VIRUS, PAURA E POTERE Tra inconscio e coscienza, psicoanalisi delle masse e della pandemia. Una lunga intervista/conversazione tra Stefano Golfari e Manuela Barbarossa, psicologa e filosofa, (parte prima)

16 aprile 2020

VIRUS, PAURA E  POTERE Tra  inconscio e coscienza, psicoanalisi delle masse e della pandemia. Una lunga intervista/conversazione tra Stefano Golfari e Manuela Barbarossa, psicologa e filosofa, (parte prima)

Stefano Golfari, giornalista, direttore della Rivista Milano Ambiente, a  Manuela Barbarossa, fondatrice dell'Accademia di Studi PRISMA .

 

L’emergenza-coronavirus ha stravolto improvvisamente il piano politico e il piano sociale. Sperimentiamo delle forme di isolamento e di autoritarismo pubblico che sarebbero sembrate inverosimili, e insopportabili, agli italiani di solo tre mesi fa. Eppure l’una e l’altra cosa, l’isolamento e l’autoritarismo, sono state accettate senza praticamente alcuna discussione. Come leggi da un punto di vista psicoanalitico questa dinamica di gruppo?    

Nel caso specifico parlerei di psicologia delle masse. Sia per Le Bon, un antropologo e psicologo francese che studia per primo il fenomeno della folla,   che  per S. Freud, la massa  è sostanzialmente  «impulsiva, mutevole e irritabile. Ed è controllata quasi esclusivamente dall'inconscio; ovvero è controllata da impulsi ed emozioni che giungono dal profondo della nostra psiche  e che non sono vagliate da un  pensiero critico o comunque cosciente.  In questo senso la massa può essere pericolosa. Molto pericolosa,  poiché agisce su impulsi inconsci e li fa divenire legge,  in virtù della dittatura della maggioranza, come la  storia ce lo ha insegnato, purtroppo.

Anche questa attuale esperienza che stiamo vivendo  è  emblematica e ci riconduce in pieno in questa dimensione. Ci ha disvelato cosa significhi psicologia di massa , e ci ha mostrato la  separzione netta tra massa e individuo.  Attenzione però. Dobbiamo chiararire di quale individuo stiamo parlando . Il  filosofo Adorno ci ricorda che il senso della differenza, che oggi è quasi completamente scomparso a causa di un linguaggio anch'esso massificante, è fondamentale.   E dunque dobbiamo precisare e precisare e precisare.

Quando parliamo di psicologia delle masse abbiamo due entità:  la massa da una parte e l'individuo dall'altra, in contrapposizione.

Concordo sulla richiesta di precisione: è un momento importante della nostra vita e gli intellettuali confusi che pensano di cavarsela con quattro chiacchiere da salotto proprio non ci servono.  La società liquida non ama vincoli e non ama appigli, ma evidentemente la società liquida è stata sopravvalutata: manca un pensiero solido. Sfuggono le basi. Quale individuo si contrappone alla massa?

Il vero individuo. Colui che è ciò che è. Il titolo del saggio di Freud recita esattamente: Psicologia delle masse e analisi dell' Io.

Possiamo già intuire dal titolo che la  psicologia della massa , di questa entità indefinita  come una sorta di nube oscura indifferenziata,  ( mi viene in mente un film di fantascienza cult dove una enorme massa gelatinosa si espandeva  creando distruzione ) è una psicologia che  esalta l'Io sono  dell'essere sociale , di quel soggetto grammaticale (Io , pronome )  che compone la massa , e che al contrario  mortifica completamente il Sono Io , il vero principio di identità  individuata ,  quella che fonda l'individuo che si contrappone alla massa.   (  cfr. Manuela Barbarossa L'epistemologia Freudiana  ( in Psichiatria Oggi  Anno XXXII • n. 2 • luglio – dicembre 2019 )

Nell' “Io sono”, a farla da padrone è L'Io, che è il pronome della prima persona, mentre nel Sono Io, come si può notare, è il verbo essere che viene affermato in primis. Una differenza notevole semantica e simbolica.

L'Io sono  caratterizza il soggetto che compone la massa  ed è  un  principio logico categoriale di esistenza , di definizione corporea  e di fondazione  biologica del verbo essere , che annuncia che Io sono , ovvero, Io ci sono .  All'interno della dinamica di massa l'Io sono trova il proprio apogeo.

Non è un principio di soggettività – L 'Io sono è principio di massificazione poiché ci dice sì, nella massa ci sono.  L'Io sono trova la situazione ideale nella massa per esprimere quel  senso di potenza  che gli consente  di dire e fare qualche cosa solo perchè ha il sostegno della massa  stessa.  Altrimenti non avrebbe il coraggio di esprimere certi atteggiamente e pensieri pubblicamente.

