UNITÀ DELLA SINISTRA: MITI E PROBLEMI di Felice Besostri, Comitato Nazionale SD, 7 novembre 2007

16 novembre 2007

UNITÀ DELLA SINISTRA: MITI E PROBLEMI di Felice Besostri, Comitato Nazionale SD, 7 novembre 2007

Sono socialista, anzi, se dovessi definirmi in termini europei, un socialdemocratico di sinistra, ‘ein linker Sozialdemokrat’.
Nelle mie scelte politiche sono stato influenzato dal marxismo nelle lezioni di Rodolfo Mondolfo, Karl Kautsky e Otto Bauer.
Nel PSI i miei punti di riferimento sono stati Pietro Nenni, Francesco De Martino, Riccardo Lombardi e per l’impegno internazionalista Lelio Basso, anche Bettino Craxi finché era minoranza a Milano ed in Italia.
Ho creduto negli stati generali della sinistra di Firenze del 1998 ed ho partecipato alla fondazione dei DS.
Tranne che al Congresso di Torino sono sempre stato in minoranza: a Pesaro ed a Roma, anzi in quest’ultimo congresso minoranza delle minoranze con Cesare Salvi.
Contrario da sempre all’ipotesi del Partito Democratico, ho partecipato alla fondazione della Sinistra Democratica per il Socialismo Europeo.
Proprio perché socialista credo in una sinistra a vocazione maggioritaria, cioè una sinistra in grado di aspirare alla guida del paese in prima persona.
Proprio perché di sinistra credo che il mercato ed il liberismo creino diseguaglianze intollerabili e minaccino l’ambiente in cui viviamo, perché il profitto è per natura egoista, ppropriazione di individui e gruppi.
Proprio perché democratico credo nella conquista del potere attraverso libere elezioni e che il mantenimento al potere debba essere sempre il frutto di un consenso e non di misure burocratiche ed autoritarie, quando non dittatoriali, come è stato nell’Unione Sovietica e nei paesi satelliti.
Se in Italia vogliamo una sinistra a vocazione maggioritaria, cioè di governo, e non semplicemente, come è ora, al Governo, dobbiamo respingere la pratica e la teoria delle due sinistre, una contrapposta all’altra: una sinistra ‘riformista’ ed una sinistra ‘radicale’ od ‘antagonista’.
Tra l’altro tutte e due ridotte all’impotenza, o, comunque, inadeguate rispetto ai loro obiettivi. I riformisti di riforme ne fanno poche o punte e gli antagonisti sono ridotti a testimonianza, al massimo si possono entusiasmare per il sub-comandante Marcos o per il Presidente Chavez, cioè sostenere i rivoluzionari di altri paesi, possibilmente lontani e con condizioni socio-economiche molto diverse da quelle italiane.
Una sinistra a vocazione maggioritaria non può che essere larga e plurale e, pertanto, affrontare la questione socialista. La questione socialista non è un problema dei socialisti, intesi come iscritti od elettori del PSI, ma dell’intera sinistra italiana.
Nel contesto europeo, nel quale agiamo, la questione socialista è ancora più rilevante: è un nodo che va sciolto senza il retaggio delle divisioni del movimento operaio nel XX° secolo. Se pensiamo che la socialdemocrazia sia il tradimento della classe, in Europa non si va da nessuna parte, ma nemmeno in Italia.
La sinistra italiana è la più debole del nostro continente, nella migliore delle ipotesi tutte le forze a sinistra del PD, che non è l’ala riformista della sinistra, ma una formazione oggettivamente centrista, hanno un 15% di consensi, cioè 9 punti percentuali meno del Partito Socialista Svizzero, al suo punto più basso dopo le ultime elezioni. Tuttavia la sinistra rosso verde in Svizzera raggiunge il 30% (19% PS, 10% Verdi, 1% PdL).
Credo nell’unità della sinistra, che ritengo possibile soltanto se si rinnova, altrimenti dovremo accontentarci di un cartello elettorale, comunque necessario per sopravvivere, ma non sufficiente per vincere.
Il processo di unità della sinistra presenta problemi oggettivi e soggettivi: ha privilegiato i coordinamenti nelle istituzioni e di fatto ha escluso o tende ad escludere l’area socialista, che si richiama alla Costituente.
Non che non ci siano problemi con questo pezzo dell’area socialista in termini programmatici e politici, ma non più importanti di quelli esistenti all’interno della banda dei quattro (definizione che uso in termini simpatici, benché iconoclasta). Le quattro proposte di modifica della Finanziaria della Costituente non sono lontane da quelle che potrebbe presentare e votare la sinistra radicale.
