Leopoldo Gasparotto, Diario di Fossoli, a cura di Mimmo Franzinelli, Bollati Boringhieri, Torino 2007
Recensione di Giovanni Scirocco
E' un documento davvero eccezionale, un piccolo, prezioso libro, quello proposto da Bollati Boringhieri per le cure attente di Mimmo Franzinelli: il diario (inedito e custodito nell'archivio di famiglia, cui era avventurosamente pervenuto) della prigionia di Leopoldo Gasparotto, comandante militare della Resistenza a Milano, nel campo di concentramento di Fossoli, dal 27 aprile 1944 (data del suo trasferimento dal carcere di San Vittore, dove era stato torturato dai nazisti) fino al 21 giugno dello stesso anno: l'indomani verrà prelevato dal campo e fucilato dalle SS. Molti dei suoi duemila compagni di prigionia moriranno più tardi nei lager tedeschi. E' un diario "intimo" ("Cinque mesi di isolamento mi hanno abituato, come molti cani tenuti troppo a lungo alla catena, a non sentirmi me stesso se non sono isolato, nella mia cuccia", scrive il 18 maggio) più che "politico" (la liberazione di Roma e lo sbarco in Normandia sono registrati quasi cronachisticamente; ma, contemporaneamente, non manca di segnare una data simbolo come quella dell'assassinio di Matteotti), anche per l'evidente timore di essere scoperto: ma è anche, grazie alle brevi annotazioni e ai riferimenti che vi sono contenuti, un atto di accusa contro ogni forma di revisionismo, nella descrizione, limpida ed oggettiva, della sudditanza dei fascisti repubblichini agli ordini nazisti, cui spettava (p. 21) la giurisdizione sui prigionieri politici e razziali del campo. Uno degli aspetti che colpisce maggiormente, in queste brevi note, è il passaggio, talvolta rapidissimo, dalla descrizione delle vicende di vita quasi quotidiana del campo (accolta con sollievo, dopo la permanenza a San Vittore) alla tragedia (30 aprile: "Il grosso soldato tedesco ha ucciso un ebreo con una rivoltellata per errore"). La percezione della morte è sempre incombente (e lo diventa ancora di più, con le prime partenze degli ebrei per i campi di concentramento in Germania), nonostante tutti i tentativi per allontanarla (anche attraverso il ricordo delle escursioni in montagna: Gasparotto era un provetto alpinista), e finisce quasi per stridere con la routine dell'universo concentrazionario oggetto dell'analisi di Gasparotto, nei suoi aspetti di tentativi di ritorno ad una vita normale (le canzoni, le riunioni collettive) e in quelli meno nobili (i furti, i litigi, le miserie, cui si tenta di porre rimedio con una sorta di regolamento di disciplina amministrato dagli stessi internati), che l'esponente del Partito d'azione milanese descrive, senza retorica alcuna: "Effettivamente la vita in un campo di concentramento rivela soprattutto le qualità negative degli uomini: sorgono continuamente questioni inutili, discussioni oziose, gelosie, invidie. Moltissimi dimenticano facilmente che i prigionieri siamo noi e non i tedeschi", p. 36). Nella postfazione, Franzinelli ricostruisce, con un'attenzione ancora più meritevole per aver lavorato sui pochi documenti a disposizione, il contesto storico e politico dell'attività cospirativa di Gasparotto: figlio di Luigi, deputato e ministro radical-giolittiano, Leopoldo Gasparotto, nato a Milano nel 1902, cresce educato ai valori mazziniani della patria e della democrazia, iscrivendosi al partito repubblicano e dedicandosi, dopo l'instaurazione della dittatura, alla professione di avvocato. Ritorna alla politica nel 1942, aderendo al Partito d'Azione e progettando, dopo l'armistizio, la formazione di una Guardia nazionale. Fallita questa ipotesi, per la defezione dei comandi militari, Gasparotto entra in clandestinità (con il nome di battaglia di Rey), assumendo la guida della struttura militare lombarda del Partito d'Azione e divenendo, di fatto, il vice di Parri nel Comitato militare del CLN. Organizza i primi gruppi partigiani, in città e nella valli, ma viene arrestato, a causa del tradimento di una spia, dopo solo tre mesi di attività clandestina, l'11 dicembre 1943, nel corso di una retata in Piazza Castello. Come scriverà un suo compagno di lotta, Mario Boneschi: "Per creare dal nulla un esercito di fuorilegge, occorreva che qualcuno si buttasse per primo allo sbaraglio. Poldo e qualcun altro furono dei temerari per calcolo tattico". Viene rinchiuso nel carcere di San Vittore e da lì a Fossoli, da cui Parri tenterà invano di farlo fuggire. Il 22 giugno Gasparotto viene ucciso da due ufficiali delle SS, probabilmente perché era diventato un punto di riferimento anche per gli altri internati del campo (tre settimane dopo ne verranno fucilati 67) e per i suoi contatti con il CLN. A Poldo Gasparotto, "esempio a tutti per freddo e sereno coraggio dimostrato nei momenti più difficili della lotta", è stata concessa la medaglia d'oro al valor militare alla memoria.