VOTO RATZINGER di Mauro del Bue
11 febbraio 2013
L’annuncio delle dimissioni da papa di Giuseppe Ratzinger ha destato stupore e ammirazione. Stupore perchè non era mai accaduto che un papa si dimettesse (la vicenda di Celestino V che rifiutò “per viltade” non è analoga, perché pare vi fosse stato costretto, e così quella di Gregorio XII, che risale al tempo in cui di papi c’è n’erano tre). Il papa non è un presidente del Consiglio che perde la maggioranza e neanche un presidente della Repubblica colpito da una grave malattia. I papi possono reggere benissimo anche all’intemperie delle maggioranze che cambiano, anche perché dai conclavi passano una volta sola, e alle malattie resistono fino alla fine come è avvenuto nella tormentata odissea di Papa Giovanni Paolo II. E invece Benedetto XVI ha voluto costituire un’eccezione anche in questo. E per questo desta ammirazione per una scelta di verità, di libertà, di laicità. Ratzinger è un papa dell’intelligenza, della cultura, della razionalità. Un teologo e un filosofo, oltre che un musicista. Non può trasformarsi in un papa della resistenza, della sofferenza, del dolore. Così, mentre la campagna elettorale si consuma tra promesse folli e battute risibili, vi entra a piè pari una notizia che solcherà le pagine della storia. È la prima volta che accade e la prima volta nella Chiesa e molto di più della prima volta nella politica, e anche nella vita. È una prima volta che si presenta come un bivio dal quale d’ora in avanti nessuno potrà mai più esimersi. Una scelta che segnerà il futuro della Chiesa. E così la domanda che d’ora in avanti sarà ricorrente, a tredici giorni dal voto politico italiano, non sarà più: ” Chi sarà il prossimo presidente del consiglio?”. Ma: “Chi sarà il prossimo papa?”. Anche nella cronaca, come confessò amaramente Filippo II al Santo Inquisitore nel Don Carlo di Verdi: “Il trono piegar sempre dovrà all’altare”. E stavolta lo ammetto, giustamente.
Vai all'Archivio