14..07.1997 - LA QUESTIONE SETTENTRIONALE E LA RAPPRESENTANZA POLITICA DEL NORD ITALIA. relazione di Roberto BISCARDINI, Convegno promosso dal Gruppo regionale e dalla Segreteria Regionale dei Socialisti Italiani della Lombardia - Milano
01 gennaio 2000
Il modo migliore per fare politica è ancora quello di ripartire dalla realtà, dall’esame delle questioni più scottanti sul tappeto, cercando di dare risposte concrete ai problemi concreti (evitando di parlare solo di noi stessi e spesso solo a noi stessi). Per queste ragioni abbiamo ritenuto opportuno, come Gruppo regionale dei Socialisti Italiani della Lombardia e Segreteria regionale del Partito, promuovere questo incontro tra tutti i consiglieri regionali, gli amministratori locali e i dirigenti politici del Nord, per verificare insieme lo stato dei problemi, lo stato della situazione politica e individuare insieme il quadro delle nostre prossime iniziative.
Abbiamo chiamato a questo seminario alcune personalità esterne, che ringraziamo particolarmente e che interverranno nel corso della giornata; esse ci porteranno il proprio contributo conoscitivo e scientifico sulla situazione politica, economica ed istituzionale del cosiddetto Nord. Ci aiuteranno a definire il quadro dei problemi in assoluta libertà e, poiché anche il nostro dibattito non è stato preordinato, solo alla fine potremo trarre delle conclusioni. Agli organismi politici spetterà fare sintesi e a ciascuno di noi, nelle sedi politiche ed istituzionali, competerà assumere le iniziative più mirate.
Cercheremo oggi di rispondere ad alcune domande principali:
- cosa dobbiamo intendere oggi, nell’attuale momento storico e politico, per questione settentrionale?
- le diversità economiche, sociali e culturali interne al Nord (quel che resta del triangolo industriale, le caratteristiche e le trasformazioni in corso nel nord-ovest, le caratteristiche economiche e produttive del nord-est e il suo sconfinamento nella terza Italia centrale) consentono di individuare proposte concrete ed unitarie in grado di ridurre il malessere esistente e le aree di disagio che coinvolgono contemporaneamente i singoli cittadini, le imprese e le istituzioni?
- terzo, la questione settentrionale, come quella meridionale, è permanentemente il riflesso di una congiuntura economica e politica o è qualcosa di più?
E’ questo un tema antico, che ci trasciniamo da tempo, ma certamente sulla questione settentrionale pesa l’enorme divario tra paese reale e paese legale; pesano sul Nord problemi rilevanti, problemi che in qualche modo coinvolgono, anche se in forme diverse, ma comunque negativamente, l’intero Paese, problemi nazionali che al Nord assumono caratteristiche non comunemente accettabili, come:
- le pessime prestazioni della pubblica amministrazione,
- la bassa professionalità del sistema burocratico e persino la tendenza ad un suo peggioramento e ad un maggiore asservimento alla politica,
- la farraginosità delle legislazioni nazionale e regionali,
- la dispersione di risorse pubbliche,
- la pressione fiscale sia sui lavoratori dipendenti sia sui lavoratori autonomi rispetto al complesso dell’evasione fiscale nazionale,
- le pessime prestazione del sistema creditizio,
- le pessime prestazioni del sistema giudiziario.
E i disagi maggiori li sopportano con più evidenza le più giovani iniziative imprenditoriali, i nuovi lavoratori autonomi, la piccola e media impresa e l’artigianato che al Nord vanno via via meritoriamente sostituendo la grande industria e la grande impresa.
Questi disagi si fanno sentire nel nord-ovest e nel nord-est per la concomitanza di ragioni tra loro anche diverse: c’è qui una nuova imprenditoria che, certamente adattando o talvolta scavalcando vecchie regole e vecchie convenzioni, riassorbe la manodopera espulsa dalle grandi fabbriche in crisi, arricchisce territori e popolazioni fino a poco tempo prima poveri e arretrati, investe.
Questa piccola e media imprenditoria ha bisogno di sostegni che non trova; avrebbe bisogno di uno Stato che presti le stesse attenzioni che seppe dare e ancora dà alla grande impresa pubblica e soprattutto privata, al grande capitale finanziario e immobiliarista; avrebbe bisogno di attenzioni che oggi assolutamente non ha.
