolica e questione comunista sono stati i punti principali della nostra riflessione politica. La questione socialista, tuttavia, si presenta oggi in maniera diversa da come si pongono quella cattolica e quella comunista. Il socialismo in Italia non si è tanto indebolito per essere mancato all’appuntamento con le sfide della modernità, ma per non aver compreso a tempo che cosa comportava sullo scenario politico italiano la caduta del muro di Berlino.

Ben diverse da quella socialista sono state le sorti della questione cattolica e di quella comunista. Il comunismo, all’indomani del 1989, ha perso il suo fondamento che risiedeva nella potenza politica ideologica e militare dei regimi dell’est europeo, a cominciare da quello dell’Unione Sovietica. I comunisti italiani, la cui storia non può essere confinata nei recinti di un movimento totalitario e filosovietico, hanno visto franare ideologie e principi sui quali era stato costruito da Togliatti il partito nuovo nell’Italia del dopoguerra. La maggioranza del PCI, attraverso una pronta fuoriuscita dal comunismo, è riuscita - almeno in parte - a mantenere un peso a sinistra che è ancora decisivo. La questione comunista oggi in Italia non esiste in quanto esistono ancora i comunisti, ma è derivata dal fatto che i DS - pur attraverso varie metamorfosi, pur avendo alla guida un leader certamente riformista come Piero Fassino e pur avendo ormai una larga fetta di dirigenti che non hanno vissuto l’esperienza comunista – continuano a coltivare tradizioni, storia, cultura e memoria del vecchio PCI, da Gramsci a Togliatti sino a Berlinguer. Diversamente la questione cattolica non consiste più nel fatto che ci sia un partito – direttamente o indirettamente – collegato al magistero della Chiesa. L’unità politica dei cattolici – già assai logorata e ridimensionata - si è dissolta, una volta venuto meno il cemento costituito dalla necessità della difesa e, più tardi, del bilanciamento del comunismo italiano. La DC dopo l’89 ha perso la sua principale ragione d’essere. Di fronte a quanto era accaduto nel mondo e sotto l’urto della caduta del vecchio sistema politico, la DC non è stata in grado di ritagliarsi un nuovo ruolo di forza conservatrice, subendo come destino la sua divisione e il suo declino. La questione cattolica non esiste più in quanto sopravvive l’anomalia post-risorgimentale del partito dei cattolici, ma in quanto è comunque radicata e diffusa una cultura riformista che non è riducibile a quella della sinistra storica, che esprime suoi contenuti originali e che pur tuttavia non si è compiutamente laicizzata come, ad esempio, è avvenuto da tempo in Francia.

Tre nodi non sciolti

Queste tre questioni, per quanto diverse, sembrano appartenere alla storia e non essere più in grado di alimentare identità forti che valgano per il presente e per il futuro. Invece ancora contano, accendono animi e passioni, possono provocare grandi discussioni ma anche grandi divisioni. Ciò significa che queste tre questioni sono state accantonate ma non sono state risolte. Nel corso della nostra lunga storia, i socialisti hanno affrontato la questione comunista e quella cattolica nella convinzione che dalla loro risoluzione dipendeva il futuro delle riforme, della democrazia e della libertà in Italia. Questa impostazione nasceva dalla convinzione, che fu propria prima di Nenni e poi di Craxi che da Nenni la ereditò, che solo risolvendo queste tre grandi questioni politiche nazionali, quella socialista, quella cattolica e quella comunista fosse possibile creare una consistente forza riformista, analoga per influenza politica e per peso elettorale alle grandi socialdemocrazie europee. Questa antica aspirazione dei socialisti italiani dovrebbe essere oggi a portata di mano poiché non c’è più il PCI e non c’è più la DC, non c’è più un forte partito comunista né c’è più l’unità politica dei cattolici. Purtroppo, non c’è più neppure una forza socialista consistente che possa fare da catalizzatore di una nuova unità riformista. Fortunatamente, questo ruolo di punta è stato assunto da Romano Prodi, che assieme ad un gruppo politico intellettuale, tra cui risalta Arturo Parisi, si è addossato il compito di promuovere una ristrutturazione riformatrice del centro sinistra. Per quanto abbiamo potuto, noi abbiamo assecondato e sostenuto questo impulso che corrisponde ad una nostra antica e consolidata vocazione. Si tratta, tuttavia, di un disegno che non è affatto semplice da perseguire. Io vedo ancora ostacoli sulla strada di una ricomposizione delle diverse tradizioni progressiste in Italia che, oltre a quella post democristiana e post comunista e a quella socialista, comprende quella che interpreta il liberalismo in senso progressista e quella che incarna l’ecologismo che non è fondamentalista.

