VENT'ANNI FA FU TRAGEDIA, OGGI FARSA TRAGICA di Alberto Benzoni dall'Avanti del 9 settembre 2012

25 ottobre 2012

VENT'ANNI FA FU TRAGEDIA, OGGI FARSA TRAGICA di Alberto Benzoni dall'Avanti  del 9 settembre 2012

Vent’anni fa moriva la prima repubblica. A determinarne il decesso le sue colpe, ma anche un’infinità di assassini, ognuno più potente dell’altro. Gli americani, con i loro servizi deviati e no. La finanza ebraica e il Mossad. Gli industriali. I magistrati e le stampa, con il loro circuito. La Lega. I novisti di ogni risma. Il tutto con il consenso di una pubblica opinione che salutava ogni avviso di garanzia come lo squillo della tromba di Gerico. E con la resa preventiva (salvo qualche eccezione, come Craxi) degli esponenti del vecchio ordine, la cui unica segreta speranza era che la tempesta colpisse qualcun altro (e magari il proprio compagno di partito). Oggi, la storia sembra ripetersi. Perché si ispira agli stessi principi: il nuovo contro il vecchio, la società civile contro la politica e contro i partiti, la magistratura, guardiana delle virtù pubbliche e private, contro un mondo in cui la corruzione sembra non conoscere confini, abbracciando potenzialmente tutto e tutti. E perché all’aggressività nuovista dei pochi corrisponde, come allora, la viltà, intellettuale prima ancora che morale, degli altri. Pure, tra il 1992 e il 2012, ci sono sostanziali differenze, che marcano le nostre vicende di oggi sotto il segno, insieme, della catastrofe e di una squallida comicità. Insomma, della farsa tragica. Ieri, avevamo di fronte grandi nemici; e portatori di un disegno sistemico in qualche modo alternativo a quello esistente. Disegno che è bene ricordare (meno stato, più decisionismo, valorizzazione del privato, nuova centralità della questione settentrionale, bipolarismo forzato); anche perché la sua attuazione ci ha portato all’attuale disastro. In questo disegno c’erano i buoni e i cattivi; i primi, i sostenitori del nuovo ordine, individuali e collettivi; i cattivi, gli altri. Oggi non ci sono né grandi nemici né grandi disegni. A farci tremare, a condizionare i nostri comportamenti sono: un Robespierre senza la ghigliottina, un Masaniello furbastro e un predicatore talmente invasato di sé stesso da considerare i suoi critici come potenziali assassini. Da loro, e dai loro imitatori, nessun progetto che non sia quello di sfasciare ciò che c’è per costruirvi sopra le loro fortune; magari nel tanto disprezzato parlamento delle larve. Pure, questi nuovi nemici sono in grado di fare un danno enormemente maggiore e irreparabile. Perché mettono in gioco il funzionamento del sistema democratico; nel senso che nessun sistema può essere in grado di funzionare normalmente all’insegna del sospetto universale e del nuovismo sfrenato. E soprattutto perché, ecco il punto, affondano i loro colpi in un corpo che sembra oramai incapace di qualsiasi reazione. E per carenze proprie. Reagire, in nome della politica, non vuol dire rivendicare i diritti o le prerogative di una professione o del suo domino riservato; significa fare politica. E di questa, qui e oggi, non c’è la minima traccia. Si parla dell’“agenda Monti” senza specificare come si affronteranno i suoi appuntamenti. Si blatera di “bipolarismo” senza essere in grado di chiarire ciò che divide e ciò che unisce i due schieramenti. Si trasforma una primaria che dovrebbe decidere il nome del presidente designato in un sondaggio di opinione interno al Pd. Si dichiara, con il cuore in mano, di considerare il superamento del “porcellum” un sacro dovere, ma ci si confonde poi in diatribe senza costrutto, magari per approdare alla sua riconferma. E, soprattutto, ci si guarda bene dallo spiegare agli elettori le ragioni del disastro degli ultimi vent’anni; così da confermarli nell’opinione che la “colpa” sia di tutti e di nessuno. E, comunque, della classe politica. Si partecipa alla caccia alle istituzioni e al parlamento, sperando di non pagare dazio in questa rincorsa demagogica. E così, ancora, ancora e ancora. Insomma, si spera di sopravvivere. E, forse, data la pochezza degli “sfascisti”, si sopravviverà. Ma impotenti; e sotto tutela: dell’Europa e del suo cieco rigore, delle corporazioni, dell’arruffapopolo di turno, di chiunque alzi la bandiera del “no”. Vent’anni fa la classe politica italiana morì di morte violenta; vittima di molteplici forze esterne. Oggi rischia di vegetare nell’impotenza. Una sorte, forse, peggiore.

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