Faccio solo qualche esempio. Le difficoltà di rapportarsi con rapidità alle fonti di finanziamento del Ministero dell’Industria, del Ministero del Commercio con l’estero, i tempi per accedere ai Fondi europei sono vissuti come vere e proprie ingiustizie. I fondi strutturali della UE al Nord coinvolgono troppo pochi comuni e troppo poche imprese. Alla burocrazia statale (delle Camere di Commercio, di vari enti come Sace, Simest, Artigiancassa, ecc.) si somma la burocrazia e il centralismo regionale e soprattutto l’inefficacia del sistema bancario, che opera più per il sostegno della grande impresa e del grande capitale che non per chi lavora dentro un sistema autonomo ad alta produttività.
In queste condizioni si può anche cercare di continuare a resistere e battere la concorrenza internazionale; si può stare sul mercato, ma solo a certe condizioni, comprese quelle di pagare meno tasse o di evaderle se si riesce, di organizzare lavoro nero e irregolare, sapendo trovare comunque sbocchi positivi ad aspettative soggettive nuove e ad una manodopera saltuaria di giovani, anziani ed extracomunitari.
Questa è almeno la convinzione corrente, che tende a coinvolgere e ad alleare chi dà lavoro e chi lo prende, chi compra un prodotto e chi lo vende, chi eroga una prestazione privata e chi l’acquista.
Questo stato di cose dilata l’area del disagio e del malessere tra Nord e Roma e lo trasferisce dal livello dell’impresa e della produzione alle famiglie fino ai singoli cittadini.
E’ in questo clima che nasce e si diffonde la protesta; è in questo clima che la Lega lombarda in alcune aree del Nord raccoglie veri e propri consensi di massa; è in questo clima che nascono le azioni terroristiche delle minoranze venete; è in questo clima che la protesta si trasferisce sul terreno politico, protesta antistatalista, anticentralista, contro le istituzioni e contro il sistema dei partiti, identificati tutti insieme come la causa di tutti i mali. E’ in questo clima che alcuni pensano di contrastare la Lega con partiti di stampo localistico quali quelli annunciati nel nord-est e nel nord-ovest.
Naturalmente il Nord anche in questi ultimi anni è stato “migliore” rispetto a come è stato “dipinto” dal centro, da Roma, dalla stampa e dalla politica dei due Poli che hanno pensato di combattere la Lega nord (che nel frattempo aveva anche conquistato molte realtà regionali, comunali e provinciali), descrivendo il Nord come una realtà alla deriva, in mano alla barbarie, solo luogo di egoismi, settarismi e tensioni culturali.
Cosicché il peso politico, che il Nord e le sue istituzioni, le sue Regioni, ma soprattutto le sue autonomie comunali avevano nel passato esercitato nella politica italiana, è diventato sempre minore.
La coincidenza del successo della Lega nel 1993 con la conquista di molti comuni e province del Nord, e di Milano in particolare (con il suo significato simbolico “via i Socialisti arrivano i Leghisti”), ha fatto spostare l’asse degli interessi. La politica nazionale, insieme alla grande stampa, ha avuto buon gioco a sostenere e a valorizzare, al di là del giustificabile, le amministrazioni di Roma, Napoli e persino Catania (il sindaco Bianco è eletto Presidente nazionale dell’Anci), con ciò danneggiando non tanto la Lega di Umberto Bossi, che anzi da questi atteggiamenti ha sempre tratto buoni vantaggi, ma le potenzialità economiche e imprenditoriali e le più diffuse aspettative del Nord.
A livello nazionale, il Polo prima e il Centro sinistra ora, almeno dal 1994, non sembrano per nulla intenzionati ad affrontare concretamente e positivamente questo sistema di disagi, o non ce la fanno.
A Roma perdura la convinzione che il Nord sia perso e pertanto conviene che sia lasciato alla Lega. Perdura un disinteresse politico a batterla seriamente (non dimentichiamoci che la Lega è stata prima organica al Polo e, dopo il “ribaltone“, è stata oggettivamente alleata del Pds, che ha ricambiato a livello locale: a Milano, il suo sostegno è stato essenziale per far arrivare Formentini alle fine del mandato).
