VITA DA DONNE: DISCRIMINATE IN ITALIA, COMMISERATE IN EUROPA – di Pia Locatelli, da il Riformista del 24 maggio 2006

08 giugno 2006

VITA DA DONNE: DISCRIMINATE IN ITALIA, COMMISERATE IN EUROPA – di Pia Locatelli, da il Riformista del 24 maggio 2006

Incontro a Strasburgo Britta Thomsen, eurodeputata danese: «Che vergogna, ancora così poche donne da voi». Ma anche Enrique Baron Crespo, ex presidente del Parlamento: «Mi dispiace, l'Italia è un paese arretrato, tanto arretrato». Più di tutti mi brucia il commento di Margaret Wallstrom, la vicepresidente della Commissione: «Non posso crederlo, mi dispiace tanto per l'Italia, ma Prodi che ha fatto?». Sei ministre su 25,13 sottosegretarie tra i 73 viceministri e sottosegretari, in un governo dove pure sono mille i diversi equilibri ed esigenze che sono stati, come si dice in gergo, garantiti. Per accontentare tutti, non si è trovato spazio per le donne. Ma tutti chi? Non le donne, appunto, perché tutte sono scontente, quelle che del governo fanno parte e quelle che stanno fuori, quelle di centrosinistra come di centrodestra, quelle dei partiti, quelle dei movimenti, e quelle che semplicemente leggono i giornali. Una falsa partenza e un colpo al riformismo, perché l'Italia si riconferma arretrata, con un ceto politico così omogeneo, non solo per genere ma anche per stile e comportamenti, da non rendersi conto che la rappresentanza democratica di una società complessa passa non tanto dalla fotocopia delle sfumature interne ai gruppi dirigenti, spesso ormai minime in tempi di morte dell'ideologia, ma dall’interpretazione delle "vere" differenze. E si perde la faccia di fronte all'Europa, dopo aver tanto promesso il rilancio del progetto europeo.
In tante avevamo pensato che fosse la volta buona. Se la prima esperienza di Prodi a Palazzo Chigi non si era fatta troppo notare per “sensibilità di genere", che poi semplicemente vuoi dire ricordarsi che la società è fatta di uomini e donne e la rappresentatività di un governo dovrebbe essere misurata anche su questo, l'esperienza alla Commissione europea, e il clima europeo di Bruxelles più gender - sensitive sembravano aver contagiato Romano Prodi, che aveva chiesto e ottenuto un a buon numero di donne commissarie. E i risultati, con l'istituzione del gruppo di commissari per le pari opportunità, e il comitato consultivo sullo stesso tema, si erano poi visti nella produzione legislativa europea.
Ecco allora che, pochi mesi dopo il ritorno da Bruxelles, nel marzo del 2005, alla Fabbrica del programma, Prodi si incontra con le donne dei partiti e dei movimenti. Un'intera mattina ad ascoltare, parlare di politica, e quindi anche di rappresentanza. Lì viene chiesto per la prima volta un governo al cinquanta per cento femminile. E si avverte: sappia il futuro presidente del Consiglio che i partiti spontaneamente non lo faranno; i loro gruppi dirigenti, quasi esclusivamente maschili, si autoriproducono, sempre simili a sé stessi. Le donne lo mettono in guardia, e gli dicono espressamente, brutalmente, che dovrà farlo lui. Prodi sa che un impegno di questo genere è difficile da mantenere: non promette nulla, prende atto della richiesta e dice di voler portare lo spirito di squadra nella selezione dei candidati (leggi: sentire i partiti). Ma anche la prudenza di Prodi ci sembra serietà e gli eventi successivi ci rassicurano: a luglio, si istituiscono dodici tavoli di lavoro per il programma di governo dell'Unione, i partiti, com'è logico, negoziano i ruoli di coordinamento dei tavoli e Prodi va oltre Zapatero e la Bachelet: sette tavoli coordinati da donne e cinque da uomini. Il lavoro per il programma viene completato nei modi e nei tempi richiesti, Prodi si dichiara soddisfatto, e, nella stragrande maggioranza, pure chi ci ha lavorato, donne e uomini. In campagna elettorale, arriva finalmente la risposta sulla rappresentanza nel governo: non il 50%, ma l'impegno per un terzo di presenze femminili. Impegno poi ribadito in diverse occasioni, viene preso per buono, anche perché non c'è nessun leader di partito che dica no. Già nelle liste elettorali, però, al terzo di donne non si arriva, tanto meno nelle teste di lista, segnale dai partiti è quindi negativo, ma questo non ci stupisce, a Prodi l'avevamo detto, uomo avvisato mezzo salvato. Si vincono, di poco, le elezioni e il risultato di questa avarizia è sotto gli occhi di I tutti: non si arriva nemmeno alla metà dell'obiettivo che l'Europa pone agli Stati membri al Senato e alla Camera si sfiora il 14%, diciannove punti sotto il criterio europeo, del 33%. Niente di strano per il centrodestra, ma è già grave per il centrosinistra della svolta europeista. Tocca a Prodi garantirla. Siamo tutte grandi abbastanza per capire che Prodi non decide da solo, né lo vorremmo: non chiediamo un demiurgo né di negare la rappresentanza dei partiti per garantire la rappresentanza femminile. I due enti non sono in contraddizione, ma si possono armonizzare, con alcune regole europee, che dappertutto vengono seguite senza i traumi né evidenti scompensi. Ma nel momento della formazione del governo ritorna l'eterno vizio nazionale: le regole sono un inutile impaccio, contano il contesto, le solidarietà personali, e il "chi sta con chi". Sarà un caso che gli unici veri avversari di Moggi siano stati per anni il boemo Zeman e il polacco Boniek? I capidelegazione del centrosinistra non si sono neppure preoccupati che, alla prima prova, quella della composizione del governo, il presidente del Consiglio non perdesse la faccia: un ipergovemo di 99 poltrone, e 20 donne in tutto, ancor meno i portafogli per loro. Colpa delle logiche di apparato, titolano i quotidiani. Ma noi Prodi l'avevamo messo in guardia, rispondiamo. E ci chiediamo, a nostra volta: è mancato il coraggio o non si è creduto nel valore della rappresentanza femminile? In nessun caso ci piacerà la risposta.

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