14.07.1997 - LA QUESTIONE SETTENTRIONALE E LA RAPPRESENTANZA POLITICA DEL NORD ITALIA - Intervento del prof. Giulio REDAELLI – Milano, Consiglio regionale della Lombardia
01 gennaio 2000
La questione settentrionale, e, quindi, la possibilità che la cultura e la tradizione politica del Nord Italia, e più direttamente della Lombardia, concorra alle innovazioni costituzionali, involge e s’involge nelle proposte della Commissione Bicamerale sull’amministrazione della giustizia, sul presidenzialismo e sul federalismo. Questioni tra loro interconnesse.
Sull’amministrazione della giustizia, Milano si trova annichilita dalla ripresa dei metodi dell’Inquisizione, dall’uso politico dell’amministrazione della giustizia in funzione dei rapporti di forza. Storicizziamo. Milano è la città dove un certo Piazza, dopo i supplizi e le torture, i tormenti e gli spasimi dell’estetismo ignobile dell’inquisizione, divenuto il primo pentito, confessò l’inconfessabile delitto della diffusione della peste, con il solo risultato di trascinare altri nella sua atroce sventura; è la città che eresse la colonna infame sul sedime della casa del Piazza, a memoria imperitura del crimine; è la città dove, non degli untori, ma pochi decenni dopo quella colonna infame fu distrutta di nascosto in una notte dagli eredi di coloro che l’avevano eretta, perché per contrappasso testimoniava l’infamia dei loro aguzzini; è la città dove l’illuminista Cesare Beccaria avviò la riflessione epocale sui delitti e sulle pene, che trasformerà il codice penale da strumento di terrore a strumento di civiltà, diramando per tutta l’Europa e il mondo. Si dirà: gli untori erano innocenti, mentre molti sono oggi i colpevoli; è vero ma non l’innocenza o la colpevolezza, bensì Beccaria discuteva l’uso dell’amministrazione della giustizia per scopi politici. Si dirà: i procuratori hanno fatto il loro mestiere; è vero, ma Emil Ludwig nella sua biografia di Stalin, pubblicata in Italia fin dal 1942, così commentava i crimini stalinisti: <>. Molto è possibile fare, ma se è vero che il psi ha compiuto errori negli ultimi anni della sua ultima leadership (ne aveva computo molti altri anche prima), è anche vero che, non dalla dissoluzione del pool, ma una nuova credibilità ai partiti riformisti, liberali e socialisti, potrà venire dall’analisi delle ragioni politiche: se si è trattato di genocidio politico, non sarà opportuno una alleanza con coloro che, prima di costruire la colonna infame contro di noi, nell’area milanese (e non soltanto) i sindaci e gli assessori socialisti perché capaci e onesti, e sostenuti dal consenso; i quali, a ben vedere, sono gli stessi che egemonizzano i contenuti dell’attuale Costituzione, e che vogliono ora cambiarla ripristinando quella convergenza cattolico-marxista e democristiano-comunista, gli stessi che applaudono all’incontro tra Ingrao e il cardinale Silvestrini, tra Bertinotti e il cardinale Tonini.
L’Iniziativa può concentrarsi sul documento della bicamerale, senza patire le soggezioni già patite dai costituenti socialisti dopo la Liberazione; proponendo in autonomia gli emendamenti coerenti con i nostri valori, con la nostra tradizione, con le nostre attese; senza compiere gli errori di allora.
Molto si può proporre sui contenuti del “federalismo”, a partire dalla grande tradizione amministrativa, liberare e socialista: uno degli errori politici nei primi anni 90 è stato proprio l’abbandono della strategia che, oggi, è sulla bocca di tutti. Questione ben più importante dei contenuti del “presidenzialismo”: il confronto dialettico che, concorrendo a definire gli interessi generali, s’instaura negli USA tra il Presidente e il Congresso, e in Francia tra il Presidente della Repubblica e il Primo ministro: è un problema degli storici e dei professori; in Italia questa dialettica deve instaurarsi tra il Parlamento (compresi il Presidente della Repubblica, eletto direttamente dal popolo, e il Presidente del Consiglio, eletto dalla Camera e dal Senato), da una parte e ,dall’altra, le Regioni e i Comuni la cui espressione sia il Senato.
