09.06.1998 – DOPO IL FALLIMENTO DELLA BICAMERALE NON SI PUO’ USARE IL 138 - Roberto BISCARDINI, Avanti della Domenica
01 gennaio 2000
Si vorrebbe usare il fallimento della Bicamerale per far vincere nuovamente chi ha perso e sconfiggere i vincitori. La causa principale del fallimento della Bicamerale, rispetto a ciò che avevamo proposto noi fin dall’inizio e cioè l’elezione diretta di un Assemblea costituente, è stata quella di riportare nel dibattito sulla nuova Costituzione le incongruenze di questo bipolarismo, il peso degli equilibri parlamentari, le mediazioni (se non i ricatti) tra maggioranza e opposizioni, puntando tutto sull’accordo tra estremi.
Altro che “trippa per gatti”, come ha ricordato D’Alema all’assemblea degli industriali, lui, certamente non nuovo, non può far credere a nessuno che il fallimento sia stato voluto per tornare indietro, a tangentopoli, al vecchio sistema dei partiti; semmai ciò che è saltato è stato il tentativo di accordo politico tra il capo degli ex comunisti e il capo degli ex fascisti sulla testa di tutti gli altri. Ma l’errore ancora più grave è stato quello di pensare di poter usare la questione costituzionale, per proseguire nello scellerato disegno di continuare a pasticciare in materia elettorale. Come se un accordo elettorale consumato davanti ad una crostata, per peggiorare una legge già di per se iniqua, bastasse a mettere il coperchio su un disegno costituzionale molto più confuso di quello in vigore. A Bicamerale fallita bisogna rispondere ricordando tre verità.
Dopo il fallimento della terza commissione bicamerale l’unica via oggi praticabile è solo quella di eleggere in modo proporzionale una vera Assemblea costituente. Secondo, con il fallimento della Bicamerale esce malconcia l’idea stessa di bipolarismo, e comunque esce malconcio questo bipolarismo che non garantisce separazione di ruoli tra maggioranza e opposizione, non garantisce capacità di governo, mina la democrazia sovvertendo la separazione e l’equilibrio dei poteri.
Terzo, escono male tutti i tentativi di collegare ed addirittura anteporre all idea forza di una nuova carta costituzionale, il tema di una riforma elettorale più maggioritaria di quelle esistente. Pur con la necessaria modestia, spetta anche a noi dare un contributo alla chiarezza.
Primo, bisogna rifiutare nel modo più categorico che si possa uscire dal fallimento della Bicamerale con l’ipotesi di usare in Parlamento l’articolo 138. Aldilà dei tempi, al di la dell’ingorgo referendario che implicherebbe questa procedura, il no al 138 è un no politico senza condizioni. Esso riguarda il modo corretto dell’esercizio della democrazia in questo Paese. Infatti la possibilità data dall’attuale Costituzione al Parlamento (con la procedura del 138) di modificare direttamente il testo costituzionale era strettamente legata al fatto che, quando fu scritta, si prevedeva un Parlamento eletto rigorosamente con metodo proporzionale. Usare invece il 138 in un Parlamento eletto con metodo maggioritario è un tentativo golpista messo in campo dai suoi sostenitori (Mussi, Violante, Mancino tra gli altri), che farebbe rigirare nella tomba i nostri padri costituenti.
Secondo, alla grande crisi del bipolarismo che è alla base dell’incapacità delle forze politiche, paradossalmente più frantumate di prima, di varare una grande riforma, bisogna proporre un nuovo equilibrio politico, non fondato su un bipolarismo degli estremi, ma su una nuova coalizione che unisca i riformisti e i riformatori di centro e di sinistra, contro la parte conservatrice sia interna al Polo sia interna al centrosinistra. Questo presuppone una cosa che per ora appare impossibile, ma che impossibile non è. Presuppone la rottura di Forza Italia e contemporaneamente la crisi del Pds oggi Ds, affinché l’area più conservatrice di Forza Italia si saldi giustamente con la destra di Fini e quella conservatrice dei Ds si possa nuovamente unire a Cossutta e Bertinotti. Ne consegue che l’unica via è un nuovo centrosinistra e quindi una nuova grande coalizione.
Terzo, la fine della Bicamerale, al di là delle dietrologie politiche e giudiziarie, che pur possono aver pesato, indica l’incapacità di questo sistema di autoriformarsi e la non volontà delle maggiori forze centraliste e stataliste di realizzare una riforma dello Stato in senso federale.
Le conclusioni da trarre sono semplici.
1. No all’uso del 138 ricercando in Parlamento tutte le intese possibili per votare una legge che consenta l’elezione dell’Assemblea Costituente. E’ la stessa proposta che ha avanzato Marco Boato con una differenza che il tempo a disposizione prima del termine della legislatura consentirebbe di modificare non solo la seconda parte della Costituzione, ma anche la prima (non dimentichiamoci che la Costituzione attuale è stata elaborata da un’Assemblea di 556 membri e da una sottocommissione di 75 in meno di 18 mesi e il dibattito allora era per certi versi meno maturo di quello che è oggi).
2. Sostenere con chiarezza la necessità di modificare anche la prima parte della Costituzione significa far prevalere la discussione sui principi, affinché la nuova carta si fondi su quei principi di libertà, tipici di uno Stato laico e democratico, che dall’attuale Costituzione erano rimasti fuori. Per quanto riguarda la seconda parte bisogna essere espliciti: il nodo principale è costruire uno stato federale moderno riconoscendo allo Stato centrale, allo Stato delle regioni e allo Stato dei comuni parità e uguale dignità.
3. Tenendo conto che il modello di stato federale che più si addice alla situazione italiana è quello tedesco, si prenda atto che quel modello non può prescindere da un sistema elettorale di tipo proporzionale con quota di sbarramento anche se con deputati eletti su collegi uninominali. (Ciò salverebbe anche in Italia il principio che gli elettori possono scegliere direttamente il loro rappresentante, ma senza reprimere il principio elementare della rappresentanza politica in rapporto alla forza delle singole formazioni).
Nel resto di Europa iniziative referendarie come quelle di Di Pietro e Passigli apparirebbero come delle vere pazzie e ai magistrati, industriali, e politologi che si schierano oggi alloro fianco verrebbe chiesto di fare bene il proprio mestiere senza impedire ai cittadini di difendere la democrazia anche attraverso un sistema elettorale non truffaldino.