UN'INTERVISTA A ROBERTA PINOTTI . OVVERO, LA GRAN VERGOGNA DEL POLITICAMENTE CORRETTO di Alberto Benzoni
24 maggio 2017
"Lavoriamo
con gli africani per fermare i migranti nel Sahel". Questo il titolo di
un'intervista rilasciata alla Stampa ( 20/5) dalla nostra ministra
della difesa, Roberta Pinotti.
Questa la sostanza di un progetto che
è, almeno per ora, allo stadio di dichiarazione d'intenzioni.
Debitamente comunicate ( con una lettera firmata non già dai capi di
governo o dai ministri degli esteri ma dai ministri degli interni
italiani e tedeschi) alla Commissione europea così da ottenerne
l'essenziale concorso.. E debitamente propagandate, ancora una volta
dallo stesso Minniti e con le stesse finalità, presso i governi africani
interessati. Ma non ancora passate al vaglio di un proposta di governo;
per non parlare della doverosa verifica parlamentare.
Ma, dopo
tutto, si tratta di inezie. Nel mondo del decisionismo e dell'annuncio,
sottolineare la necessità di passaggi istituzionali e di momenti di
riflessione collettiva, è, ce ne rendiamo conto, roba da parrucconi e da
nostalgici. E, quindi, vada per il "lavoriamo"della Pinotti. anche
dando per scontato che, in quell'indicativo presente plurale ci sia
molto dell'entusiasmo neofita della stessa Pinotti; esempio da manuale (
quando ci vuole ci vuole...) del cosiddetto "servilismo ambientale";
pacifista all'interno del Pd più militarista dei militari una volta al
governo. Al punto di volere inviare ieri migliaia di soldati in Libia
così da distruggere,lungo il percorso, gli scafisti, i loro barconi, i
loro mandanti e, già che ci siamo, quanti si opponevano alla formazione
del governo di unità nazionale ( stiamo tirando a indovinare; perchè,
per la Pinotti l'importante era essere presenti. Lo stesso
presenzialismo, sia detto per inciso, che la porta a segnalare, con
orgoglio, nel corso dell'intervista, l'invio di 156 uomini in Estonia
così da bloccare sul nascere le velleità espansionistiche del dittatore
moscovita. 156, soldati non uno di più non uno di meno: 155 non
sarebbero stati considerati un ostacolo a Mosca, 157 sarebbero apparsi
una minaccia intollerabile...).
Nel caso specifico il presenzialismo
pinottiano è però rivelatore della natura reale dell'operazione
proposta. Nel mondo del politicamente corretto e della falsa coscienza
delle èlites di governo e di potere europee l'intervento militare, gli
scarponi sul terreno non avrebbero ragione di esistere. Si va lì, si
esercita la doverosa "moral suasion"nei confronti delle istituzioni
locali- naturalmente corroborata da opportuni incentivi materiali- e,
oplà, tutti insieme appassionatamente, si crea un'automatica unità
d'intenti nel combattere e sconfiggere il comune nemico: lo scafista, il
negriero, il mercante di carne umana; quello che strappa, con
adescamenti e false promesse, la gente dalla tranquillità povera sì ma
operosa delle loro case e dei loro villaggi per trascinarli in un
vortice di avventure senza sbocco e senza speranza; e per pura e
vergognosa sete di guadagno.
Qui il governo dovrebbe, per prima cosa,
pagare i diritti d'autore al vituperato Salvini. Identico
l'obbiettivo."aiutiamoli perchè restino a casa loro". Identica la
rappresentazione del fenomeno: l'emigrante non come protagonista di una
scelta di vita dai contorni drammatici e dai rischi esistenziali ma come
vittima di un disegno ordito da altri per scopi loschi e
inconfessabili. Ancora, si fa per dire, più ambizioso il progetto: il
confine da non varcare spostato di qualche migliaio di chilometri più a
Sud, l'emigrante bollato come "clandestino" ( Pinotti dixit) non già al
momento dell'arrivo nel nostro paese ma al momento della partenza dal
suo; l'elemento della coazione assai più visibile.
Consiglieremmo,
però, di non chiederli, questi diritti d'autore; perchè l'operazione
Sahel è, in linea di principio, irrealizzabile e, in linea di fatto,
criminogena.