Oggi entrambi i Poli dicono di combatterla, ma nello stesso tempo auspicano che non finisca nell’influenza dell’altro e quindi entrambi la corteggiano.
Tengono conto della sua forza e d’altra parte i suoi voti, se non cambiano gli attuali equilibri politici, sono decisivi per vincere in Parlamento e nel ballottaggio alle elezioni comunali e provinciali.
Contemporaneamente l’immagine del Nord è peggiorata su più fronti.
In Lombardia ad esempio Tangentopoli non ha colpito pesantemente solo il sistema politico e dei partiti, ma l’intero sistema imprenditoriale e questo fatto ha completato l’opera di indebolimento della sua immagine.
La tesi di questo incontro, naturalmente, è che il Nord a certe condizioni può comunque ritrovare le energie per reagire; si tratta di individuare i rimedi principali, senza trascurare nessuna questione, compresa quella della sua rappresentanza politica, che per la verità incide in senso negativo al pari delle questioni economiche e sociali.
Mi limito a questo proposito a sottoporre cinque questioni e cinque tentativi di risposta, così sintetizzati.
1. Il nord è attualmente pervaso da una cultura liberista sostenuta dal Polo e da una cultura secessionista sostenuta dalla Lega. Queste due posizioni politiche possono essere battute concretamente solo dalla rinascita di una forza politica di ispirazione socialista riformista e liberale che contrapponga al liberismo il liberalsocialismo ed alla secessione il federalismo.
Infatti la scomparsa dell’area socialista e di una cultura di governo che, nonostante tante carenze e responsabilità, aveva garantito fino al 1992 il governo del paese e il governo della gran parte delle città del nord, con un peso determinante sia nelle coalizioni di centro sinistra sia in quelle di sinistra, insieme ad una grave debolezza politica e culturale della attuale sinistra democratica, ha aperto la strada prima alla Lega e poi al Polo e buona parte dell’elettorato socialista, al pari di quello laico e democristiano, in questi ultimi cinque anni si è di conseguenza riversato lì.
Non a caso l’attuale coalizione di centro sinistra senza una consistente formazione socialista e laica al suo interno, in molte aree e in molte città del nord, non vince.
La prima sfida sta proprio in questa prima considerazione.
Noi riteniamo che quella cultura liberale, socialista e riformista che proprio nel Nord aveva impiantato le sue radici e che appartiene alla cultura di governo della parte migliore di questo Paese, possa, proprio a partire dal Nord, riorganizzarsi sul piano politico.
Nel momento in cui maggiori sembrano essere le difficoltà, quella cultura ha il dovere di farsi sentire e farsi valere.
2. La maggior debolezza politica del Nord è attualmente rappresentata dalla debolezza delle proprie istituzioni.
Esse non esercitano più quel ruolo politico di livello nazionale che spesso hanno saputo esercitare; sembrano accettare il loro confinamento nelle competenze separate dello Stato centrale e sembrano accettare una certa subordinazione alle istituzioni centrali, consentendo ai governi centrali di usare il Nord a propri fini più di quanto non sia mai avvenuto. E il centralismo diventa sistema di potere e ingerenza nella vita democratica delle nostre istituzioni.
Ciò è evidente da molti fatti, da molti interventi del Parlamento e del Governo. Per stare alla cronaca cito in ordine di tempo alcune nomine fatte recentemente da questo governo e il comportamento scomposto di alcuni ministri nella vita politica e nelle istituzioni economiche e culturali delle nostre regioni.
(Veltroni nomina un suo conoscente come presidente del Vittoriale contro il parere e le indicazioni delle istituzioni locali bresciane, Bersani nomina il Presidente della Fiera in contrasto con le indicazioni delle istituzioni milanesi, lombarde e di categoria, Burlando e i Verdi sulla vicenda di Lacchiarella in spregio allo stesso Parlamento assumono decisioni corrispondenti solo alle volontà espresse dai loro partiti, le idee un po’ troppo stataliste del ministro Bindi rischiano, al pari dei guasti prodotti dalla Giunta regionale in materia, di distruggere un sistema sanitario e scientifico di straordinaria importanza, le leggi Bassanini di modifica della 142 meridionalizzano il Nord, indeboliscono il sistema delle autonomie e la democrazia nelle istituzioni, mettono nelle mani della burocrazia il processo di sburocratizzazione dello Stato).
