UNIVERSITÀ, PIÙ TAGLI CHE RIFORMA, di Maria Rosaria Manieri, da l’Avanti! della Domenica n.31 del 17 ottobre 2010

15 novembre 2010

UNIVERSITÀ, PIÙ TAGLI CHE RIFORMA, di Maria Rosaria Manieri, da l’Avanti! della Domenica n.31 del 17 ottobre 2010

Sbaglia la ministra Gelmini a liquidare la protesta che va montando nelle scuole e nelle Università come “vecchi slogan di chi vuole mantenere lo status quo”. Noi abbiamo la percezione che questa volta il disagio non solo abbia radici reali e profonde ma che sia molto più esteso e sofferto di quanto le diverse forme di agitazione stanno manifestando.
Che il sistema universitario e di ricerca del nostro Paese abbia bisogno di cambiamenti radicali non ci piove, e per quanto ci riguarda è da più di un decennio che lo andiamo sostenendo. Sì, perchè la crisi ha origini ormai lontane e ad essa in questi anni si è risposto con misure parziali e spesso contraddittorie, rinunciando in partenza alla sfida difficile, ma necessaria, di una innovazione coraggiosa che ridia all’Università e alla ricerca la funzione che esse debbono avere in una società avanzata.
Progressiva marginalizzazione del sistema pubblico, attraversato da innegabili processi di dequalificazione e appesantito dai tanti, troppi, problemi interni e massicci tagli alla spesa per l’istruzione pubblica e la ricerca di base,ritenuti non più centrali nella politica del Paese, sono il risultato di questa rinuncia.
La Ministra ha ragione quando denuncia le pesanti responsabilità, che il mondo accademico ha avuto in questi anni nella gestione degli Atenei e al cattivo uso che in molti casi è stato fatto della sacrosanta prerogativa dell’autonomia. Basti pensare alla moltiplicazione delle cattedre e al proliferare di corsi di laurea, alcuni dei quali decisamente stravaganti, ai tanti casi di nepotismo, all’uso incosciente e irresponsabile del precariato per non parlare della disorganizzazione della didattica e del tasso di abbandoni universitari, un costo umano,sociale ed economico intollerabile. Ma la sua riforma non è un rimedio a questi mali. Semmai contribuisce ad aggravarli. Molta enfasi sulla riforma, sotto cui resta solo la dura e cruda realtà dei tagli.
Siamo passati, per quanto riguarda il Fondo di finanziamento ordinario, che rappresenta la quota più importante delle entrate degli Atenei, da poco più di 7 miliardi di euro del 2010 a meno di 6 miliardi nel 2011,circa lo stesso sarà nel 2013. Le Borse di studio da 246 milioni nel 2009 sono scese ai 99 milioni del 2010 e scenderanno a 76 nel 2011. Al tempo stesso le tasse universitarie sono cresciute in soli sei anni,dal 2001 al 2007, del 53%. In questo contesto il disegno di legge del governo crea solo nuove incertezze e apre altri problemi sia nel governo degli Atenei che per quanto riguarda il futuro degli attuali ricercatori. Noi abbiamo sempre ritenuto che la massificazione del sistema universitario non fosse un bene e che il falso egalitarismo produce effetti sostanzialmente iniqui.
Di ciò siamo ancora più convinti oggi alla luce delle trasformazioni della società e del mondo del lavoro in cui è la qualità dell’istruzione e non il titolo di studio la chiave della promozione sociale. Non siamo perciò contrari all’idea di un sistema universitario pubblico differenziato, con istituti di base ed altri di alta formazione e ricerca. Ma un sistema siffatto va affiancato da una rete certa ed efficace di diritto allo studio che consenta ai giovani meritevoli ma privi di mezzi di accedere alle vette più alte del sistema. Investire sulla qualità è necessario; valorizzare il merito è giusto. Se il Governo avesse reimpiegato le risorse recuperate dai tagli finalizzandole ad un’azione d’innovazione tesa a dare nuovo slancio alle Università italiane avrebbe fatto opera meritoria. Così invece non è: la cosiddetta razionalizzazione è servita al Ministro delle Finanze solo a fare cassa. La Riforma è un paravento. Che vada aperta una discussione seria sulle forme e i meccanismi di reclutamento dei docenti è una questione spinosa, ma decisiva per le sorti delle Università pubbliche, a partire dal necessario riordino dell’esistente. Oggi non sappiamo con certezza neppure a quanto ammonta il numero dei precari di cui andrebbe stilata un’Anagrafe e fissate regole e diritti.
I ricercatori strutturati sono un patrimonio che non può essere rottamato, perchè sulla base delle norme proposte dal Governo questo sarà il destino dei più, indipendentemente dal merito se non ci si decide ad adottare alcune misure urgenti come l’adeguamento dell’età pensionabile dei docenti universitari alla media europea e lo sblocco del turn-over.

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