E’ questo il “federalismo urbano” del quale possiamo ricordare alcuni momenti della storia recente.
1° - <> è la locuzione usata per primo da Proudhom: abbiamo dimenticato le ironie dei comunisti sul tentativo socialista di riesame del passato marxista, statalista e centralista ? Non voglio dire che il federalismo radicale - ripreso poi da Miglio - fosse negli anni 70 una proposta politica centrale nel discorso socialista (peraltro oggetto di una attualisssima riflessione di Rodolfo Morandi; ma lo divenne negli anni 80.
2° - Fu il psi a celebrare le cinque giornate di Milano con un discorso del segretario su Carlo Cattaneo, liberale e socialista, unitario e federalista, odiato dagli idealisti d’ogni estrazione.
3° - Dopo il documento di Pontida - Bossi vagava ancora per il varesotto -, fu il ministro Tognoli ad aprire un convegno del gennaio 1988, ripreso nel 1989, sul diritto all’autonomia nell’Italia delle città, affermando <>.
4° - Nel 1990, fu soprattutto il psi - posso testimoniarlo, avendo seguito l’intero processo parlamentare - a conquistare l’art. 27 della legge n. 142/1990, ossia il modello di esercizio del potere di decisione noto come <>, in cui consiste la principale conquista federalista - in urbanistica, s’intende - che il governo Prodi, in nome del falso federalismo; sta smantellando.
Non aver voluto o saputo portare avanti una mobilitazione di massa sui valori liberali e socialisti di questo federalismo: ecco una delle ragioni della sconfitta politica dei socialisti, e, quindi, uno dei punti di applicazione dello loro iniziativa.
C’è federalismo e federalismo.
Il federalismo istituzionale (regionale o municipale) si limita alla divisione dei compiti ( il cosiddetto decentramento e la cosiddetta deconcentrazione), con seguenti effetti:
1° - la sovraordinazione statalistica e centralistica: il Comune rappresenta l’interesse pubblico sul suo territorio, la Regione sul territorio dei i comuni nel suo ambito e il Parlamento sull’intero territorio nazionale.
2° - le logiche assurde e ottocentesche delle competenze pietrificate e del riparto delle risorse vincolato a livello nazionale: la sovraordinazione dello stato nazionale sullo stato regionale e comunale, in varie forme, hard e soft (federalismo istituzionale competitivo, collaborativo e via discorrendo) è una necessità per decidere.
del federalismo istituzionale è falsa. Se <> , così Popper (1994), il Parlamento decide questa cornice comune, e diventa legittimo il trascinamento delle opzioni dal centro alla periferia, dal generale al settoriale. Ma una cornice comune di assunzioni di base è impossibile per ragioni logiche (donde la conflittualità permanente, che è l’effetto della sovraordinazione), e, quando fosse possibile, sarebbe improduttivo e infecondo in un sistema liberale e democratico, ogni istituzione persegue legittimamente la massimizzazione della funzione istituzionale dell’utilità generale. Invece di ricercare una diversa regola di razionaliltà, il documento bicamerale da per scontato che il Parlamento possa decidere in solitudine i principi di giustizia.
L’altra impostazione riguarda il federalismo urbano (tra costruibili città perfezionate che sono insiemi di ambiti provinciali, ossia delle aree urbane, le cui istituzioni di governo esistono già, le Regioni e i Comuni). La differenza centrale è la seguente: non soltanto la divisione dei compiti, ma consiste nella contrattualizzazione libera e paritaria, interattiva e unanime delle scelte che sono attribuite alla competenza comune dello stato nazionale, regionale e comunale. E’ l’impostazione socialista e liberale del federalismo (non deve essere liberale e socialista il nuovo partito?): assume dalla teoria liberale la necessità dell’autonomia di ciascuna legittimità centrale o locale, ai fini della ricerca dell’interesse generale, e dalla teoria socialista la necessità della convergenza tra le legittimità in funzione dell’interesse generale. Gli effetti di questa impostazione sono noti:
1° - organizza il processo decisionale per garantire, non gli interessi dello Stato, delle Regioni, dei Comuni, in quanto tali, dunque dei partiti, ma gli interessi dei cittadini che, organizzati nelle convivenze, appartengono simultaneamente allo Stato regionale, comunale e nazionale.