Non sarà, invece, un ostacolo l’uso del termine riformatore al posto di quello di riformista: per quanto mi riguarda, considero entrambi i termini equivalenti. Ricordo, a tale proposito, che Riccardo Lombardi considerava più forte il termine “riformatore” rispetto a quello “riformista” poiché richiamava la Riforma di Lutero che rispetto alla Chiesa di Roma proponeva una drastica trasformazione religiosa. Il termine riformista – a mio giudizio – meglio si adatta ad una trasformazione graduale che non implichi rotture. Si tratta, tuttavia, di distinzioni che non provocheranno certo divisioni.

Il problema più consistente sta nell’affrontare una situazione nella quale le identità di partiti che sono stati superati dagli eventi della storia contano ancor oggi di più della realtà del presente e delle prospettive per il futuro. Forte senso di appartenenza, infatti, viene suscitato quando si ritorna al passato, come in un flash back. Lo si è visto del resto anche recentemente quando si è accesa la discussione sul ruolo che è stato svolto dai partiti e da singolare personalità politiche nel collasso del sistema politico. Le identità quindi contano soprattutto come risultanze della storia, delle tradizioni e della memoria. Tuttavia, - e non lo faccio certo per una malinteso orgoglio di partito – vi è anche in questo campo una profonda diversità tra quella che è stata l’identità della Democrazia Cristiana o quella del Partito Comunista e l’identità socialista. Infatti, l’identità comunista è stata sopravanzata e superata dalle dure repliche della storia; l’identità cattolica ha subito una profonda trasformazione ritornando da caratteristica politica a credo religioso; l’identità socialista resta ancor oggi nel contesto italiano, europeo e internazionale qualcosa di profondamente unitario. Voglio sottolineare questa differenza tra le identità che sono ora in gioco proprio nel momento in cui ritengo che sia necessario che tutti si rimettano in discussione. Noi abbiamo da tempo apprezzato che nella socialdemocrazia europea e particolarmente nel New Labour di Tony Blair e nell’SPD di Schroeder si sia sviluppata una riflessione politica per andare oltre i confini tradizionali della socialdemocrazia europea.

La ricerca della terza via

Tuttavia, a partire dall’Italia si pone un forte problema di innovazione politica. Sarebbe davvero un errore se DS e SDI si rivolgessero alla Margherita con un tono di superiorità come se la socialdemocrazia europea rappresentasse una sorta di nuova ortodossia alla quale tutti i progressisti dovrebbero inchinarsi. I confini tra la socialdemocrazia e i liberali progressisti si sono si sono sempre più assottigliati ed oggi possono essere considerati superati. Sappiamo bene che la prospettiva di un cambiamento di sistema è da tempo fuori dagli orizzonti della socialdemocrazia. L’economia di mercato costituisce un riferimento essenziale per tutti i partiti socialdemocratici. Alla fine del secolo si è avviata una riflessione critica sulle ipertrofie, i burocratismi e le inefficienze che il troppo statalismo ha generato nei programmi riformisti. Si è cercata una “terza via” che potesse evitare l’iperstatalismo burocratico come il liberismo selvaggio, facendo convergere i propositi e i programmi di tutte le forze progressiste, dalle socialdemocratiche europee ai new democrats americani. Questa ricerca ancora in corso per se stessa comporta una stagione di innovazione nella quale possono ritrovarsi insieme socialdemocratici, cristiano democratici e liberali di centro sinistra, ecologisti riformisti.

A livello di europarlamento si porrà il problema di dove collocare gli eletti della lista unitaria. Non è evidentemente possibile né chiedere allo SDI e ai DS di abbandonare il gruppo socialista europeo; non è altrettanto possibile chiedere alla Margherita, sia a coloro che sono nel PPE, sia a coloro che sono nei liberali, di aderire al gruppo socialista europeo. Fermi questi due propositi, si può lavorare per far si che si crei a livello dell’europarlamento un gruppo che comprenda tutti i progressisti, una sorta di Casa dei Riformisti europei, che bilanci il PPE che è diventato già la Casa dei Conservatori europei, Berlusconi incluso.

Queste affinità tra diversi riformismi e diversi riformisti è comunque la molla che ci porterà alla costruzione della lista unitaria per le elezione europee. L’impianto di questo nuovo riformismo è già in larga parte nel manifesto con il quale Prodi ha stimolato alla riflessione le diverse componenti dell’Ulivo. Tuttavia è necessario – e su questo convengo – che si faccia un passo dopo l’altro.