Ma ancora le iniziative regionali non trovano a livello centrale sbocchi positivi: i progetti di riforma istituzionali proposti dalle Regioni sono stati pressoché cestinati, i referendum regionali cassati dalla Corte costituzionale, il ruolo delle regioni e dei comuni nella libera contrattazione con lo Stato centrale per l’attuazione degli interventi complessi è sempre più compromesso.
3. Il Nord deve poter ritrovare nelle forze politiche del Nord le ragioni della propria identità e il sostegno delle proprie aspettative.
Contemporaneamente il Nord più che mai ha bisogno di un governo e di una classe dirigente che sappia rappresentare le sue esigenze e le grandi trasformazioni economiche e sociali in corso.
Il Nord non può delegare ad altri la risoluzione dei suoi problemi e Bossi non è l’unica alternativa a disposizione. Il Nord non può delegare Roma, se vuole frenare le spinte secessioniste e se intende nuovamente svolgere un ruolo di governo del paese. Deve far proprio il problema dello Stato nazione e delle sue riforme. Deve farsi carico delle difficoltà in cui oggi si trovano gli Stati nazione, sempre più indeboliti dalla presenza di istituzioni comunitarie e internazionali, che eserciteranno poteri e condizionamenti sempre maggiori, e sempre maggiormente aggrediti dall’interno da spinte secessioniste e movimenti di carattere etnico che ne minano l’unità.
D’altra parte fin dall’Unità di Italia la questione settentrionale coincide con l’insieme delle problematiche che si sviluppano intorno alla questione dell’Unità nazionale.
Il Nord seppe dare allora risposte concrete utilizzando la forza delle proprie città, e le conseguenti identità urbane certamente più forti di quelle regionali. Con il peso delle sue stesse diversità interne e con il peso del suo pluralismo istituzionale trasformò i Comuni da semplici parti di uno Stato di origine settecentesca in organi di autogoverno locale e, in qualche modo, seppe esportare questa cultura al resto del Paese.
La sintesi migliore è ancora quella di Carlo Cattaneo: “I comuni sono la nazione; la nazione nel più intimo asilo della sua libertà”.
Intorno al ruolo costituzionale dei comuni, ai loro poteri e alla loro importanza strategica dedicheremo nei prossimi mesi buona parte delle nostre iniziative.
4. Occorre una classe politica che influisca a livello nazionale affinché la riforma dello Stato sia una riforma vera e consenta il passaggio da uno Stato unitario e centralista a uno Stato unitario e federale.
A questo proposito il seminario di oggi servirà a definire il pacchetto degli emendamenti da proporre al Parlamento affinché la proposta di riforma costituzionale approvata dalla Bicamerale recuperi pienamente il modello federalista che oggi manca quasi completamente.
Si tratta di valorizzare il ruolo e i poteri delle autonomie regionali e comunali, evitando di sollecitare inutili conflitti fra di loro.
Si tratta attraverso il federalismo di garantire allo Stato quella unità che oggi rischia di perdere.
Si tratta, attraverso il rafforzamento dei poteri alle Regioni, di ridare alle Regioni stesse ciò che via via gli è stato tolto dopo la loro istituzione, a partire da quel famigerato DPR 616 che, in perfetto clima da compromesso storico, incominciò a limitare la loro azione.
Non abbiamo alcuna intenzione di unirci al fronte del No, alle sue posizioni demagogiche, qualunquistiche e peroniste. Né di limitare, come fanno i professori, ogni nostra attenzione alla forma di Governo e al perfezionamento dei poteri del Presidente delle Repubblica eletto direttamente del popolo rispetto al ruolo del Governo e del Parlamento.
Ma piuttosto di ribadire il nostro pensiero, e cioè: senza un impianto di tipo federalista la modifica della Costituzione non ha praticamente senso, e si dimostrerebbe solo come il cavallo di Troia delle forze maggiori per cambiare un’altra volta la legge elettorale anziché riformare lo Stato.