2° - nessuna opera, intervento o programma di intervento stratetico (ossia attribuito ad almeno due competenze), può pertanto essere decisa senza l’unanime consenso di tutte le legittimità.
Per la cultura liberale e socialista, il sentimento referenziale in grado di condizionare le coscienze verso la virtù civica dell’uguaglianza è l’appartenenza urbana: + il sentimento della stragrande maggioranza dei cittadini, che si sentono prima cittadini di una Città, poi di una regione, quindi dell’Europa e, infine, della Repubblica: ed è il sentimento della stragrande maggioranza degli amministratori socialisti.
Il primo EMENDAMENTO dovrebbe riguardare l’art. 55 che recita:<>. La formulazione da contrapporre è: <>; eliminando le provincie, da trasformare nei consorzi di Comuni per iniziativa delle Regioni. La questione non è nominalistica: se ogni territorio è parte integrante dello Stato, e ogni collettività è parte integrante della Nazione, né, ovviamente, lo Stato.Nazione - allora Stato sono anche le Regioni e i Comuni (non le Provincie, che, come vedremo, sono lo Stato nazionale contro le Regioni e contro i Comuni).
Il secondo EMENDAMENTO riguarda il problema delle Provincie, ossia:
- al paragrafo terzo dell’art. 61, al punto d) occorre inserire il principio del coinvolgimento decisionale dei Comuni e loro Consorzi nelle scelte della Regione;
- all’art. 66, occorre fissare che spetta alle Regioni stabilire se e quali poteri possono essere dati alle Provincie o alle loro Associazioni;
- sempre all’art. 66, occorre fissare che spetta alle Regioni la proposta di nuove Regioni corrispondenti alle aree urbane (senza limiti di popolazione: perché 2 milioni? 12 Regioni attuali su 20 hanno meno di 2 milioni di abitanti)
L’espropriazione dei poteri dei Comuni a vantaggio delle provincie e delle cosiddette Città metropolitane è inammissibile: se è necessaria la soppressione dei compiti e delle funzioni divenute superflue, è soprattutto necessaria l’eliminazione delle istituzioni divenute superflue. Occorre infatti ricordare che la Provincia è nata in funzione del centralismo e dello statalismo contro i Comuni, e che la Città o Provincia metropolitana è nata in funzione del centralismo e dello statalismo contro i Comuni e le Regioni. E’ vero che la frammentazione comunale non consente una rappresentazione dello spazio: non esiste più una convivenza chiusa entro i limiti e i confini municipali. Ma per i problemi del livello regionale la soluzione è l’autocoordinamento tra la Regione e i Comuni, ossia la pianificazione e l’attuazione mediante Protocolli di accordo e Accordi di programma, e la realizzazione e la gestione mediante i Consorzi di Comuni., liberi e paritari: per i problemi del livello intercomunale la soluzione è l’autoccordinamento tra i Comuni.
Il documento della bicamerale ammette la rilevanza dei problemi intercomunali, ma soltanto strumentalmente, ossia sotto il controllo della Città o Provincia metropolitana: in questo modo si sottrae la politica della visibilità (chi sa cos’è la Provincia ? chi conosce il Presidente della Provincia ? chi sa cos’è il governatore metropolitano?). Del resto, la strumentalità è evidente da un semplice fatto: il Parlamento ha sempre rifiutato che le Aziende municipalizzate per la gestione dei servizi pubblici, per esempio di trasporto, potessero svolgere la loro attività oltre i confini comunali, ossia senza limiti di carattere territoriale.
In conclusione, le Regioni e i Comuni esprimono la loro vitalità né lavorando contro lo Stato né facendo i fatti propri; se è inutile attendersi concessioni, non si tratta di aprire uno scontro frontale, al di là delle forze disponibili, ma di mostrare le unghie di una tradizione gloriosa: basterebbe trasformare in programma nazionale le indicazioni generali date da Biscardini e da Baruffi nelle loro introduzioni.