Sul Manifesto di domenica 28 ottobre mi hanno colpito due articoli: l’editoriale di Gabriele Polo ed il Commento di Alberto Burgio.
Due tesi contrapposte ma con un punto in comune: la manifestazione del 20 ottobre scorso.
Scrive Polo ‘Ma un’ultima cosa va detta alla sinistra, che si gioca la pelle. Nel panorama rischioso che ha davanti, per non diventare ancella del PD o semplice testimone di una resistenza passiva (cioè, in un caso e nell’altro, per non scomparire), chi sta fuori dall’orizzonte del Partito unico e della politica ridotta ad amministrazione del presente, deve chiarire in fretta i propri punti cardinali, avviando un percorso di partecipazione, non formale o solo elettorale, di chi lo scorso 20 ottobre è sceso in piazza. Facendo vivere ogni giorno quel metodo che può costruire un merito: solo così potrà contare e trattare’.
Scrive Burgio ‘Non è esagerato dire che la piazza rossa del 20 ha mostrato la vitalità della sinistra sociale e politica e addirittura la tenace persistenza del caso italiano. Ora si tratta di mettere a valore questa straordinaria mobilitazione, raccogliendo le istanze che essa ha posto. Tra queste, si è detto, c’è la domanda di unità della sinistra’.
Ebbene molti di quelli di che hanno seguito le indicazioni di SDpSE non c’erano, eppure credono nell’unità e nel rinnovamento della sinistra: devono considerarsi fuori dal processo o comunque parteciparvi con un complesso di inferiorità?
Se l’adesione alla manifestazione del 20 ottobre è il punto fermo di partenza del processo unitario, allora chi per ragioni politiche non ha aderito lo deve considerare un punto di interruzione del processo.
Se la partecipazione alla manifestazione del 20 ottobre, effettiva od ideale (se tutta la sinistra unita si riducesse a quelli che erano fisicamente in piazza, fossero 200.000 o 2.000.000, sarebbe già sconfitta) era una scriminante, doveva essere detto e garantire il rilascio di un patentino, per evitare il fenomeno di quelli che si misero al collo il fazzoletto rosso dei partigiani il 26 aprile 1945.
La sinistra unita dovrebbe darsi degli obiettivi, chiari e misurabili, a breve, medio e lungo periodo: la somma dei voti di PCI e PSI nel dopoguerra e fino al 1992 mi sembra un parametro ragionevole.
Se quel riferimento non è un semplice fatto numerico, bisogna ripensare i rapporti tra socialisti e comunisti, cominciando da una critica allo slogan, non importa da chi sia inalberato, ‘i socialisti con i socialisti, i comunisti con i comunisti’. Se la sinistra italiana è ora la più debole d’Europa una qualche ragione ci sarà, legata al fatto che sia uno dei pochi paesi, se non l’unico, nel quale le divisioni ideologiche del XX secolo hanno ancora un peso politico: nel commento di Burgio questa mentalità, e ciò gli fa onore, è particolarmente evidente quando teme che un processo unitario affrettato metta in minoranza i ‘comunisti’.
Se si avesse attenzione alla serietà dei problemi che l’unità della sinistra pone, la fretta è sbagliata, ma se l’agenda è dettata dalla contingenza, cioè formazione del PD e probabile crisi del Governo Prodi con elezioni anticipate, la sinistra non può presentarsi frammentata e divisa.
In tutti e due i casi il processo unitario impone l’abbandono di ogni settarismo e di presunta superiorità ideologica od addirittura morale ed intellettuale di sue componenti rispetto alle altre.
All’appuntamento unitario i socialisti non possono arrivare con un senso di espiazione ed i comunisti di rimozione.
Il nostro passato, con le luci e le ombre di tutti, non può essere ignorato, ma nemmeno diventare un macigno da legare al collo od anche un peso da attaccare alle caviglie per impedire di mettere le ali ai piedi. È il presente e soprattutto il futuro che ci impone di ricercare le ragioni dell’unità della sinistra: una sinistra del lavoro, della pace, della tutela dell’ambiente, dei diritti e delle libertà.
Una risposta concreta, ma alta, alle esigenze ed aspirazioni del popolo della sinistra, cioè di persone in carne ed ossa e non la riproduzione del mito del partito unico della classe operaia, forza dirigente della società. Le fusioni forzate nei paesi dell’Europa centrale ed orientale quel mito lo hanno seppellito e per fortuna non c’è più nessuno (?), che lo rimpianga.

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