"WALTER ANATRA ZOPPA" di Peppino Caldarola da "Il Riformista" del 29 aprile 2008.
17 maggio 2008
La Grande paura era fondata. Alemanno è riuscito nell'impresa di conquistare il Campidoglio. Il Pd perde e perdono i suoi dirigenti di punta, da Veltroni a Bettini a Rutelli, tutta la cosiddetta «scuola romana». È peggio della sconfitta di Bologna con Guazzaloca. Perché Alemanno non è Guazzaloca. Simbolicamente rappresenta più cose dell'onesto commerciante bolognese, vecchio amico della sinistra e suo improvvisato competitor. Il fortino romano era diventato persino più simbolico di quello felsineo perché sembrava meglio presidiato. Un gruppo dirigente esteso e relativamente giovane, una fusione fra Ds e Margherita largamente anticipata sul territorio, due sindaci, Rutelli e Veltroni, che avevano fatto del mito di sé la propria cifra, ottime relazioni con i poteri forti cittadini, dagli imprenditori edili alla potente curia del Gran Cardinale, salotti di destra, tv di Stato, attori vari. Alla fine a Rutelli è rimasta fedele la Roma del Centro storico e della Garbatella. Lo zoccolo durissimo, probabilmente quel mondo di valorosi che viene dalla storia antica della sinistra romana e in particolare dal vecchio Pci. Dovevamo andare talmente avanti da perdere la memoria del passato e invece c'è rimasto solo quello, impolverato e indecifrabile. È un colpo duro per il centrosinistra. Il colpo più duro perché rischia di abbattere, in un certo senso, il progetto del partito democratico. Basta riflettere su un solo dato storico. Non è passato neppure un anno da quando, dopo i congressi calorosi di Ds e Margherita, i due nubendi scoprirono di non saper costruire il nuovo partito. La schermaglia sui portavoce nascondeva la difficoltà di procedere nel progetto. Il sano realismo li portò alla candidatura di Veltroni. I gruppi dirigenti Ds e Margherita, che avevano sopportato la fatica dell'impresa, si affidarono al più fresco sindaco di Roma, antico sognatore democratico. E Walter arrivò con il suo carico di fantasie e di promesse. Il decollo del Pd è fallito. Chi eviterà lo schianto? Lo stile democrat convinse tanti (anche chi scrive), ma soprattutto provocò l'ondata enorme delle primarie. Le difficoltà iniziali sembrarono dimenticate mentre Veltroni procedeva a disegnare un partito svincolato dalle tessere e dai legami correntizi, con i vecchi gruppi dirigenti spaventati ma incapaci di reagire. Veltroni ruppe persino il tabù dell'antiberlusconismo sul quale aveva costruito le fortune politiche tanta parte di quel mondo che, negli anni del «biennio rossiccio», a Walter aveva fatto riferimento. Sembrò, ad un certo punto, che fossero pronti a siglare uno storico armistizio con l'avversario di sempre, Silvio Berlusconi. Poi le elezioni anticipate, il voto nazionale che distrugge la sinistra radicale e ammacca il Pd. Ora Roma, cioè la sconfitta in casa. Lasciamo perdere le cause immediate di questo colpo al cuore. Le discusse liste al Parlamento, il candidato Rutelli ripresentato, una campagna elettorale partita soft e finita alla solita maniera guerriera. Ragioniamo sulle cose di fondo, intrecciando le cause con gli effetti. L'effetto principale è che Veltroni è un'anatra zoppa, come si scrive negli States del presidente che non ha più la maggioranza dalla propria parte. Non può essere deposto ma non può governare con la pienezza dei poteri che cercava e che aveva. In un partito normale, largamente insediato nel paese, con un largo sistema di alleanze sociali e politiche, questo scenario sarebbe difficile ma non drammatico. Per il Pd può essere drammatico. I punti di debolezza sono evidenti. Non c'è stato lo sfondamento nell'elettorato moderato, il voto cattolico non è andato appresso ai popolari, al Nord il nuovo partito non contrasta lo strapotere di Lega e PdL, nel Sud inizia a crollare il sistema di relazioni costruito attorno al potere locale, a sinistra c'è un vero deserto che produrrà una popolazione di rancorosi nemici dei democrats. La gente di centro-sinistra (in politica le emozioni contano moltissimo) vivrà una lunghissima stagione di scoramento senza eguali. Si può dire che il nuovo partito è stato colpito sia nel primo tentativo di decollo, quello prima di Veltroni, sia quando nella cabina di pilotaggio si è messo Walter. Il decollo è fallito ovvero, per essere più ottimisti, può fallire. In questi giorni il sistema dei media si è ingegnato a immaginare le conseguenze burocratiche della sconfitta romana. Il ridimensionamento di Veltroni, il probabile accantonamento di Bettini e Realacci, la ripresa di ruolo di D'Alema, i dubbi che percorreranno gli ex popolari, la rabbia dei prodiani. Accadrà tutto questo e altro ancora. Sarebbe auspicabile che non ci sia la notte dei lunghi coltelli. Chi ha creduto, votato e perso non lo accetterebbe. Da questa Yugoslavia casalinga uscirebbero solo nuove sconfitte. È probabile che nel Pd si confronteranno due grandi opzioni e alcune varianti secondarie. La prima opzione prevede una «normalizzazione» del Pd. Nel senso di dire: facciamone un partito normale e plurale, un po' socialdemocratico senza proclamarlo, forte negli insediamenti storici che affida la politica delle alleanze sociali alla creazione di alleati politici, per esempio l'Udc di Casini. E sperando nelle crepe del blocco berlusconiano. È la cultura che viene da più lontano e viene riproposta, rispolverata. La seconda opzione è un nuovo progetto democrat senza il sogno plebiscitario di Veltroni, cioè con un partito meno ossificato, con una cultura più pragmatica e ideali molto forti. Le due opzioni si scontreranno con un primo ostacolo. Nessuna delle due sembra intenzionata a prendere sul serio la destra, a considerare che la sconfitta è stata di popolo e strategica. La nuova destra non è la marea nera. Ne abbiamo raccontati i difetti, ma solo in pochi di noi ne hanno visto le virtù cioè il fatto che porta con sé (così la vive la gente) una voglia di novità e di sburocratizzazione delle coscienze. Non hanno letto solo la Casta, ma il libro di Ricolfi sulla sinistra geneticamente antipatica. Molto di quello che accadrà dipenderà da Veltroni. Lo dico con affetto. Questa volta non può andare da un'altra parte. Dovrà affrontare a viso aperto la sconfitta, capire la lezione della sconfitta. Da uomo. E i suoi competitors devono capire che non è tornando allo status quo ante che si risolvono i problemi.
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