Considero, però, la lista riformista il veicolo sul quale può transitare la più rilevante strategia della costruzione della Casa dei Riformisti. E’ infatti del tutto evidente che dal risultato elettorale che la lista avrà nella prova europea si determinerà un impulso più o meno forte nella direzione della costruzione di un nuovo soggetto politico. Insomma la strategia della costruzione della Casa dei Riformisti è affidata – come è giusto che sia – ai cittadini che andranno a votare più che agli stati maggiori dei partiti che l’hanno promossa. Noi ci dobbiamo misurare con il ruolo che il nostro partito, lo SDI deve avere, da questa Convenzione sino alle elezioni europee. E’ del tutto evidente che il nostro impegno dovrà portare ad accrescere consensi alla lista unitaria. Dobbiamo però essere consapevoli che, accanto alle elezioni europee, vi sarà una importantissima tornata elettorale comunale e provinciale nella quale ci presenteremo con il nostro simbolo, il simbolo SDI.

La costruzione della lista unitaria non comporta un allentamento del nostro impegno per rafforzare il partito che resta per noi uno strumento indispensabile per stimolare la costruzione di una più ampia strategia politica. In un cammino che è ancora incerto e che comunque noi vogliamo perseguire con determinazione, il mantenimento e il rafforzamento della nostra comunità politica, lo SDI, è per noi un dovere.

Noi abbiamo anche il compito di rivolgerci complessivamente a tutto il mondo socialista, a quella che con una immagine biblica viene chiamata diaspora. Noi siamo assolutamente consapevoli che rappresentiamo coloro i quali hanno assicurato la continuità al livello italiano e internazionale del movimento socialista. Non consideriamo affatto la costruzione della nostra strategia riformista come l’abbandono di qualsiasi tentativo di riunificate i socialisti. Noi siamo al contrario convinti che tanto più forte sarà la prospettiva di una nuova formazione riformista e tanto più riusciremo a recuperare quegli elettori socialisti oggi disorientati o male orientati. Abbiamo costituito un Forum dei socialisti, che per noi ha un carattere permanente, nel quale ricondurre il confronto tra tutte le anime socialiste e tra tutti coloro che hanno una radice comune. Abbiamo detto più volte che qualsiasi ipotesi di ricostruzione di una formazione riformista e socialista non può che avvenire a sinistra e nel centrosinistra. A Gianni de Michelis abbiamo detto e ripetiamo che, se il “Nuovo PSI” abbandonerà la sua collocazione nel centro destra che è innaturale e passerà all’opposizione, siamo pronti a realizzare da subito l’unità. Noi siamo comunque aperti e disponibile al confronto con tutti i socialisti. Guardiamo con interesse ai sindacalisti socialisti della UIL. Abbiamo apprezzato il valore della partecipazione del segretario Luigi Angeletti al Forum. Da tempo intratteniamo un confronto con molti dei dirigenti del vecchio PSI e del vecchio PSDI. Noi siamo convinti che la costruzione di una nuova strategia riformista potrà dare più forza alla stessa ricerca di una maggiore unità tra i socialisti. In questa nostra Convenzione dobbiamo assumere con convinzione e determinazione una decisione che influenzerà il nostro destino come quello dei DS, come quello della Margherita, ma soprattutto il destino del nostro Paese.

L’Italia sta vivendo una fase di declino. Sono tutti gli indicatori più sensibili alle trasformazioni strutturali a segnalarci che l’Italia sta perdendo lentamente ma inesorabilmente competitività a livello internazionale. Non stiamo facendo nulla per porre al centro delle nostre politiche pubbliche le questioni chiave dell’innovazione, della ricerca e della scuola. In una Europa che è in ritardo e che stenta ad avviare la ripresa economica, l’Italia è ancora più indietro perché a livello dei servizi, delle infrastrutture e di efficienza è sicuramente lontana dagli standard della Germania, della Francia e della Gran Bretagna. Non siamo tra coloro che addebitano tutti i guai del Paese a Berlusconi. Siamo consapevoli che l’Italia risente della congiuntura internazionale, vi sono mali antichi che non sono stati mai risolti e mali nuovi che si sono aggiunti. Tuttavia, si può fare qualche raffronto tra l’Italia del centro sinistra e quella Berlusconiana.