Ma allora l’Io-sono è un soggetto sociale un po' vigliacco, è questo che intendi ?

La massa autorizza l'Io sono di coloro che autoaffermano la propria esistenza ( Io ci sono, ci sono pure io)  solo se supportati dalla  folla.

 Il soggetto  che si riconosce nell'Io sono può esprimere istinti , rabbie, proiezioni dei propri  vissuti, che in solitaria nasconde.  Ed eleva a concetto i propri vissuti, come se fossero verità.  In solitaria se ne  vergogna o ha paura.  Da qui il principio di autoritarismo tipico dell' Io sono. Tronfio e gonfio di se stesso nercisisticamente. E da qui  la degenerazione nella  violenza di storica nemoria. L'Io sono  è dunque in verità un principio di massificazione, espressione di una forza  vacua,  poichè è un principio vuoto , un pronome grammaticale senza  una identità,  ed esiste solo in virtù di una legittimazione sociale e linguistica.  Sì,  credo che i Greci, così attratti dalle virtù , lo considererebbero un vile.

E' sull'Io sono che la propaganda e l'industria culturale fanno leva. Non avrebbero una grande presa sui Sono Io, overo sull'individuo che nel suo essere ciò che è, rifugge la massa, e mantiene la propria identità .  Molte patologie comportamentali e non , si fondano su un eccesso di sviluppo dell'Io sono sociale  a scapito dello sviluppo del Sono Io.

Gli attacchi di panico,  oggi  così diffusi,  esprimono ad esempio  una sorta di imprigionamento del Sono Io, a favore dell'Io sono. Ma l'energia vitale del Sono Io, desiderio di essere ciò che sono, irrompe, vuole esprimersi  e diventa sintomo.

Vediamo se ho compreso: l' Io-sono  è  una finta identità personale, fasulla, illusoria , che nutre la  società  di massa. Il Sono-Io  è, invece, il vero principio di identità. Se la sintesi è corretta, come funzionano questi meccanismi nelle dinamiche di gruppo o, come si dice per indicare una deviazione peggiorativa del legame di gruppo che spesso produce superficialità e violenza, nel “branco”?

Il branco è  mosso proprio dalla stessa psicologia di massa , ridotta a gruppo, dove l'Io sono raggiunge aspetti patologici e di violenza proprio perchè i vari Io sono vengono supportati dal numero.

Il gruppo è una piccola massa. Stigmatizzato dalla società in quanto è piccolo , identificabile e soprattutto in quanto tende a delinquere e a contrapporsi alle leggi.  E' una sorta di sintomo che ti dice che c'è una malattia . Il  branco ti fa intravvedere  il pericolo , la malattia , ciò  che potrebbe fare una massa se autorizzata.  La massa quando si muove pilotata , può essere anche autorizzata ad infrangere le leggi. La storia insegna.

Il potere della massa è un tutto autoreferenziale,  garantisce al soggetto  identificato con L'Io sono sociale di esprimere potere  in situzione di protezione. Il problema tuttavia non è solo il numero, ovviamente, anche se il numero ha la sua  rilevanza. La questione è di natura più complessa. La massa  come il  branco ha necessità di affossare la vera individualità delle persone che la compongono per autoproclamarsi tale. Il soggetto  che si riconosce nella massa  e la segue, si illude di esserci e che questo lo faccia anche essere. Nulla di più errato.

Il soggetto  che si riconosce nella massa , si  aggrega alla massa o al gruppo, e può esistere solo se aggregato. Nei totalitarismi abbiamo  una potente  società di massa . All'interno della quale tra quei  tanti Io sono che la compongono  ( io ci sono  )   quelli più agguerriti  divengono delatori , identificati completamente con l'aggressore, ovvero con il padrone.

Al contrario la categoria degli individui che si riconoscono nel  Sono Io , si riconoscono nel  principio ideativo dell'essere ciò che sono, a pescindere dalla autorizzazione sociale e dall' essere un aggregato, e affondano  le radici  della propria individualità altrove, nella storia personale e antropologica dell'essere ciò che sono.

 

Tu dunque proponi l’Io-sono e il Sono-io come concetti antitetici. Su questa profonda diversità basi una interpretazione nuova, rivoluzionaria, delle dinamiche sociali di questa fase storica altrettanto nuova che viviamo. Ma, nello specifico, come la dinamica Io-Sono/Sono-io sta operando in Italia? Mi sembra di capire che, per te, il Sono-Io stia vacillando, prossimo a crollare...

La categoria del  Sono Io è quel principio dell'essere ciò che sono, a prescindere dalla autorizzazione sociale e dall' essere un aggregato, è il vero e unico principio di identità psichica poichè come ho già scritto in un mio recente saggio,  alla domanda chi sei?  L'unica risposta che si può dare è Sono Io. ( cfr. Manuela Barbarossa L'epistemologia Freudiana in Psichiatria  Anno XXXII • n. 2 • luglio dicembre 2019 ).

