Luca Polese Remaggi, La nazione perduta. Ferruccio Parri nel Novecento italiano, Il Mulino, Bologna 2004
Il libro di Luca Polese Remaggi è il tentativo di costruire una biografia politica attorno ad una tesi e cioè che Ferruccio Parri, nel corso della sua lunga carriera politica (e nonostante i cambiamenti in essa intervenuti) abbia sempre cercato di perseguire una propria, ideale “costruzione della nazione” (intesa come “insieme di valori condivisi, che i grandi interessi organizzati avevano calpestato con le loro pretese”), scontrandosi con la realtà di altri modelli, da quello fascista e quello consumistico-capitalistico, molto diversi dal proprio (p. 12). Un modello di nazione fondato su una concezione elitaria della politica, nel cui ambito le masse vanno integrate attraverso un processo di riforme che smantelli l’Italia arretrata, corrotta e protezionista, rappresentata, nel corso dei decenni, da Giolitti, Mussolini e infine dalla Democrazia cristiana. E’ un’impostazione sostanzialmente individualista, che finisce inevitabilmente per sottovalutare il ruolo dello strumento partito nell’era della politica di massa, affidandosi ad altri mezzi, come ad esempio, nel primo dopoguerra, l’Associazione nazionale combattenti. Altra caratteristica della ricostruzione di Polese è quella di rinviare a categorie di analisi che, esplicitamente, ritiene più utili della dicotomia fascismo/antifascismo, anche se poi non può omettere che l’ascesa al potere del fascismo, il suo crollo e la successiva costruzione dell’Italia democratica siano stati momenti decisivi, oltre che per la storia italiana, per il protagonista del libro, con la “scoperta” della democrazia, della necessità del superamento del vecchio Stato liberale e l’abbandono della polemica antisocialista, pur continuando a coltivare una concezione elitaria (e soprattutto pedagogica) della politica. Polese ricostruisce in quest’ottica (sia pure, talvolta, saltando o non chiarendo del tutto qualche nesso) la lunga vicenda umana di Parri (dalla giovanile formazione torinese alla prima guerra mondiale – in prima linea e al Comando supremo -, dalla breve collaborazione al “Corriere della Sera” a fianco di Albertini alla partecipazione alla Resistenza come vicecomandante militare), sottolineando la contraddizione, tipica di larga parte del mondo azionista, “tra un modello di azione politica in gran parte inadeguato allo scontro sociale e ideologico della metà del XX secolo e una comprensione profonda dei processi di trasformazione dell’economia, della società e della politica” (p. 192). L’insuccesso della breve esperienza come presidente del Consiglio (e del tentativo di avviare, in una situazione difficilissima, una “rivoluzione democratica” che consentisse la costruzione di una “nazione moderna” e non corporativa) e la presa di coscienza di una dimensione della politica, quella dei partiti di massa, sostanzialmente diversa dalla sua concezione della stessa (oltre al rifiuto di un’ipotesi di “democrazia protetta”, che crederà di ravvisare nella modifica della legge elettorale proposta da De Gasperi nel 1953) porteranno Parri a superare gradualmente il suo anticomunismo (comunque sempre “competitivo” e non reazionario), ponendo in modo nuovo il problema dell’”integrazione democratica delle masse popolari” (p. 324). In questo quadro si inserisce anche l’esaltazione dei valori della Resistenza, che si tradurrà nella fondazione della Fiap (la Federazione italiana delle associazioni partigiane) e dell’Isnmli (l’Istituto nazionale di storia del movimento di liberazione) e, politicamente, nei fatti del luglio 1960, “in cui non è difficile scorgere le tracce dell’immagine delle due Italie contrapposte, l’una controriformistica, arretrata e potenzialmente fascista, l’altra moderna, civile e pronta a sbarrare la strada ai rigurgiti reazionari” (p. 378). La delusione verso i governi di centro-sinistra, l’avvicinamento al PCI e l’adesione alla Sinistra indipendente, la simpatia verso il movimento del ’68, completano il lungo percorso politico di Parri: ed è indubbiamente suggestiva l’ultima immagine del libro, quella della tomba di Parri, nel cimitero di Staglieno, a pochi metri da dove è sepolto Mazzini, altro profeta di una nazione che non è stata.
Recensione di Giovanni Scirocco