Il no a Di Pietro

Quella del centro sinistra ha risanato i conti pubblici, è entrata nell’euro e ha avviato una riduzione dello stock del debito, ha mantenuto lo Stato sociale e ha saputo contenere la dinamica dei prezzi. Quella berlusconiana ha fatto dei condoni una sorta di bandiera nazionale che sventola per indicare il calo di credibilità dell’Amministrazione dello Stato: prima quello fiscale, adesso quello edilizio e domani, forse, quello previdenziale. Sta facendo una manovra economica e finanziaria che tanto per far capire quanto è cara all’Italia la sorte della ricerca ha bloccato persino l’accesso ai ricercatori che avevano già vinto i concorsi. Di fronte al carovita che riduce il potere d’acquisto di stipendi e salari, dichiara la sua impotenza, ignorando che si possono adottare antidoti basati su una maggiore liberalizzazione della rete distributiva, su una maggiore trasparenza e su una politica dei trasporti che faciliti la mobilità del consumatore. C’è un conflitto d’interessi che riguarda il Capo del governo nel campo dell’informazione televisiva che è diventato – per prendere spunto da un libro di Carlo Rognoni – un vero e proprio inferno. Il Governo è entrato in collisione con i sindacati su una riforma delle pensioni che nell’immediato si basa su assai dubbi incentivi e che per il futuro annuncia svolte draconiane nel 2008 e nel 2015 con una buona dose di iniquità e con nessuna gradualità. Non è in discussione per noi “se” sia necessario ma “come” va fatto l’aggiustamento della riforma previdenziale. Sul “come” a nostro giudizio deve avvenire nel quadro di una riforma dello Stato sociale che dia ai giovani e non tolga agli anziani, ma risolva il problema delle pensioni di giovinezza. Rispetto a questo declino, il centro sinistra deve indicare la via per una ripresa. La lista unitaria deve raccogliere questa diffusa ansia di cambiamento che nasce da una delusione profonda per come stanno andando le cose. Dobbiamo fare una proposta per il governo che sia chiara, che indichi dove si recuperano le risorse e come le si voglio impiegare.

Noi dello SDI indichiamo fin da ora una sola priorità: la scuola, quella pubblica per intenderci. Per noi la scuola significa il futuro, la ricerca e l’innovazione.

L’avvio del processo verso la lista unitaria deve avvenire con l’approvazione di una decisione comune a noi, ai Ds e alla Margherita. Noi consideriamo che i tre partiti siano essenziali per promuovere il processo che ci dovrà portare alla lista riformista ma, non li consideriamo affatto esaustivi di una realtà più complessa che riguarda tutto il campo del centrosinistra. Siamo quindi perché si avvii un processo aperto a movimenti, associazioni e singoli cittadini che faccia uscire il processo in corso dai recinti davvero troppo stretti dei tre partiti che lo hanno promosso. Tuttavia vogliamo dire con la chiarezza che la lista dei riformisti o dei riformatori è per definizione composta da riformisti e da riformatori. Non si tratta di porre pregiudiziali o esclusioni. Se tutti avessero accettato la proposta di Prodi, noi saremmo andati alla realizzazione di una lista di tutti i partiti dell’Ulivo che come evidente non avrebbe coinciso con una lista riformista o riformatrice. Invece, dopo il rifiuto di Comunisti Italiani, Verdi e Udeur la lista assume connotati nuovi che è assolutamente necessario mettere in evidenza se si vuole conseguire un buon risultato elettorale.

Vogliamo dirlo con la lealtà che ci caratterizza: non è possibile inserire in questo processo formazioni o partiti come l’Italia dei Valori che non hanno nulla a che vedere con le componenti riformiste.

Di Pietro è già oggi un alleato dell’Ulivo e da parte nostra non è stato posto nei suoi confronti alcun veto affinché faccia parte, assieme a Rifondazione comunista, della più generale intesa che è necessaria per sconfiggere Berlusconi. Diciamo però con chiarezza: imbarcare Di Pietro nella lista unitaria, significa prevedere lo sbarco dei socialisti.

Come vedete, sono stato chiaro perché non si può cominciare una grande impresa in uno spirito di ambiguità. Chiedo, quindi, alla Convenzione un mandato per concorrere alla formazione della lista unitaria; chiedo un mandato perché sia rispettata la nostra identità e le nostre condizioni che non hanno nulla a che vedere con la protervia che non ci appartiene; chiedo un mandato pieno per iniziare quella che io considero la più importante scelta strategica fatta in Italia alla quale i socialisti possono dare e daranno un contributo decisivo.

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