URBANISTICA. LA REGIONE HA DIMOSTRATO DI NON AVERE UNA STRATEGIA - Di Roberto Biscardini, da il Riformista del 18 agosto 2006

06 settembre 2006

URBANISTICA. LA REGIONE HA DIMOSTRATO DI NON AVERE UNA STRATEGIA -  Di Roberto Biscardini, da il Riformista del 18 agosto 2006

Sulle infrastrutture si gioca la sfida per la conquista del Pirellone

Il centrosinistra, persa nuovamente la partita di Milano, ha quattro anni di tempo per definire un progetto alternativo a Formigoni e a ciò che ha rappresentato in tutti questi anni in regione Lombardia. Ma perché il progetto possa essere vincente è bene da subito riflettere su alcune questioni preliminari.
Primo. Bisogna incominciare a prendere atto che tutti i tentativi fatti nel passato per caratterizzare il centrosinistra in modo più o meno ulivista non sono riusciti a sconfiggere il centrodestra e battere il sistema di interessi rappresentati da CdL, Cdo, Cl e Lega.
Non è riuscito Mino Martinazzoli con la lista unitaria ante litteram nel 2000, non è riuscito l’ulivissimo Sarfatti nel 2005 e siccome sarebbe ingiusto buttare la croce solo sui candidati, bisogna partire dal fatto che l’offerta politica ulivista finora non ha pagato.
Al di là di tutto ciò che può accadere da qui al 2010 anche nel centrodestra, il centrosinistra dovrà decidere se concentrare i suoi sforzi maggiori sull’Ulivo (se mai ci sarà il Pd senza s) o fare qualcosa di più significativo per riappropriarsi della forza delle grandi tradizioni popolari lombarde, con le loro ovvie attualizzazioni, cosa che ad oggi non ha voluto fare.
Mi riferisco alla tradizione del riformismo popolare cattolico, quella che nel passato s’era riconosciuta sostanzialmente nella DC, e alla tradizione del socialismo liberale, riformista e delle altre formazioni laiche e repubblicane che si riconoscevano nel PSI e negli altri partiti laici. Culture di governo tra loro ben distinte, diverse e sempre in competizione, che hanno però saputo governare insieme la Lombardia fin da prima del 1970 e senza le quali in regione non si vince.
Lo dico da convinto sostenitore della Rosa nel Pugno. Primo nucleo per la riorganizzazione della sinistra e per dar vita anche in Italia ad una forza socialista, laica e liberale, indipendente, moderna ed europea. A vocazione maggioritaria, come lo sono tutti partiti che hanno per simbolo la Rosa nel Pugno nel mondo.
Secondo. Detto questo c’è il problema del programma. E’ significativo che dalle pagine di questo giornale Vito Redaelli, il 14 luglio, e Gianpaolo Corda venerdì scorso, due ricercatori del Politecnico di Milano, partendo da Milano e da ciò che potrebbe o dovrebbe fare la giunta Moratti, si sono tutti e due imbattuti sulla questione regionale, sulla debolezza sia programmatica che di governo della Regione formigoniana.
Un bello spunto, che incomincio a declinare così.
La scelta giusta fatta dai governi di centrosinistra a cavallo degli anni ‘80 e ’90 di non dar seguito all’approvazione di un sistematico piano territoriale regionale, tanto invocato dalla cultura dei pianificatori comunisti, per favorire la prassi degli accordi istituzionali e le grandi scelte di politica degli interventi, si è trasformata con Formigoni nella più assoluta assenza di strategia urbanistica.
E nessuno lo denuncia.
L’esperienza dei migliori governi di centrosinistra regionale consentirono il perfezionamento, ormai da tutti riconosciuto, del grande disegno infrastrutturale riguardante il Sistema Ferroviario e i sistemi di trasporto metropolitani urbani, compresi quelli della Brianza, di Brescia, di Como e quello milanese con le sue massime estensioni. Ma lo stesso vale per le grandi infrastrutture viarie, ancora tutte da attuare, come la Pedemontana, la Tangenziale est esterna e le secanti urbane.
Un disegno ed un’armatura infrastrutturale per orientare insediamenti sul territorio e massimizzare gli investimenti. Ma poi tutto è andato a casaccio. Non si è messo in relazione il grande sistema dai trasporti, pur da potenziare, con il sistema delle grandi funzioni urbane regionali, le università, ad esempio. Si è lasciato fare a tutti, anche a Milano, nel modo più disorganico, come fa notare Redaelli. Si consente a Milano di avanzare un’inutile proposta di pollution charge, come ricorda Corda, che avrebbe senso solo se programmata in tempi medi a scala regionale e non locale.
Si lascia coltivare a Penati il sogno non strutturato della città metropolitana e si sono inondate le Province di deleghe e di funzioni trasferite che dovevano rimanere in capo alla funzione programmatoria della regione. Funzioni lasciate al caso della buona volontà delle singole province e molte di loro non più esercitate.
Non si è fatta in dieci anni in regione alcuna scelta urbanistica significativa. Ad eccezione della Fiera di Pero nel posto sbagliato, scelto peraltro dalla giunta rossoverde di Fiorella Ghilardotti nel 1994, contro la localizzazione ben più opportuna e meno congestiva di Lacchiarella. E di un'altra sbagliata, quella della nuova sede regionale che finisce in via Pola, anziché sul Passante davanti a Garibaldi, area simbolicamente e funzionalmente ben più adatta a rappresentare il luogo del potere decisionale di tutta la Lombardia, lasciata invece alla “città della moda”.
In Regione si è fatta solo gestione, poco e male, utilizzando le leggi ereditate dal passato e quel poco di innovazione legislativa che c’è stata nell’ultimo decennio ha innovato male. Siamo passati dalla politica degli interventi, incardinata nei Programmi integrati di intervento, proposti da me nel 1994 e figli delle leggi Adamoli e Verga, alla pianistica della nuova legge urbanistica. Una legge che tra un povero restyling del vecchio Prg ed ogni chiusura al confronto interistituzionale rappresenta insieme un passo indietro e un passo nel vuoto.
Terzo. Saprà il centrosinistra farsi carico della “questione regionale”? Saprà esprimere tra quattro anni una idea forza di regione per la trasformazione della Lombardia dal continuo urbanizzato alla grande città policentrica, in cui si possono alternare, dentro un disegno strategico preciso, aree urbanizzate e grandi aree verdi, recuperando, per esempio, la politica dei grandi parchi fluviali andata via via impoverendosi?.
Saprà il centrosinistra coniugare i ritardi del sistema infrastrutturale con il bisogno di modernizzazione invocato dal sistema produttivo, dal mondo della ricerca e dai giovani? Il centrosinistra non vince brandendo l’Ulivo, ma con un progetto e mettendo in fila quelle forze politiche che dimostrano di avere idee chiare e coraggio per governare con un’idea unitaria territorio, economia, ambiente e istituzioni. Per la regione, politique d’abord

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