D’altra parte la nostra impostazione, fin dalle origini della Grande riforma, ha sempre tenuto uniti semipresidenzialismo e federalismo come due facce della stessa riforma, due aspetti di un stesso sistema di equilibri, l’uno senza l’altro non fa che snaturare l’impianto originario e l’impianto democraticamente possibile.
Per questo noi riteniamo che il Nord, le sue Regioni e le sue città soprattutto, debbano scendere in campo con tutto il loro peso, con il peso della loro storia e della loro civiltà, per tentare di fare oggi ciò che non gli riuscì con l’Unità di Italia e nemmeno con la prima Costituzione.
Allora il Nord non uscì bene, allora la cultura liberale e riformista non uscì bene. Nonostante le sue grandi personalità, prevalsero le forze centraliste, quella democristiana e quella comunista, e, nella mediazione e nel compromesso tra il mito della classe lavoratrice e i valori cattolici della persona umana, si mortificarono i valori della cultura liberale, socialista e libertaria.
Gaetano Salvemini in un articolo pubblicato nel 1954 a commento della Costituzione del 1948 dice “La Costituzione lunga quanto la notte di Natale (quella di oggi lo è ancora di più)... volle essere perfetta, eterna, costruita con metodo filosofico, giuridico, deduttivo. Nella Repubblica tutti sono felici, non vi è disoccupazione, il lavoro è sovrano, tutti sono garantiti nell’istruzione, nessuno è messo in carcere senza giusta causa... Ma il codice Rocco resta.” E aggiunge ”Abbiamo una Costituzione coi fiocchi, ma la legislazione fascista è rimasta intatta”.
Come dire: volevamo e vogliamo una grande ed essenziale riforma dello Stato adeguata ai tempi, ma anche la legislazione ordinaria va adeguata, per accompagnare il processo di modernizzazione del Paese, che la nuova Costituzione dovrebbe introdurre, ad un processo riformatore che non può essere messo da parte.
Il seminario di oggi avvia inoltre il dibattito, che presto apriremo, sugli Statuti regionali e sui sistemi elettorali che ogni Regione dovrà votare, al proprio interno, appena approvata la riforma costituzionale.
Si tratta di iniziare subito per poter votare nei consigli regionali i nuovi Statuti e le leggi elettorali appena il Parlamento avrà approvato la nuova Costituzione e comunque prima del rinnovo dei Consigli regionali nel 2000.
5 Occorre una classe politica capace ed autorevole per ridare anche al Nord il primato della politica.
Ma il primato della politica non è l’arroganza del potere e riduzione di tutto ad un sistema di potere che si intende impiantare, come oggi sembra accadere.
Anzi, contro la logica degli interessi dei partiti che sembrano impedire sempre più il libero esercizio democratico delle istituzioni e contro gli interessi del grande capitale, che più di prima condiziona gli interessi dei partiti, è necessario reagire e ripristinare il primato della Politica vera.
Il ruolo dei partiti nelle istituzioni è essenziale; nelle istituzioni le forze politiche hanno il dovere politico di rappresentare interessi, aspirazioni e persino concezioni culturali in contrapposizione e dialettica con altre posizioni e quindi le istituzioni sono la sede naturale della formazione delle decisioni, ma le istituzioni non sono il terminale burocratico, esecutivo, della politica di singole forze politiche, delle segreterie nazionali o locali dei partiti: questo è vero solo nei sistemi politici di tipo autoritario. Nelle istituzioni le decisioni che liberamente maturano al loro interno, nei diversi organismi istituzionali, devono poter prevalere con chiarezza e trasparenza rispetto ai piccoli o grandi interessi della politica dei singoli partiti.
Il primato della politica, rispetto a quello della stampa o della magistratura, se non ammette la subordinazione della politica ai secondi come è accaduto nel recente passato, dall’altro non dovrebbe ammettere l’uso strumentale della stampa e della magistratura per fini di bottega, di partito, come mano armata della lotta politica, eppure ciò accade.
Questo coinvolge il tema della democrazia e del suo funzionamento, ma sul tema della democrazia nelle istituzioni e sul tema delle libertà politiche avremo presto altre occasioni per ritornare a riflettere.