Più si sviluppa il Sono Io meno ha presa la psicologia di massa, e con lei l'industria culturale che la sostiene. Entrambe , manipolatorie , necessitano di una mobiltazione di aspetti inconsci regressivi legati all'Io sono , quale principio di identità sociale e grammaticale, connesso al bisogno di autoaffermazione egoica  che ci dice  “Io ci sono”.  Tale necessità evidentmente sorge in assenza di individulità.

Il fatto di esserci non significa che sei. Il concetto di essere non coincide con l'esserci. E' qui il grave errore epistemologico di fondo che la società dell'immagine ha elevato a concetto  ,  l'errore che illude che esserci  ( essere visto ) coindide con l'essere. In adolescenza è un passaggio quasi obbligatorio , e sottolineo il quasi, quello di attribuire al divo del momento  valore di identità sublime solo perchè appare. Poi però l'adolescenza passa. Dovrebbe passare. 

Una lettura certamente interessante, la tua, che chiarisce in modo nuovo molto di quanto è incredibilmente avvenuto nelle ultime settimane (e seguita ad accadere…). Il fatto di un’attenzione critica che si è spenta anche sugli sbagli della politica e della scienza, ad esempio. Certo bisogna premettere che far fronte a una situazione del genere, imprevista (anche se non imprevedibile) non è stato affatto facile. Tuttavia mi ha sorpreso e mi sorprende che di errori organizzativi e gestionali nemmeno si discute, se non sottotraccia. Ma se, come si dice, contro il virus è in atto una guerra, be’... in una guerra certo alle truppe combattenti sul campo (i medici,  gli infermieri ecc.) vanno le medaglie per l’impegno eroico, ma i generali si giudicano sulle scelte strategiche, non sull’impegno. Napoleone fu applaudito imperatore dopo Austerlitz, ma fu cacciato a pedate dopo Waterloo. Sembra invece che ai nostri generali la categoria dello sbaglio sia ignota. Nessuno mai ammette un errore. Meritano  tutti l'applauso dai balconi, o c’entra la psicoanalisi?

La psiconalisi c'entra sempre. Oggi più che mai. Siamo al cospetto di una società  che fa leva sullo psichico in forma totalizzante, attraverso mezzi di comunicazione ieri impensabili. Se colleghiamo questo aspetto della comunicazione mediatica che passa attraverso i social  sia con  l'avvento del protagonismo che ha fatto  dell'esserci in quanto visto e ascoltato da tutti , un fondamento dell'essere ,  la potenza del messaggio che viaggia nella confusione più totale, nel dire in continuazione, ossessivamente, anche parole inappropriate, fuori luogo,  nel dare risposte errate a domande errate, insomma all'interno di un caos   intellettivo dove  tutti parlano di tutto,   siamo di fronte ad un altro pericolo inaspettato,  quello della parola e dell'immagine che ci sta sovrastando e dove stiamo affogando.

Manca l'aria .

E temo che la questione del respirare , tanto sollecitata da  questo virus nemico invisibile ,  non sia solo una questione di natura fisiologica.  In questa situazione di dèbacle del pensiero critico e del tentativo di  riduzione ai minimi termini  del Sono Io , principio di identitità soggettiva e autonoma,  la capacità di avere un “ampio respiro” intellettuale diventa una sorta di eresia  metafisica, di eresia psicosomatica , che si scontra con quell' Io sono della psicologia di massa, principio di autoritarismo larvato e surrettizio. Del resto,  sempre da un punto di vista simbolico,  le mascherine rappresentano figurativamente ..il tenere la bocca chiusa.

Se dunque  osserviamo attentamente in questo contesto  non può avere  più nessun valore l'errore. L'errore esiste se esiste il Sono Io. E tanto meno  un giudizio di valore sull'operato.

L'Io sono  sociale e massificato, sul quale fa leva qualsiasi forma di autoritarsimo e la stessa industria culturale , spazzano via tutta la critica e la capacità di discernere il vero dal falso, il giusto dall'ingiusto in quanto, la società di massa  non ha nessuna  necessità  dell'individuo morale,  di un  pensiero critico , ma necessita dell'aggregato , di colui che nell'Io sono sociale , sotenuto dalla folla ,  si muove istintivamente facendo leva sugli odi, sui rancori, sulle invidie, sui propri vissuti inconsci , sulle paure.  E' di questo che la psicologia di massa necessita. Non certo  di soggetti critici e pensanti.

