13 ottobre 2002 - QUELL'ARMATA BRANCALEONE - Ma vale la pena di salvare l'Ulivo? - di Giovanni SARTORI
13 ottobre 2002
Vale la pena di salvare l’Ulivo? Oppure è controproducente? L’8 ottobre ho ritenuto che non fosse salvabile e che nemmeno meritasse di essere salvato. Gli ulivisti non hanno fiatato (qualsiasi nuova idea li sconvolge). Cesare Salvi (Ds) mi ha dato ragione, ma per Dario Franceschini Margherita) il mio discorso era «astratto» (pensare che a me sembrava concretissimo, tutto intriso di elementi di fatto). E i più, dicevo, sono restati zitti. Un comune mortale che batte la testa contro un muro si chiede se la colpa non sia della testa. Mai nostri politici non sono comuni mortali. Anche se battono la testa nello stesso muro cento volte, per loro la colpa è sempre del muro.
Per fortuna trovo il sostegno di Massimo Salvadori su la Repubblica di ieri, che dichiara in un suo attento articolo di «condividere al cento per cento» la mia tesi. E che mi ricorda di aver sostenuto anche lui, mesi fa, che «vi è una contraddizione in termini nel pensare che, se l’Ulivo mal funziona come alleanza di partiti per divisioni di sostanza, il superamento di queste ultime possa essere ottenuto premendo in direzione del sonetto unico». Sono io, a mia volta, a essere d’accordo al cento per cento con Salvadori.
Mi sostiene, senza dirlo, anche Giampaolo Pansa quando annota sull’ultimo Espresso che i Ds sono divisi in cinque tronconi, e che anche I a Margherita si scompone in cinque gruppi (Castagnetti-Bindi, De Mita-Mancino, Marini-Letta, i prodiani di Parisi e i rutelliani). Aggiungi lo Sdi di Boselli, l'Udeur di Mastella, più Cossutta, i Verdi, e anche (perché no?) Di Pietro e Cofferati. Se non è un’armata Brancaleone, poco ci manca.
E Pansa conclude pressappoco come me, così:
«Allora, per favore, non parlateci più dell’Ulivo. Ogni partito si gratti le proprie rogne. E faccia, se può, la sua corsa verso una nuova normalità. Poi, quando le elezioni saranno più vicine, ne discuteremo».
Sì, come andare alle elezioni sarà da vedere a quel momento. Ma è necessario capire sin d’ora come ci dovremo regolare con il sistema elettorale che abbiamo. Certo, io predico da sempre: Mattarellum delendum est; ma pretendere uno sprazzo di intelligenza su una riforma che può convenire a tutti del sistema elettorale sarebbe troppo pretendere. E se restiamo con il Mattarellum , l’obiezione diventa che l’Ulivo è una camicia di forza resa necessaria dal sistema elettorale. Ma non è così. Margherita e Ds usino i prossimi tre anni a consolidarsi internamente senza più scannarsi esternamente. Dopodiché è chiaro che per i collegi uninominali del Mattarellum si dovranno aiutare con desistenze reciproche. Io mi presento qui, tu ti presenti lì. Questa alleanza elettorale ci vuole; ma è l’unica alleanza richiesta. Che non è più richiesta nella quota proporzionale del Mattarellum, dove è bene che i partiti si presentino con le loro separate identità.
Resta, o può restare, l’ulteriore obiezione che in questo ordine di combattimento la destra avrà un capo «certo» e ben visibile, mentre può darsi che la sinistra si debba affidare, se vincesse, al presidente del Consiglio espresso dal partito più votato. Come normalmente avviene nelle democrazie bipolari che non sono caratterizzate da partiti dominanti. Ma se questa è una soluzione possibile, è anche una soluzione conveniente? A questo modo non avremmo una sinistra svantaggiata, una sinistra che combatte Berlusconi senza avere un contro-Berlusconi? Secondo me non è detto. Nel 2001 abbiamo avuto un Berlusconi luccicante e glorioso; ma alle prossime elezioni lo potremmo ritrovare appannato e arrancante. Nel 2001 il Cavaliere era un faro; tra qualche anno potrebbe essere soltanto un parafulmine facile da fulminare. Ripeto: nulla è ancora detto. Ma se così non va, occorre provare cosa.
Corriere della Sera