Irrealizzabile; anzi improponibile. Solo la nostra
sconfinata boria occidentalista può indurci a negare l'evidenza: il
fatto che dopo avere esaltato al di là del dovuto la libertà di
movimento di merci e capitali non abbiamo il diritto di negare agli
altri il semplice diritto al movimento delle persone; il fatto che i
paesi poveri d'Asia, d'Africa o d'America latina incassano come rimesse
somme infinitamente più elevate di quelle percepite alla voce "aiuti
pubblici"( e che, a differenza di queste ultime, arrivano, esentasse,
alle persone giuste anzichè finire in tasca ai soliti noti).
Criminogena.
Non siamo in Svizzera e nemmeno nel paese dei balocchi. Siamo in una
delle zone più disastrate e pericolose del mondo: una enorme zona
semidesertica le cui scarse risorse sono oggetto di una disputa
esistenziale tra agricoltura povera e pastorizia di sussistenza ; e dove
sono disponibili, invece, in abbondanza, armi di ogni tipo e gruppi
disposti a farne uso quotidiano in nome del Califfo o degli eredi di bin
Laden o della causa tuareg o dei propri interessi personali di
imprenditori della violenza.
E allora ministri europei e capi di
stato africani potranno pure sventolare accordi che nè l'uno nè l'altro è
in grado di rispettare; la realtà sarà quelli di campi di detenzione
ancora più inumani di quelli libici e, per il resto, di violenze senza
limiti, senza nome e senza controllo sui potenziali migranti: ieri
costretti a pagare per proseguire il viaggio oggi soggetti a vessazioni
senza limiti per indurli a rimanere dove stanno; nell'un caso e
nell'altro con un reale pericolo di morte. Il tutto mentre, qualche
migliaio di chilometri più a Nord, il nostro governo continua a
sventolare la bandiera dell'accoglienza, come nostro marchio di fabbrica
in polemica contro i soliti "populisti".
Potremmo fermarci qui. O
magari chiudere in scioltezza polemizzando sulle trovate
propagandistiche di Renzi e sul suo populismo di governo. O denunciando,
con la dovuta asprezza, le magagne della nuova classe generale della
sinistra italiana- la borghesia riflessiva o sensibile che dir si
voglia- pronta ad indignarsi a comando quando le viene servito il bimbo
morto su di una spiaggia del Mediterraneo ma del tutto indifferente alle
tragedie che non compaiono sui suoi schermi.
Pure, l'enormità dello
scandalo e la totale assenza di reazioni da cui è stato, almeno sinora,
accompagnato ci spingono ad andare oltre sino a guardare nell'abisso.
Se
lo contempleremo per tutto il tempo necessario, se non ci faremo
distrarre da emozioni prefabbricate e dalle "fake opinions"che ci
vengono propinate di continuo, potremmo arrivare a capire che a generare
lo scandalo c'è la melassa informe di quel "buonismo politicamente
corretto"che è diventato la religione laica delle èlites cosmopolite
europee e, in particolare, italiane
In questa melassa scompaiono i
fatti per essere sostituiti dalla loro narrazione, se possibile
soporifera e rassicurante. Scompare l'immigrazione come processo di
lungo periodo da gestire per essere sostituito, carsicamente, da quello
dell'immigrazione come emergenza da risolvere con questa o quella
formuletta. Scompare l'accoglienza come possibiltà reale di inserimento
sociale e lavorativo per essere sostituita da quella del diritto
indiscriminato alla sbarco ( quasi che i
due obbiettivi non fossero
incompatibili tra loro). E scompare, soprattutto, l'immigrato reale,
quello in carne ed ossa per essere sostiuito dai due stereotipi dello
sventurato da assistere e del clandestino da tenere a bada: ambedue
portate a mantenerlo in una condizione di permanente minorità.
In
conclusione, la negazione del ruolo attivo dello stato nell'inserire - a
partire dalla gestione razionale dei flussi- l'immigrazione come un
elemento funzionale alla sua strategia internazionale. Per riemergere
nella duplice e contaddittoria veste di ospitante generoso nel segno del
pentimento per le passate nequizie colonialistiche oppure di guardiano
occhiuto di valori costantemente minacciati.
Prendete tutta questa
melassa, conditela di opportunismo e di falsa coscienza e avrete la
sorprendente miscela di oggi: da una parte le lacrime di commozione per
il bimbo salvato dalle acque nel Mediterraneo; dall'altra il
silenzio-assenso addirittura imbarazzante che ha accompagnato la
presentazione del progetto Sahel.
Sorprendente ma comprensibile: massima apertura ai migranti dell'altra sponda; ma a condizione che non ne arrivino più...