Abbiamo quotidianamente il rito serale della conta dei morti. Ma neppure in questi giorni si riflette sulla morte. Cos’è la morte per gli italiani sorpresi dal ritorno della grande falciatrice, mentre attendevano la primavera? Viene in mente il “Memento mori” dei frati trappisti del XVII secolo, o magari anche la leggenda di Samarcanda che si racconta fin dal Talmud babilonese del III secolo prima di Cristo. Ma parliamo invece del crocifisso ligneo innalzato in una piazza San Pietro deserta, di fronte a papa Francesco: è una delle immagini più potenti di questi giorni perché esprime la riscoperta pubblica del drammatico e del tragico, del Cristo in croce appunto.  Ma risulta scioccante proprio a contrasto: perché, per lo più, la religiosità oggi è in grado di figurarsi soltanto il Dio della consolazione, della carezza, della speranza. C’è un problema, in proposito: un dio così piacevole e accondiscendente non è né il Dio della Bibbia né il Dio del Vangelo. E, per dirla in termini più semplici, un dio che dice “andrà tutto bene” ha già mentito. La psicoanalisi che suggerisce in proposito?

Il rito è una cosa , la ritualizzazione  come forma di comunicazione mediatica è un'altra.  Il rito ha una sua identità psichica ed antropologica e da un punto di vista psicologico  è funzionale all'espressione , al controllo, alla condivisione   di impulsi e  paure. Può essere anche evolutivo.  Sicuramente lo è stato in tanti passaggi dell'umanità.

Se la  ritualizzazione  comportamentale individuale o di gruppo  , ovvero la pratica costante  di un rito  è portata all'eccesso ,diventa  maniacale, e può generare scompensi psichici. Freud ci avverte : “l'esagerazione è sempre sospetta “.

In ambito sociale il rito  è spesso utilizzato  per radunare a sé quella che dicevamo essere la folla, la massa per  offrire una sorta di condivisione collettiva di angosce e  speranze.

Pensiamo ai riti religiosi , importantissimi . Ma il rito,  ha una necessità , una precondizione esclusa la quale smette di essere tale e diventa solo un tormento, una vera e propria  tortura ripetitiva , un mantra  che vuole occupare il pensiero.  Il rito,  per essere tale , con la sua funzione salvifica ,   o comunque abreativa, ha necessità del simbolico. Senza il  simbolico il rito diviene simulacro del nulla. Esaltazione del niente.  Ripetizione  ripetitiva ossessiva.  Riempitivo di uno spzio vuoto.

Nell'eccesso della  ripetizione di un rito ossessivo, in patolgia, si perde il simbolico che viene sostituito dai gesti e pensieri  rituali.  Un esempio.  La necessità di pregare la sera prima di addormentarsi per un credente può essere  un rito simbolico importante che consente all'individuo di comunicare con quellaldilà  ideativo  di cui necessita.

Di elevarsi dal contingente per esprimere desideri, speranze, a volte anche per parlare con se stesso.

Ma se io passo le giornate a pregare ossessivamente , maniacalmente, e ciò mi impedisce di esistere , non c'è più simbolico,  e la preghiera diviene fine a se  stessa , non mezzo.  La preghiera   si fa cosa.  Si cosifica. Perde il suo valore simbolico,  rappresentativo, e diviene  letteralmente un vuoto dire. La preghiera diviene altro da sè.

 

E dunque la ritualizzazione mediatica dei mass media che ogni sera ripetono  i numeri dei morti e dei feriti..è  un tormento inflitto per …?

 

Ripetizione dei numeri dei morti. Non c'entra nulla  con il simbolico.  C'entra molto al contrario con l'etologia. La ritualizzazione mediatica assomiglia al richiamo  che la chioccia fa ai pulcini , una suono  sempre uguale e ripetuto  che fa scattare una risposta automatica, e in etologia vi è sempre un dominante che attraverso una ritualizzazione,  domina. 

Ritualizzazione nel senso di una ripetizione continua  dello stesso comportomento. Nello specifico leggere i numeri dei morti e dei feriti , che nel mondo umano ha una stretta parentela con l'aspetto patologico che enunciavo e   che fa diventare  il rito della ripetizione dei numeri dei morti  un fine e non un mezzo . Quale fine?

Abiamo capito che la  ritualizzazione mediatica della conta dei morti , degli infetti, dei positivi, in questo momento  è una forma di comunicazione  ossessiva e regressiva , da grande fratello. Che richiama a sé etologicamente l'altro.  In senso dominante.

La ripetizione ossessiva dell'andrà tutto bene, anch'essa , ad esempio ,  non ha nulla di simbolico , ma è più  di natura etologica.  E' una forma di autoconvinzione mediatica  che tratta l'umanità  come mezzo e non certo kantianamente come fine. Convinciti che andrà tutto bene. Non pensare ad altro. Ricordiamo la critica del filosofo  T.W. Adorno  nei confronti del processo di manipolzione delle menti ad opera dei mass media , e oggi anche dei social.